Ridley Scott rimette in campo gli Xenomorfi (o quasi).
di Alessandro Sivieri
Dopo Prometheus (qui la recensione), prologo ambizioso ma dalla scrittura tentennante, Ridley Scott ha sfornato l’ibrido che funziona: Covenant risponde a molte domande insolute del capitolo precedente, ci dà in pasto un po’ di Alien vecchio stile (qui l’analisi del film del ’79) senza ripetersi troppo e, cosa più importante, ci lascia impazienti di vedere i prossimi episodi. All’inizio, quando conosciamo l’equipaggio della nave coloniale Covenant, in rotta verso un pianeta sconosciuto, sappiamo già che farà una brutta fine.
Empatizziamo con i personaggi, che una volta tanto presentano dinamiche di gruppo decenti. Apprezziamo la Daniels di Katherine Waterston, che non è la copia spudorata di Sigourney Weaver sul fronte caratteriale, anche se il contesto in cui viene calata attira facili paragoni. Il vero protagonista è però Michael Fassbender, che interpreta gli androidi Walter e David, due esseri artificiali in antitesi che determineranno il destino dei loro creatori. E anche di chi ha creato i creatori.
Le diverse riflessioni sulla genesi e l’evoluzione di Prometheus non vengono accantonate ma espanse, trattate in modo più maturo e intrigante. Il sintetico David, in preda al delirio di onnipotenza, dona freschezza alla formula del film e svela delle motivazioni che lo rendono molto più spaventoso di qualsiasi alieno. E non abbiate paura, gli Xenomorfi ci sono e si dividono in più tipologie (minuziosamente descritte nei nostri Bestiari).
The Art and Making of Alien: Covenant: The Art of the Film
Aggressivi e primitivi, essi non ispirano puro terrore come nel film del ’79 ma beneficiano di una tensione ben costruita e della cinematografia di Scott, che sa benissimo come inquadrare le sue creature. Vero, c’è qualche scivolone, come l’evitabilissimo sfoggio del punto di vista degli alieni, già sfruttato in Alien 3 di Fincher, e qualche costrizione temporale dovuta alla necessità narrative (i Chestburster crescono sempre più in fretta). La regia ignora una regola d’oro che fece la fortuna dell’originale: meno si mostra, meglio è. Ci sentiamo di perdonare l’errore, non essendo al cospetto di una copia carbone di Alien. La violenza e lo spavento sono elementi di contorno, utili a sublimare una parabola sci-fi dai toni shakespeariani. Chi si aspettava un remake, nel bene o nel male, dovrà cambiare idea, come chi temeva una versione rivista di Prometheus.
Veniamo abbandonati alla deriva nello Spazio senza alcune risposte, ma questa volta le domande sono quelle giuste. Se il DNA della nuova saga è ancora instabile, l’atmosfera è finalmente dark, ci sono un paio di scene realizzate in modo magistrale e il sangue scorre in dosi adeguate.
Abbiamo rivisto gli Xenomorfi nel loro stadio iniziale, abbiamo appreso delle macchinazioni di David e lo scetticismo si è trasformato in eccitazione. Ora non guardiamo più con timore al seguito (il cui destino è incerto), ma ci freghiamo le mani in attesa del gran casino che sicuramente succederà. A meno che i prequel non vengano interrotti dalla Disney o che Scott non voglia compiere salti temporali all’indietro, la storyline attuale proseguirà. Sarebbe un peccato creare altra confusione proprio quando la saga ha riacquistato solidità, ma dagli errori si impara, e Covenant ce l’ha dimostrato. Dopo cocenti delusioni possiamo dirlo liberamente: vogliamo altri Alien, sperando che la produzione non torni nel limbo e si sia realmente riavvitata la testa.
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Attenderò pazientemente una vostra guida sull’ordine migliore per godermi questa costituenda saga.