Gli spaghetti hanno un altro sapore se Michael Keaton ci mette il parmigiano.
di Alessandro Sivieri
Buonsalve a tutti, mi chiamo Barry Allen, lavoro in tribunale e nel tempo libero corro a salvare la gente con una di quelle tute aderenti vecchio stile, belle plasticose, tipo i Power Rangers. Come se non bastasse ho un pesante deficit dell’attenzione e consumo calorie come un treno a vapore perché la velocità della luce è un potere stancante. Questi ultimi due aspetti mi rendono uno dei supereroi coi quali l’autore dell’articolo entra in maggiore sintonia. Ah, sono il galoppino della Justice League e mi muovo sul filo che separa ciò che resta dello Snyderverse dalla sequela di tentativi di rinnovamento del DC Universe, ora capitanato da James Gunn. Recentemente ho fatto una mossa alla No Way Home con contorno di Into the Spider-Verse, visitando inedite linee temporali e combinando un bel casino. Non ho trovato dei lanciaragnatele usati ma ho incontrato Michael Keaton e, soprattutto, una Supergirl così figa che dovrebbe diventare l’instant crush di qualunque essere vivente sulla Terra. Benvenuti a Quello che rimane di Flashpoint dopo un piattone di pasta!

Dunque, dicevamo, Barry Allen soffre di un palese ADHD e di una certa inabilità sociale, ma il suo interprete è ancora più folle. Seriamente, Ezra Miller deve aver sniffato cloruro di cobalto, altrimenti non si spiega il fatto che oltre ad aver ricevuto accuse per molestie, plagio di minore, furto, aggressione e sequestro di persona, si sia attribuito il titolo di Messia mentre vagava in Islanda accompagnato da un santone 55enne. Il ragazzo non è sulla stessa lunghezza d’onda di un normale Homo Sapiens, e non c’è niente di male finché non diventa un pericolo per se stesso o gli altri. Proviamo a fare una cosa che talvolta si rende necessaria e separiamo l’uomo dall’artista, il pazzo vero dal suo personaggio: Miller è davvero bravo. È un ottimo Flash che si barcamena tra le insicurezze personali e il desiderio di riscatto (in primis del padre ingiustamente incarcerato), è il tizio imprevedibile che non sta fermo un attimo e che acquisisce uno spessore emotivo capace di scardinarlo dal ruolo di comic relief della sua squadra supereroica.
Insomma, ‘sto ceffo è travolto dagli scandali, ha dei conti in sospeso con un paio di tribunali e sta attraversando un percorso di igiene mentale, cosa che a Hollywood innesca un meccanismo di damage control, specie se interpreti film per tutta la famiglia… ma in fondo è in gamba! Non vorrete mica buttar via il girato come per Batgirl, giusto? La strategia di marketing ha salvato la baracca, spostando l’attenzione mediatica sull’atteso ritorno del Batman di Keaton, che tra l’altro doveva apparire pure nel film pipistrelloso con Leslie Grace! A un certo punto negli spot si stava perdendo il sentore di un film di Flash, eppure eccolo qui, intento a costruirsi una vita dopo la sconfitta di Steppenwolf. Tampinato dal maggiordomo Alfred (Jeremy Irons), Barry si occupa di salvataggi e disastri che richiedono un intervento fulmineo mentre i restanti membri della Justice League sono presi da altre faccende. Al contempo segue le vicende giudiziarie del padre Henry (Ron Livingston), accusato di aver ucciso la moglie anni addietro, cercando un sistema per tirarlo fuori dai guai.
È in tale frangente che la sua mente iperattiva produce un ragionamento simile a quello di Tom Holland: ma se usassi un trucchetto per risolvere le cose? Tipo cambiare il passato? È qui che veniamo a sapere di un passaggio chiave della Snyder Cut mantenuto nella storia: l’utilizzo della Speed Force nello scontro decisivo con il villain. La Forza della velocità è a tutti gli effetti una dimensione della quale Barry può servirsi quando aumenta a dismisura la rapidità, e all’interno di essa le nozioni come spazio e tempo assumono tutt’altro significato: gli eventi trascorsi hanno l’aspetto di frame da riavvolgere a piacimento, per poi fare il proprio ingresso nell’attimo desiderato, con il bagaglio di inconvenienti e paradossi che il tipico viaggio nel tempo comporta. Il concept visivo della Speed Force di per sé è accattivante, la CGI invece fa un salto temporale meno piacevole, riportandoci a una quindicina di anni fa: i modelli in 3D dei personaggi, ancor più dei fondali, risentono di una qualità pessima, a malapena digeribile per gli standard di settore del 2023. Si passa da render pessimi di Henry Cavill a neonati ancora più brutti, fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi, nello stile degli animaletti che popolano i live action Disney.
