TENET – Se non capisco un film di Nolan, di chi è la colpa?

Con Tenet, Christopher Nolan dà nuovamente prova di essere un autore unico, nel bene e nel eneb.

di Cristiano Bolla

Per un breve momento, spinto dall’euforia post visione del film nella sua versione in 70 mm – a proposito: quanto era mancato il cinema – ho pensato di fare una recensione che rispettasse la stessa lucida follia del film, che fosse palindroma. Ci ho pensato un po’, a come avrei potuto fare, poi alla fine ho alzato le mani dalla tastiera: non si può giocare a fare Nolan.

Arrivato al suo undicesimo film, sembra quasi assurdo dover discutere ancora una volta dell’importanza e del genio rappresentati da Christopher Nolan, professione artista. Ogni suo film, piaccia o meno, è un evento e mai come quest’anno se ne è percepita la grandezza. Tenet farà di certo discutere, arrovellare, dividerà e piacerà molto o per niente, ma solo con una buona dose di disonestà intellettuale si potrebbe non riconoscerne i valori in campo e soprattutto le incredibili unicità.

Il poster del film Tenet di Christopher Nolan
Le regole di Tenet: mascherina e distanziamento temporale

Tenet è, a tutti gli effetti, uno spy movie, una prova generale per un Bond di colore volendo. Se fosse uscito dopo No Time To Die, magari sarebbe stato ancora più evidente. Il tempo cinematografico però è scorso in modo diverso quest’anno: l’entropia della sala è finita con lo scontrarsi col titano Nolan e il suo thriller fatto di tanti elementi classici, insieme ad un altro coup de génie nolaniano. Tenet racconta di un super agente CIA che si imbatte in una tecnologia in grado di invertire l’entropia delle cose e far sì, quindi, che ripercorrano il tempo al contrario. Non una freccia puntata verso il futuro, ma un passaggio nelle due direzioni. L’ispirazione offre la rivalsa ai latinisti e classicisti di mezzo mondo, che possono finalmente alzarsi in piedi nella sala e gridare: “Io lo so cos’è questo: È UN QUADRATO DEL SATOR!“. Anni di attesa ripagati, grazie Chris.

Il quadrato del Sator
Il seminatore, con il carro, tiene con cura le ruote

Christopher Nolan e il tempo, una love story che da Memento a Dunkirk ci ha consegnato una passione specifica, un tratto d’autore, un feticismo pari a Tarantino per i piedi. Nolan non ama probabilmente leccare il tempo, ma plasmarlo a proprio piacere sì. Non è però un sadico, in ogni suo film compreso Tenet dà sempre delle coordinate, una serie di poche e semplici regole che permettono di ritrovarsi, di ancorarsi a qualcosa e restare a galla. I livelli dei sogni in Inception, la dilatazione del tempo in Dunkirk, il montaggio alternato di Memento e ora la pretesa palindroma di Tenet. Nel farlo, però, usa un impianto narrativo classico, l’abc del Viaggio dell’Eroe: il protagonista senza nome (John David Washington) viene chiamato all’avventura, si adatta al mondo, viene aiutato da mentori e spalle (Robert Pattinson), supera le difficoltà del nuovo mondo e arriva allo scontro con l’antagonista (Kenneth Branagh). In mezzo, qualche riflessione su coscienza, libero arbitrio, Paradosso del Nonno e altri temi già più inflazionati, ma di buon contorno.

Nolan è un regista e sceneggiatore, ma anche un linguista. Il cinema è una lingua e sono in tanti a saperla parlare perfettamente, chi in modo più dialettale e chi più forbito, ma in pochissimi sono quelli in grado di riscriverne la grammatica, di inventare nuovi modi di parlare, e Nolan è certamente uno di questi. Il paragone più (ab)usato è quello con Stanley Kubrick, che con Christopher Nolan ha qualche punto in comune: in primis la diversificazione dei generi, la riproposizione di temi o stili in film diversi, ma talvolta anche la stessa critica, essere sopravvalutati.

John David Washington e Christopher Nolan
“Tutto chiaro, no? John? John ci sei ancora?”

Forse è un riflesso del nostro tempo, che ci ha abituati ad una cultura da drive in, inteso come arrivi, ordini, prendi e porti via. L’iper bombardamento quotidiano di piattaforme, prodotti e formati diversi di cui fruire in ogni luogo e in ogni tempo, ma soprattutto l’abbassamento della soglia d’attenzione media sotto il minuto ha cambiato il modo in cui si riceve un film come Tenet. Non capire è diventata ormai una colpa imputabile all’artista, non alla capacità dello spettatore di capirlo, o quantomeno di accorgersi di non essere in grado di farlo. Nolan, che secondo alcuni “dovrebbe tirarsela un po’ meno“, è un autore e fa cinema d’autore: spinge a riflettere, crea dei rompicapi, dei labirinti che il cinema sempre più raramente sa offrire a un livello (di budget) così elevato. Disabituati ad essere sfidati, è più facile allora scaricare la colpa su di lui e sminuirlo, piuttosto che riconoscersi dei limiti: eppure è anche bello così, ritrovarsi un po’ ignoranti. Meglio così, piuttosto che avere la pretesa di ridimensionare l’espressione di un artista.

Non che Tenet non ne abbia, di limiti, o aspetti che si possano criticare. Procede spedito, ad un ritmo forse troppo elevato per non perdersi qualche pezzo per strada e il terzo atto è come il secondo semestre di Analisi II a Ingegneria: o hai capito Analisi I e non ti sei perso una virgola del primo semestre, oppure sei perso. C’è poi quella bonaria tendenza di Nolan a semplificare tutto con una retorica molto più spiccia rispetto al contesto in cui è calata (à la Interstellar e l’amore come collante dell’universo, per capirci), così come una certa avidità o aridità di sentimento, che fu la più grossa critica a Dunkirk; un film però può sopravvivere anche senza un certo tipo di emozione, non è obbligata: sono scelte, angoli di racconto, desideri di mettere in scena cose diverse.

John David Washington e Robert Pattinson in Tenet
“I’m vengeance” “Cosa?” “No scusa, com’era?”

Al netto dei gusti personali e di qualsiasi legittima critica, Tenet resta molte cose: un spy movie, un thriller, un evento, un film d’autore, il più nolaniano dei film di Nolan, un rompicapo difficile da risolvere al primo colpo, ma soprattutto un film senza eguali che non ne esiste un altro come lui. E non significa che sia perfetto, ma è un capo-lavoro, il principio di qualcosa, o forse la sua fine. In qualsiasi senso lo si voglia vedere.

P.s: cinque palindromi per Christopher Nolan:

A te, o poeta

Ameni cinema

Illusa fingo sogni fasulli

Esule e ramingo ogni mare eluse

E so, c’è l’arte, vive e vive tra le cose

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