DEADPOOL 2 – IL CAZZEGGIO È SERVITO

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Il ritorno del mercenario chiacchierone e dei suoi folli amici.

di Alessandro Sivieri

La capacità di Deadpool di infrangere la quarta parete e rivolgersi allo spettatore, tirando in ballo elementi della cultura pop e sfottendo il suo stesso franchise, è sempre stata un’arma a doppio taglio: il rischio è di sconfinare nel lato scomodo del metacinema, dove l’intreccio viene sacrificato in nome dell’autoreferenzialità. Il fatto che Ryan Reynolds sia praticamente nato per il ruolo fa sì che anche questo sequel si ritagli la sua comoda nicchia nel filone supereroistico, mettendo sul piatto situazioni deliranti e momenti politicamente scorretti. Ma il nostro mercenario chiacchierone compie qualche inciampo di troppo. Sebbene la trama del primo film non fosse nulla di eclatante (origini, vendetta contro il creatore e salvataggio della donzella), correva su binari più solidi rispetto a questo sequel, riuscendo a non frammentarsi in una serie di siparietti debolmente legati. Ora l’universo si allarga e la storia cambia: tornano momenti sentimentali (con l’affascinante Morena Baccarin) e abbondanti mutilazioni, ma gli eventi proseguono in modo sconclusionato.

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L’ingresso di Cable (Josh Brolin) come co-protagonista aggiunge meno pepe del previsto, poiché nonostante sia visivamente figo, il mutante bionico ha poca backstory e delle motivazioni stereotipate, che lo fanno assomigliare a John Connor (come si dichiara scherzosamente nella pellicola). I personaggi di contorno sono un bel fritto misto: tornano il tassista indiano (ora avviato alla psicopatia) e la vecchia non vedente, mentre l’orfanello ciccione ed emotivamente instabile di Julian Dennison si limita a fare da MacGuffin e a infilarsi penne nel deretano.

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Sul fronte X-Men torna lo scintillante Colosso (Stefan Kapičić) insieme alla scontrosa Testata Mutante Negasonica (Brianna Hildebrand), che essendosi trovata una fidanzata asiatica è praticamente passiva nelle sequenze d’azione. Spassoso e adorabile il personaggio di Peter (Rob Delaney), privo di qualsivoglia potere ma sicuramente più assennato degli altri. La vera sorpresa è Domino (Zazie Beetz), mutante di colore dalla fortuna sfacciata. Oltre a essere ben caratterizzata, ha una sensualità che colpisce e ci auguriamo che ritorni nelle prossime puntate.

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Resta poco da fare in un capitolo senza particolari guizzi registici (eppure David Leitch proviene da John Wick e Atomica Bionda) e guidato da personaggi che coprono con l’umorismo le loro deboli motivazioni. Ci sono scene folgoranti, come gli scambi di battute tra Cable e Deadpool, il lancio con il paracadute e un andrenalinico inseguimento su ruote, ma come vi avevamo anticipato in apertura, manca il coinvolgimento della finzione ben eseguita. Wade Wilson è troppo impegnato a dissacrare il franchise degli X-Men, a sfornare freddure e ad appioppare soprannomi per vivere un’avventura come si deve, abbandonandosi alla vecchia logica del “mi serve una famiglia” e a escamotage sbrigativi (i collari che reprimono il gene mutante).

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Le incursioni oltre la quarta parete e l’interazione con il pubblico dovrebbero essere il valore aggiunto di un film in grado di stare in piedi da solo, mentre qui diventano un’autodifesa per evitare lo smarrimento nel flusso di coscienza del protagonista. Insomma, prima che tu possa evidenziare un difetto, ti frego con l’autoironia preventiva. Deadpool proviene da un altro medium ed è probabile che sia ancora in cerca della formula definitiva per funzionare al cinema, ma siamo certi che tornerà (con o senza un Hugh Jackman defunto da sfottere), anche perché è indistruttibile.

 

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