Gli effetti sotto la media non rendono giustizia a un montaggio e una regia (targata Andy Muschietti, quello di It) che si impegnano per mostrarci la prospettiva di Flash sul mondo e la sua esistenza ipercinetica. Le idee visive, checché se ne dica, sono sul piatto, mentre per la scrittura… sì, c’è decisamente del caos nella testa di Barry Allen. Il primo atto del film, ambientato nella linea temporale corrente (un po’ Snyder, un po’ Whedon), è invero il più debole e poggia sul sopracitato salvataggio di infanti bruttissimi e sulle comparsate di altri membri della JL in odore di recast, incluso un Ben Affleck veramente spento e con una batsuit dimenticabile, che dispensa qualche saggio consiglio a Barry: le tragedie e gli errori passati, per quanto gravosi, sono parte della nostra esperienza. Vanno superati, non cancellati. Capito, Peter Parker carissimo Barry? Non finire come me, che ho costruito il mio alter ego supereroistico sul trauma infantile e sono diviso tra il senso di giustizia e la rivalsa personale.
Hello Affleck my old Ben…
Flash non ascolta, vuole salvare la madre e quindi abusa della Speed Force, creando dei casini che porterebbero Doc Brown a strapparsi i suoi bianchi capelli. Addio, Batfleck imbolsito. Addio, Gal Gadot e addio al serafico Alfred, perché Ezra Miller crea una realtà alternativa dove vivrà una fantastica epopea con una versione più imbecille di se stesso; un Barry Allen adolescenziale, mezzo fatto, non influenzato dalla perdita materna. E anche qui la cosa funziona grazie all’abilità di Ezra nello sdoppiarsi, nel creare una differenza tangibile tra la versione più assennata del protagonista e quella con l’aria da perdigiorno coccodimamma. Ovvio, tra i due rimangono dei punti in comune che definiscono questo adattamento di Flash, intriso di una cultura pop che si spinge a citare Speedy Gonzales come idolo. Barry maturo non è una cima ma fa la figura dell’adulto responsabile grazie a Barry ragazzino, dando vita a situazioni tipiche della commedia degli equivoci che si rivelano più divertenti di quanto saremmo disposti ad ammettere. Non è la demenza a cui poteva spingersi la Josstice League, è un approccio che rispecchia la schizofrenia del personaggio, quindi viva le corsette da pattinatore nei corridoi e gli attacchi di fame chimica.
Scemo & più scemo – Iniziò così
La vocazione al caos e l’insorgere di una vecchia minaccia (il generale Zod e i suoi bulli Kryptoniani) spingono i due Flash a chiedere aiuto alla persona che Barry maturo conosce come Bruce Wayne, salvo ritrovarsi davanti un attempato Michael Keaton. Il Batman di burtoniana memoria si colloca a un punto della sua vita in cui ha appeso la cappa al chiodo e passa le giornate isolato nella sua magione polverosa. Il covo, le tute, la Batmobile, tutto ha un sapore squisitamente analogico con quel retrogusto dolceamaro del mito che torna in campo con qualche cartuccia ancora da sparare. Lo stesso Keaton, con la versatilità che lo contraddistingue, riesce a passare dal vecchio pazzoide messo lì come spalla comica al vigilante che tutti ricordiamo, uno a cui mancavano il brivido dell’azione e le ferite di guerra. Inoltre, di fronte a un piatto di spaghetti, gratta chilate di formaggio con la faccia da psicotico e illustra ai due Barry la natura di questo viaggio nel tempo: ci sono molte realtà alternative con dei punti di convergenza che rimangono saldi. Bruce Wayne, per esempio, non può fare a meno di diventare Batman e magari di avere a che fare con Barry Allen. Nella bolgia universale sussistono delle piccole certezze e alcuni individui sono destinati a incontrarsi.
