Ghost hunters tamarri a spasso nei manicomi abbandonati.
di Alessandro Sivieri
Spesso guardati con diffidenza dai puristi horrofili, i falsi documentari hanno il loro fascino. The Blair Witch Project e la sua mitologia mi avevano conquistato da bambino, e conservo un ottimo ricordo del primo Rec, del Cloverfield prodotto da J. J. Abrams e di Paranormal Activity. Negli anni il filone è divenuto inflazionato per via dei ridotti costi produttivi, anche se la realizzazione dei mockumentary non è semplice come appare: la qualità delle riprese, modificate per risultare più amatoriali in sessione di montaggio, deve essere ottima per evitare sfocature perenni e attacchi di mal di mare nel pubblico (la cosiddetta motion sickness).
Bisogna giocare costantemente con i punti di vista e con il vedo-non vedo per non cadere nel ridicolo. Possono esserci lunghi piani sequenza dove gli attori devono ricordare un certo numero di battute e comportarsi in modo genuino, pena la perdita di credibilità. Come avrete capito, non è una passeggiata. Arriviamo quindi a ESP (Grave Encounters è il titolo originale), opera diretta dai The Vicious Brothers, coppia di registi canadesi che ha voluto omaggiare in modo evidente il reality Ghost Adventures di Zak Bagans e soci.
L’incipit del film consiste in un dietro le quinte dello show che dà il titolo al film, dove una troupe televisiva guidata da Lance Preston (Sean Rogerson) si reca in un manicomio abbandonato per girare un episodio. Tra scambi di battute, testimoni corrotti e medium impostori, assistiamo alla costruzione di un format senza la reale pretesa di ottenere prove concrete sui fantasmi. A contare è il brivido di una notte, dove i detective dell’occulto simulano attimi di panico e vagano alla ricerca di momenti fighi.
Come vuole la tradizione, le cose andranno per il verso sbagliato, perché i fantasmi infestano davvero l’edificio e inizieranno a perseguitare la troupe. Di colpo è impossibile contattare l’esterno e il manicomio diventa un labirinto circondato dal buio perenne, un po’ come la foresta della strega di Blair, che gettava i protagonisti in un loop temporale. I fenomeni paranormali si faranno sempre più violenti, fino a mietere vittime. Sebbene l’idea di fondo possa sembrare carina, il film è scritto con poco mordente e girato in modo semplicistico, lasciando poco spazio alla paura.
“Sono Zak Bagans e questo è il mio branco di idioti.”
Uno sviluppo prevedibile può essere arginato dall’atmosfera, ma l’idiozia cronica degli interpreti e i dialoghi dimenticabili riescono a sabotare ogni potenzialità del tetro istituto psichiatrico. Empatizzare con i personaggi viene molto difficile e non percepiamo mai una troupe terrorizzata, divisa tra l’ansia di fuggire e l’opportunità irripetibile di riprendere per davvero uno spettro. Perfino l’effettistica e le apparizioni lasciano a desiderare: quando ai rumori e alle ombre sfocate si sostituiscono i volti distorti dei fantasmi, in una CGI da bar sport, viene quasi da ridere.
Il riposo eterno non toglie il bisogno di sbadigliare.
Siamo nel terzo millennio e il pubblico è abituato a ogni genere di creatura, quindi uno spettro con la bocca larga che ruggisce non fa nemmeno il solletico. Dati i limiti della produzione sarebbe stato meglio fare il verso a The Blair Witch Project e non mostrare mai gli scienziati pazzi e i malati mentali che infestano l’edificio. O almeno evitare figuracce con braccia in computer grafica vecchia di 10 anni e facce da ictus. Guardatelo pure, ma arriverete alla fine solo per senso del dovere.
Mi è piaciuto il tuo articolo e anche Esp, ma Rec (che hai citato) per me è una delle pellicole più paurose tra quelle che ho visto, e anche il secondo capitolo che non snatura la storia, ma amplia ciò che era il primo, i successivi non li ho ancora visti.