HUNTERS – È giusto trattare in questo modo la Shoah?

Un mese fa Amazon Prime Video ha lanciato la sua nuova serie, Hunters: una insolita guerra fredda tra ebrei e nazisti negli Stati Uniti degli anni ’70 che ha attirato su di sé parecchie polemiche.

di Cristiano Bolla

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Sono passati 75 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Conti alla mano, è difficile anche solo pensare che ci sia qualche ufficiale nazista ancora vivo ma la Caccia iniziata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale è andata avanti fino a pochi anni fa (grazie soprattutto al Centro Simon Wiesenthal). Proprio questo è il tema della serie Hunters creata da David Weil per Amazon Prime Video: 10 episodi prodotti dalla MonkeyPaw di Jordan Peele, con un buon cast il cui nome di punta è ovviamente Al Pacino, nei panni del capo-cacciatore Meyer Offerman. Lo stesso guida una “lega di straordinari ebrei” che nell’America degli ’70 si ritrova a fare i conti con i demoni del proprio passato.

La storia ci ha insegnato infatti che numerosi nazisti, anche di alto rango, sono fuggiti dalla Germania e che hanno trovato asilo in altri Paesi. Nella serie, gli Stati Uniti sono diventati una sorta di isola felice per molti di loro, tanto che nell’ombra tramano di dar vita al Quarto Reich. A fermarli, oltre a Meyer e i suoi, si aggiunge anche il giovane ma scaltro Jonah (nome non casuale), una sorta di Spiderman ebreo che si ritrova in una guerra molto più grande di lui.

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Il problema è che forse questa guerra è anche più grande di chi l’ha messa in scena. Hunters infatti non fa nulla di nuovo, ma anzi omaggia costantemente l’approccio tarantiniano al nazismo, almeno inizialmente. La serie è infatti una sorta di Bastardi Senza Gloria – Home Edition, in cui gli ebrei a stelle e strisce combattono in casa un nemico che pensavano di essersi lasciati alle spalle. Tarantino però è Tarantino e il risultato è un crime con pesanti influenze pop al limite del grottesco e strizzate d’occhio al cinema hard-boiled (il Lonny Flash di Josh “Ted Mosby” Radnor) e di blaixploitation (la combattiva roxy).

Hunters vuole mettere in scena un racconto di fantasia ma al contempo trattare temi molto seri, senza mai raggiungere un vero equilibrio tra la tarantinata e la retorica spiccia. Alcuni momenti richiamano anche lo Spike Lee in versione BlacKkKlansman, specie quando Hunters prova a schiaffare all’improvviso i problemi sociali e culturali del passato nella dimensione odierna. L’antisemitismo è storia vecchia? Gli ebrei sono ancora visti come parassiti? Domande interessanti, ma presentate in modo squilibrato. Soprattutto, lo fa secondo logiche che sembrano proprie di serie tv di 10-15 anni fa: spararla sempre più grossa è lo stile che sembra seguire Hunters, fin nei suoi risvolti finali. Ma 15 anni fa non esisteva lo streaming e il cliffhanger era un imperativo produttivo, adesso questi continui colpi di scena suonano un po’ stantii, le classiche unghie sul vetro che non sempre ingannano lo spettatore.

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La vera questione interessante di Hunters però riguarda il suo contenuto in relazione alla verità storica dei fatti. Per far capire meglio il punto, va riportato che contro Hunters si è espressa duramente anche l’Auschwitz Memorial. La critica è in particolare verso una scena dei primi episodi, in cui i nazisti mettono in scena un brutale gioco degli scacchi usando gli ebrei come pedine. Una esagerazione, una distorsione della realtà storia che potrebbe prestare il fianco al negazionismo. In un tweet l’Auschwitz Memorial ha commentato:

Auschwitz è stata piena di terribile dolore e sofferenza documentati dai racconti dei sopravvissuti. Inventare un finto gioco degli scacchi umani per Hunters non è solo pericolosamente stupido e caricaturale. È un invito per futuro negazionisti. Noi onoriamo le vittime preservando l’accuratezza dei fatti.