Lo squinternato trio si dirige in cerca di aiuti supplementari per respingere Zod, e Batman ha modo di pestare dei soldati russi, sfoggiando uno stile di lotta con i dovuti upgrade e l’amata armatura con il logo giallastro grande quando una pignatta. Il gruppo pensava di trovare Kal-El e invece incappa nella cugina, Kara Zor-El. Questa new entry cambia le carte in tavola: con uno screen time ridotto all’osso, l’attrice Sasha Calle si dimostra, a parere nostro, la supereroina più bella mai apparsa sul grande schermo. Costume indossato in modo spettacolare, registri emotivi sul pezzo, un fascino che taluni, senza alcun intento offensivo, definirebbero da maschiaccio. Kara Zor-El è elemento snyderiano duro e puro, sopravvissuto ai travagli di un DC Universe in crisi di identità e che ci travolge con una grinta spontanea. Avete presente la Captain Marvel di Brie Larson? Bene, quello è l’esempio di una interprete che si trasforma in un manico di scopa pur di apparire tosta. Sasha Calle è tosta in modo naturale, ogni gesto che compie è selvaggio, energico. A completare il notevole quadro della sua presentazione, la sfera di contenimento da cui viene tirata fuori è un palese omaggio all’Akira di Katsuhiro Ōtomo. Signori, qui si toccano le corde giuste.
Viene anche rispolverato un concetto che sta alla base dei cinecomic, o meglio dell’agire eroico, cioè l’atto di fede: salvo uno sconosciuto senza sapere a quali conseguenze porterebbe, o gli offro il mio aiuto, gli do una mano a riconquistare i poteri, tutto in nome di quella credenza istintiva, quella convergenza di personalità e di intenti a cui si riferiva Michael Keaton mentre girava il sugo. Si giunge così all’ultima parte, all’abboffo di schiaffoni e di lezioni morali che nel suo loop confusionario guadagna punti a favore: Supergirl imbufalita che picchia Zod, old Batman che ha il suo momento di gloria e una spiegazione esaustiva dei poteri di Flash, che riesce addirittura a “fasare” attraverso la materia facendo vibrare il suo corpo a velocità impensabili; l’addestramento del Barry giovane da parte di Barry maturo fornisce l’escamotage per chiarirci, una volta per tutte, i limiti e la dinamicità di questo “dono”.
Batman into the Snyder-Verse
L’epilogo corre su un doppio binario: da un lato apprendiamo la verità su un villain rimasto dietro le quinte per tutta la pellicola, che ha un gradevole aspetto monster e rispecchia adeguatamente la brutta piega delle ossessioni del protagonista. Ricordate cosa disse il leggendario Vaas Montenegro in Far Cry 3? “Follia è fare e rifare la stessa cosa, ancora e poi ancora, sperando che qualcosa cambi”. Alcune cose devono accadere, alcune timeline sono fottute, un po’ come la pianificazione originaria di Snyder. L’altro ingrediente del finale è un carrozzone di proprietà intellettuali che non sfigurerebbe, per l’appunto, in un film dove Doctor Strange pronuncia una formula di troppo. Attori scomparsi, versioni di supereroi mai approdate sul grande schermo; una passerella che fa ricorso, nuovamente, a una grafica inguardabile. O cerchi di rimuovere dalla mente ciò che hai appena visto o accetti di stare alle regole e ingoiare tutta la portata, un po’ come Barry che pesca cose abominevoli dal frigorifero pur di rimanere in piedi. I cammei diventano così tanti da rischiare l’indigestione, ma possiamo garantirvi che nel nostro stomaco ci sarà sempre un angolino per Sasha Calle, l’unica con la faccia seria dall’inizio alla fine. Per il resto… volete fare gli scemi? Facciamo gli scemi.
“Ha il potere di spazzare via l’intera razza umana, e se c’è anche una probabilità su cento che sia la nostra fidanzata, la dobbiamo considerare un’assoluta certezza!”
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