WONDER WOMAN – QUANDO LA DC SI OMOLOGA

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di Alessandro Sivieri

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Quando la critica internazionale lo ha definito a “il primo film bello dell’Universo DC” a noi prudevano le mani, perché Man of Steel e Batman vs Superman ci sono piaciuti (Suicide Squad un po’ meno). Sono partiti in ritardo nella guerra contro il meccanismo rodato della Marvel e hanno dei difetti, ma si difendono: più dark e solenni, si interrogano sulla natura dell’eroe (cosa che ha fatto in parte Civil War), pur risultando confusionari, con problemi di scrittura e montaggio. Hanno costruito un’agguerrita fanbase e gli attori funzionano, quindi era alta l’attesa per l’origin movie di Wonder Woman, l’eroina interpretata dalla bella Gal Gadot. In BvS avevamo apprezzato la sua Diana Prince, tosta e affascinante nell’armatura alla Xena.

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Forse è proprio il caro ricordo del personaggio di Lucy Lawless a farmela piacere ancora di più. Le basi per un lavorone c’erano tutte, un film dove a spaccare i culi è una donna forte e carismatica, che non è inferiore a un uomo per il valore o per la potenza. In sala le nostre moderate aspettative hanno incontrato il piattume su pellicola, una standardizzazione che rinuncia agli elementi distintivi della DC. Forse per paura di perdere incassi o di inimicarsi ulteriormente la critica, i capoccioni della Warner hanno creato un compitino che non scontenta e non sorprende nessuno.

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Il cammino di Diana è già tracciato, senza colpi di scena decenti o messaggi scomodi. Come nei più vetusti canovacci, l’eroina cresce lontano dalla civiltà, inconsapevole della sua vera natura. Conosce il suo interesse amoroso, esplora il mondo e, fugati un paio di dubbi, trova una motivazione nobile per combattere e sconfiggere il cattivo. Se al posto della Gadot ci fosse stato un uomo non sarebbe cambiato quasi nulla. “Beh, è positivo!” direte voi, perché Wonder Woman è un modello per ragazze e ragazzi e deve puntare sull’uguaglianza, senza vittimizzare. Doveva forse ricevere un trattamento di favore rispetto a un Superman? Non è questo il punto, qui non si tratta di sessimo ma di potenziale sprecato, anche a livello di tematiche.

È un film su una guerriera spaccaculi ma il femminismo è dosato col contagocce, perché Diana viene prevedibilmente guidata dalla forza dell’amore (sic!) e da una compassione materna che ne appiattisce l’aura rivoluzionaria, mentre l’uomo è improntato alla ferocia. Il divario sociale maschio-femmina, particolarmente accentuato nel periodo storico della pellicola, viene sfruttato solo per le gag alla Marvel, dove si gioca sull’anacronismo della protagonista. Sia chiaro, Wonder Woman rimane tosta, quindi le donne non ne escono screditate. Però a livello emotivo si percorrono binari vecchi di decenni. Chiunque potrà guardarlo per l’intrattenimento senza essere costretto a riflettere. La produzione dovrebbe sapere che non si ottiene un cinecomic sopra la media senza lanciare qualche provocazione.

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Se i comprimari, incluso lo Steve Trevor di Chris Pine, sono dimenticabili e ben divisi tra le solite minoranze etniche, scordatevi ogni pretesa di memorabilità anche per il villain, perché questo film si crogiola nella mitologia senza spiegazioni, nel classico scontro divino tra bene e male che stona molto con i toni realistici e ambigui degli altri episodi DC. Nemmeno a livello registico troviamo un barlume di originalità: c’è qualche bello scorcio ma finisce lì, e la mancanza di Snyder si fa sentire, con coreografie anonime e azzoppate da un abuso di slow motion (usato da Patty Jenkins come un giocattolo). Vedere un’Amazzone che combatte con spada e scudo contro soldati armati fino ai denti è un piacere, ma l’azione è inutilmente dilatata, oltre a ricordare troppo il primo Captain America. Ci spiace davvero perché Gal Gadot, oltre a farci girare la testa in quell’armatura, è perfetta per il ruolo e non faticherebbe a interpretare una Diana più complessa. Fortunatamente avrà altre occasioni per evolversi.

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Le recensioni positive fioccano e il successo al botteghino è salvo, ma in cambio di cosa? Speriamo che i produttori non abbiano deciso di vendersi l’anima e imitare lo stile Marvel pur di salvare la baracca. Il risultato di questo compromesso può diventare una sequela di avventure stereotipate e dialoghi didascalici. Sapendo che una parte della critica sarà spietata a prescindere, alla Warner dovevano tirare fuori le palle e proseguire su un percorso più maturo, senza paraculaggini. Sbagliavamo ad aspettare un film che scuotesse davvero gli animi sulla figura della donna? In Wonder Woman il girl power è solo apparente, sostituito da un buonismo da finale di Miss Italia. Va bene, non bisogna per forza buttarla in politica. Però avevamo diritto almeno a una sceneggiatura migliore.

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