In un altro tweet, in risposta ad un utente che sottolineava come alla fine si trattasse solo di una serie, han risposto:
In altre parole, dici: “Un film può mentire sulla realtà perchè è solo un film“. Qui non siamo assolutamente d’accordo. Questo è irrispettoso e pericoloso.

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Il creatore David Weil, come riportato da Variety, ha risposto alle critiche dichiarandosi molto vicino al tema della Shoah e agli orrori dei campi, dove fu prigioniera anche sua nonna. Tuttavia, sottolinea come la serie non è stata pensata come un documentario. Tanto che i numeri tatuati sugli ebrei cacciatori vanno dal 202499 in su, perchè questo è l’ultimo numero registrato su un prigioniero di Auschwitz. Non c’è una storia vera, quindi e per Weil:

Questo show parte dal presupposto che rappresentazioni simboliche forniscono accesso ad una realtà simbolica ed emozionale che ci permette di capire meglio le esperienze della Shoah e gli fornisce un significato che può collegarsi la nostro immediato presente.

Qui, secondo me, sta il punto cruciale del problema. Il vero spunto di riflessione interessante di una serie che altrimenti sarebbe solo mediocre. In un mondo in cui la Shoah è realmente esistita, in cui milioni di persone sono state cacciate, uccise, ridotte in schiavitù, gettate nei forni, cucite insieme per esperimenti scientifici, ammassate in fosse comuni, ridotte alla fame, disumanizzate, è necessario inventarsi cose del genere per far capire l’orrore che è stato? È giusto trattare “la questione ebraica” in modo così pop, sensazionalista ai fini di un presunto intrattenimento “educativo”?

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Per me non c’è una risposta univoca, ma è un tema interessante. Il paragone con Tarantino regge fino a un certo punto: Tarantino cambia la storia, ma non ha ambientato nessuna scena nei campi di concentramento. In generale, il nazismo ha sempre avuto maggiore apertura a caricature o una trattazione più leggera (Jojo Rabbit, per dire l’ultimo), mentre l’Olocausto e i campi hanno sempre meritato rispetto e aderenza al reale.

C’è la possibilità, insomma, che questo sia un tema ancora troppo vivo, troppo doloroso perché si possa avere licenza creativa nel modo di trattarlo? Personalmente, la dichiarazione di Weil mi sembra un ombrello incapace di riparare dalla pioggia di critiche: Hunters è una serie pop, commerciale, non ha nessun intento educativo o di memoria evidente; per livellare alla portata di tutti il tema della Shoah, sembra averlo svuotato di tutta la cruda realtà per riempirlo di una brutale irrealtà. Un’operazione forse troppo fine a se stessa: la Shoah si racconta da sola, senza invenzioni. Ma soprattutto, la serie non sarebbe cambiata senza quella scena.

La domanda resta aperta, interrogarci sul tema potrebbe essere la chiave per tenere acceso il dibattito e con esso la Memoria. Perché, anche dopo 75 anni, dimenticare può essere tanto facile quanto moralmente ingiusto.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Conte Gracula ha detto:

    Non l’ho vista e non mi sembra nemmeno troppo interessante.
    Per me, un’operazione del genere si potrebbe anche fare, ma forse bisognerebbe calcare di più la mano sul what if: una serie pseudo-realistica che contenga elementi controversi potrebbe essere considerata come capace di raccontare ampie fette di verità (c’è chi non distingue tra fantasia e realtà, se la rappresentazione è molto credibile, e non tutti vanno a cercare i commenti del regista o altri approfondimenti).

    Magari, inserendo un marcato elemento di fantascienza o horror, ed evitando di usare l’elemento fantastico come motivatore degli orrori reali (Shub Niggurath mi ha detto che dovevo farlo!) ma come mezzo, potrebbe funzionare meglio.
    Sempre che la serie non sua stata fatta così apposta per sollevare critiche e farne parlare, potrebbe essere una scelta di marketing, anziché una artistica.

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