A condividere bufale si passa per scemi

A condividere bufale si passa per scemi

di Cristiano Bolla

Mi scuso in anticipo per i toni probabilmente duri e aggressivi di questa riflessione. Ma anzi, ripensandoci meglio non dovrei scusarmi per niente, perché dalla mia parte ho una verità inoppugnabile, vera sin d’alba dei tempi virtuali: chi condivide le bufale passa per scemo.

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Perculare è probabilmente un’arte antichissima, nata quando un ominide delle caverne mise in giro la voce che da qualche parte oltre la valle aveva visto un cavallo con un corno sulla testa; tutti gli altri ominidi gli avranno creduto e lui si sarà fatto una grassa e pelosa risata. Ma da allora, ne converrete, sono passati giusto quei quaranta mila anni durante i quali si è verificato il “grande balzo avanti”, l’insorgere di quella forma di intelligenza che, secolo dopo secolo, ha portato gente come me a battere le dita su un pezzo di plastica e vedere le parole comparire sulla superficie piatta illuminata. Roba tosta, insomma.

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Qual è la differenza fondamentale tra quegli ominidi perculati e noi? Più che l’intelligenza in sé, è l’accesso alle fonti. È per questo che, nel 2016, ogni volta che condividete una catena, una bufala, una stronzata allucinante passate per scemi: perché di scusanti non ce ne sono, non siete in alcun modo titolari del dubbio “ma sarà vero?” che poteva giustificare gli ominidi e forse qualche tribù amazzonica attuale, di quelle che non usano i numeri. Voi no, dal momento che possedete un accesso a Internet valido per condividere queste cose, siete automaticamente in grado di poter verificare le fonti. Cosa che, spesso, non si fa, per pura pigrizia.

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“Da domani Facebook diventa pubblico”, “Ce lo stanno consigliando tutti gli avvocati”, “Questo bambino ha fatto un incidente, condividi per salvarlo”. Tre esempi di macro-ignoranza che quando mettete sulle vostre bacheche possono offendere, sì offendere, quelli che riconoscono la formula e l’inganno da terabyte di distanza. E sia chiaro: questo non è un fenomeno circoscritto al branco dei “quarantenni su Facebook”, quelli del “KAFFEEèèèè!!!1!1” e del “Buongiornisssssssimo!”. No, purtroppo è un virus diffuso anche tra i giovani cresciuti a pane, like e share, l’intellighenzia virtuale per eccellenza, gli studiati. Spesso insospettabili, tra l’altro, ma poi succede qualcosa, tipo l’esplosione di una piccola e insignificante vena che portava sangue alla parte del cervello adibita al pensare a quello che si fa. Per dire: alla bufala recentemente tornata di moda di Facebook che diventa pubblico ci è cascata anche la Presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini.

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Il pattern è sempre quello: vedo un testo, lo leggo sommariamente, concentrandomi solo sulle parole che ritengo essere quelle chiave, lo condivido e magari in fondo ci aggiungo un “mi sa di bufala ma non si sa mai”. Ecco, quando dite “non si sa mai” sembrate proprio scemi. Perché, per cambiare metafora, “non si sa mai” è una frase che sta benissimo in bocca al contadino del 1300 mentre si reca dalla fattucchiera nel bosco per trovare un rimedio contro la peste; “non ci credo molto, ma non si sa mai”. Per voi, che avete accesso a fonti di informazione che fino a trent’anni fa sembravano impossibili, nessuna scusante è valida: sembrate solo scemi, che da vocabolario significa proprio “individuo poco intelligente” e dove intelligente significa “provvisto della facoltà di capire, ragionare e decidere”. Ne converrete: quando condividete “Da domani Facebook diventa pubblico” non state dando prova ne di capire, ne di ragionare, ma solo di decidere e pure male.

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È analfabetismo funzionale. La piaga del nuovo millennio: l’Italia ha una percentuale media tremendamente alta di analfabeti funzionali, ossia coloro che non sono in grado di leggere e scrivere nelle situazioni della vita quotidiana. Non un analfabetismo completo, ma uno collegato proprio all’incapacità di saper leggere il mondo o quantomeno, nel nostro esempio, le bufale. Per questo sono proliferate pagine che tristemente hanno continuo materiale da poter condividere: Adotta anche tu un analfabeta funzionale, Idioti Senza Frontiere si occupano di segnalare e deridere amaramente coloro che si rendono ridicoli agli occhi del mondo virtuale, palesando la propria ignoranza. Altri siti, invece, fanno lotta attiva e partecipata: Bufale.net, Debunking.it e altre forniscono un ottimo servizio di sorveglianza contro le bufale di finti quotidiani (e talvolta pure da quelli veri) che fanno cadere la gente in inganno con finte notizie, anche se basterebbe poco poco di impegno per capire che non sono vere. Il Fatto Quotidaino, La Rebubblica, Il Corriere della Notte, Il Giomale: signori, se non sapete leggere un URL e capire che è falso, forse è il caso che spegniate Internet. Questo, come detto prima, è solo dovuto ad una potente miscela tra ignoranza e pigrizia, fortunatamente entrambe risolvibili, nella maggior parte dei casi. Un esempio di un comportamento corretto: leggo una cosa (la leggo davvero però, mica le prime tre parole), ancor prima di indignarmi apro Google e digito le parole chiave correlate, studio i risultati e soprattutto verifico che le fonti siano attendibili. Lo sono? Condivido ed esprimo il mio parere. Non lo sono? Basta, fermatevi lì: nessun “eh però può essere”, “non si sa mai”, “può comunque succedere”.

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Altro piccolo trucchetto che potrebbe aiutarvi: TUTTI, TUTTI, ma proprio TUTTI i messaggi che finiscono con “non condividere fai copia incolla” e che citano articoli di legge inventati (con lo scopo di farvi credere che ne sanno) sono TUTTI FALSI. Senza eccezioni. Creati apposta per parlare alla vostra pancia, alla vostra paura e con lo scopo di creare una base di consenso becero e di condivisione massiccia col minimo sforzo. Potete verificare anche questa mia affermazione, le fonti non mancano.

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Passare per scemi senza esserlo veramente non è un reato, ma un’offesa: offende chi si rende conto che dentro al tal amico o parente, di cui si ha stima e rispetto, si nasconde uno scemo pronto a cadere nei tranelli di Internet dimostrando, fosse anche solo una volta nella vita, di non saper collegare il cervello alla mano che batte sulla tastiera.

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La penna ferisce più della spada, ma pure il mouse non scherza.

 

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