di Cristiano Bolla
Nono e ultimo appuntamento con i film candidati alla statuetta più prestigiosa nella notte degli Oscar del 26 febbraio. Ne abbiamo visti di tutti i generi, un’annata molto variegata e dall’altissimo valore artistico. La vittoria di La La Land, in realtà, è data per scontata, ma se c’è qualcuno che può insidiargli il primo posto sul podio, bhe quello è Moonlight di Barry Jenkins.
Basato sull’opera teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney, questo adattamento cinematografico è un film che più nero di così non si può: seriamente, ho contato solo due comparse non di colore. Ed è perfetto così, perché la storia che Moonlight racconta è prettamente incentrata non tanto sulla razza, quanto su una comunità, quella nera, povera e persa tra spaccio e droga di Miami. Di film del genere ne abbiamo visti parecchi, ma qui c’è qualcosa di più, una criticità drammatica che rende Moonlight uno spaccato di rara intensità e insieme delicatezza: Chiron.
Moonlight è il racconto in tre parti della vita di un bambino, poi adolescente e infine uomo: Chiron, detto “Little”, cresce in un ambiente povero e travagliato, la madre tossica da crac e quel tipo di carattere introverso che agli altri bambini non piace molto. Chiron è bullizzato, ma trova in Juan (Mahersala Ali) una figura paterna che lo aiuta a farsi forza. Il bambino sente che qualcosa in lui non va, o meglio: il mondo lo addita e lui se ne sta convincendo. Passano gli anni, il piccoletto è diventato un liceale ma la musica non è cambiata: i bulli continua a vessarlo e torturarlo per la sola colpa di essere diverso, chiuso. Chiron però scopre qualcosa di più di sé, grazie all’unico amico che ha, e capisce che quella sensazione di diversità può essere davvero chiamata omosessualità. Poi l’ennesimo affronto della vita, dal quale però Chiron trae una forza selvaggia tutta nuova, si accanisce contro chi non gli dà pace e dà una svolta potente alla sua vita. Nella terza parte, chiamata “Black”, lo vediamo vestire dei panni molto simili a quelli del suo Mentore d’infanzia, nascondendo la sua vera natura sotto una maschera.
Ci si mette un po’ a raccontare la storia (pure a grandi linee), ma è necessario per poter far capire perché Moonlight è importante: l’idea di inserire un bambino alle prese con dubbi sulla sua sessualità in un contesto retrogrado e avverso, crea la bomba drammatica perfetta. La storia di Moonlight è uno spaccato sociologico potentissimo, che viene trattato con crudezza e insieme delicatezza, quella che contraddistingue l’animo sensibile di Chiron, che a volte “piange così tanto che gli sembra di trasformarsi in gocce”. Il suo arco narrativo è una parabola al contrario: continua a scendere, fin quando non è possibile andare più in basso (il momento catartico del Chiron adolescente, la secchiata d’acqua gelida che lo riscuote) e poi ovviamente risale, ma non per forza in positivo. Il cambio di Chiron, che diventa Black (lo spacciatore, quello coi Grillz, il duro) sorprende ma solo per poco: il fatto che sia quasi una fotocopia di Juan, il suo Mentore, ci mette sull’attenti e fa capire che quella sia solo una maschera, il prodotto dello spirito d’adattamento ad un mondo che lo ha rifiutato. L’inganno cede presto e negli occhi Trevante Rhodes (Chiron adulto) rivediamo la delicatezza e la dolcezza di Alex Hibbert (Chiron bambino). Un gioco di specchi straordinario e che ha il suo apice nel significato del titolo.
Juan racconta infatti come da piccolo una vecchia donna di Cuba, vedendolo correre di notte al chiaro di luna, disse che le persone con la pelle nera sotto quella luce diventano blu. Ed è proprio sotto quella luce, sulla stessa spiaggia in cui da piccolo ha imparato a nuotare con l’amico Juan, che l’adolescente Chiron scopre davvero chi è: un ragazzo omosessuale alla sua prima esperienza. La poesia del film, quindi, sta forse nel dirci come la vera natura possa venire fuori solo sotto la giusta luce. Profondo, intenso, a segno.
La forza di Moonlight, inoltre, sta nella regia: per niente classica, mai banale, sempre attenta ad artifici e movimenti che seguano non la linearità della storia ma che amplifichino le emozioni e i momenti. Primi piani con frasi pronunciate fuori sincro, reverse motion, camera a mano e un’enorme cura della fotografia e una colonna sonora che colpo su colpo ci tiene lì: tutto per metterci nella testa, nel cuore e nelle paure dei tre Chiron. Non per niente Moonlight è candidato, oltre che per il Miglior Film, anche per regia, attore e attrice non protagonista, sceneggiatura non originale, fotografia, montaggio e colonna sonora: non sarebbe uno scandalo se se li portasse a casa tutti, ma è l’anno di La La Land e allora qualcosa si dovrà perdere per strada.
Moonlight è al cinema in Italia da questo weekend: diffidate di chi lo etichetta semplicemente come un film triste, la sua profondità emotiva e la storia permettono di fare un’esperienza unica dei temi mostrati, senza eccessi, senza sconvolgimenti ma tanta delicatezza. Per conto mio, ho trovato il mio vincitore degli Oscar 2017.
GLI ALTRI CANDIDATI AL MIGLIOR FILM:
Arrival, di Denis Villeneuve
Fences, di Denzel Washington
Hacksaw Ridge, di Mel Gibson
Hell or High Water, di David Mackenzie
Hidden Figures, di Theodore Melfi
La La Land, di Damien Chazelle
Lion, di Garth Davis
Manchester by the Sea, di Kenneth Lonergan
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