PERSONAGGI CULT DEMOLITI DAL CINEMA

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PERSONAGGI CULT DEMOLITI DAL CINEMA

di Alessandro Sivieri

L’adattamento cinematografico di un’opera è sempre un’arma a doppio taglio. Tutti voi custodite gelosamente le storie dei vostri personaggi preferiti, che hanno preso vita grazie a videogame indimenticabili, graphic novel cazzute e collane di fumetti. Vorreste predicarne la grandezza, ma il tipo di prodotto è di nicchia, poco adatto alla fruizione di massa o comunque ammantato di pregiudizi, ed ecco che una vocina dentro di voi inizia a dire “Sarebbe figo se ne facessero un film!”. Perché  il cinema è un mezzo capace di arrivare a tutti (non per niente le dittature del secolo scorso ne hanno fatto uno strumento di propaganda), e non importa su quale prodotto mediale approdi, una buona storia rimane sempre una buona storia, giusto? Giusto??

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Invece no, all’annuncio dell’ennesimo adattamento in live action del videogioco/comic di turno, accanto all’entusiasmo sorgono i primi timori: chi è il regista? Sapranno trasporre l’atmosfera del materiale originale? Ma soprattutto, chi cacchio hanno scelto per interpretare il protagonista?

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Forse esistono davvero personaggi che stanno bene dove stanno, senza dover apparire sul grande schermo: un adattamento ne tradirebbe la vera natura, tra fraintendimenti, semplificazioni o totali cambi di rotta. Ma l’odierna anemia creativa porta Hollywood a scavare sempre più a fondo tra scaffali che non le appartengono, in cerca di nuovi franchise da spremere. Purtroppo, a meno che l’operazione non venga condotta da veri appassionati, il risultato è così scadente da indignare i fan dell’originale e lasciare perplesso il pubblico generalista. In poche parole, flop al botteghino e sputtanamento del nostro eroe. Volete alcuni esempi di personaggi amatissimi che prendono vita sul grande schermo solo per uscirne trucidati?

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DYLAN DOG: DEAD OF NIGHT (2011)

Venghino, signori, venghino! Dopo essere stato ingaggiato da un Bryan Singer evidentemente ubriaco per Superman Returns, il plastico Brandon Routh decide di sputtanare un’altra icona, questa volta proveniente dall’Italia: Dylan Dog, il celebre indagatore dell’incubo nato dalla penna di Tiziano Sclavi. Un orgoglio tutto nostro che Hollywood decide di rimaneggiare a proprio uso e consumo, sfruttando un attore che ha molto in comune con i manichini da centro commerciale: Routh era stato scelto per incarnare il “vecchio” Superman in virtù di una vaga somiglianza al grande Christopher Reeve; infatti nella pellicola di Singer tutto quello che riesce a fare è fingere di essere Christopher Reeve che interpreta Superman.

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In questo film la storiella si ripete: non è un personaggio acuto, sensibile e fuori dal tempo, ma un cosplayer di serie B che ha soltanto bisogno di “pistole più grandi”. La storia è ambientata a New Orleans (Londra costava troppo…), i colori del maggiolone sono invertiti, manca l’ispettore Bloch così come Groucho, rimpiazzato da Marcus, un irritante aiutante zombie. In mezzo a tutta questa baraonda troviamo vampiri e lupi mannari resi mille volte meglio in film più datati come Underworld. Ragazzi, qualcuno fermi Brandon Routh.

MAX PAYNE (2008)

Come non ricordare uno dei più grandi videogame noir di tutti i tempi? Max Payne ha davvero fatto storia, con un uso innovativo del bullet time, una New York fatiscente e invasa dalla neve, sparatorie a non finire, contenuti forti e, ciliegina sulla torta, l’emblematico protagonista: Max è disilluso e assetato di vendetta, ma non rinuncia mai alla sua pungente ironia. Le sue riflessioni, raccontate in voice-over e attraverso pregevoli intermezzi in graphic novel, sono colme di frasi a effetto di stampo fatalistico. Abbiamo giocato nei panni di un poliziotto ormai fuori dalla legalità, un uomo che ha perso tutto, intenzionato a farsi strada verso la verità a colpi di pallottole.

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Una tragicità a dir poco epica e un personaggio carismatico che, con le dovute precauzioni, avrebbero potuto dar vita a un filmone. E invece ci ritroviamo con Mark Wahlberg come protagonista, uno che per sua stessa ammissione non ha giocato al videogame, preferendo interpretare Max a modo suo. Un errore perdonabile, se la sua prova d’attore fosse andata oltre un’accozzaglia di occhi lucidi ed espressioni da costipato. Alla regia abbiamo John Moore (Bedhind Enemy Lines), più intenzionato a cercare di crearsi uno stile che a rispettare il materiale d’origine: al posto delle inquietanti scene oniriche del videogame abbiamo allucinazioni con pacchianissimi esseri alati (spacciati come apparizioni in carne e ossa durante la campagna promozionale, dando alla pellicola un’aura sovrannaturale: altro autogol), un paio di scene in bullet time buttate lì a caso, l’appiattimento totale della trama e la scomparsa di numerosi personaggi chiave. L’unica cosa che si salva è Mila Kunis, ma perché è davvero una gran bella donna.

CONSTANTINE (2005)

Similmente a Dylan Dog, John Constantine è una sorta di investigatore che ha spesso a che fare col paranormale. Creato da Alan Moore e protagonista della serie fumettistica Hellblazer di casa DC, ha sempre fatto dell’ambiguità il suo punto di forza: ha perennemente a che fare con un intero universo sovrannaturale che esiste parallelamente al nostro, ma non si schiera mai apertamente con il bene o con il male, né usa troppo le sue capacità magiche; preferisce risolvere le situazioni con l’astuzia e le sue vaste conoscenze dell’occulto. Come se ciò non bastasse, è bisessuale, un alcolista e un accanito fumatore. L’adattamento cinematografico del 2005 trova il suo Constantine in Keanu Reeves, reduce dalla sbornia dei seguiti di Matrix. Tra qualche inserto action, una trama dimenticabile (il figlio di Satana che tenta di conquistare il mondo) e una scontata predilezione per la religione cattolica (il fumetto è spiritualmente più eterogeneo), a non funzionare è soprattutto il protagonista: Reeves non ce la fa, ma non perché non è biondo, è semplicemente spaesato.

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Non basta compiere esorcismi con aria strafottente, fumare come una ciminiera e mostrare il dito medio ad angeli e demoni per essere John Constantine. Il suo somiglia più a un Neo depresso con gadget alla James Bond. Le poche note positive si trovano nel cast dei comprimari, con Tilda Swinton nei panni di un asessuato Arcangelo Gabriele e Peter Stormare in quelli di un Lucifero biancovestito. A ben vedere c’è anche una visione dell’inferno come dimensione post-apocalittica, che può apparire originale a chi non abbia mai giocato a un qualsiasi videogame degli ultimi anni con orde di demoni che assalgono il giocatore. Insomma, benvenuti nel politicamente corretto, nel neopuritanesimo hollywoodiano dove il protagonista non è un cinico imbroglione, ma un cacciatore di spiriti maligni che cerca il perdono del buon Dio. Un’epurazione che fa venire il mal di stomaco.

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Vedete, questi sono i risultati quando un’accozzaglia di produttori dal portafoglio gonfio decidono di sfruttare un nome. Compriamo i diritti, scartiamo qualsivoglia contenuto non adatto a dei cerebrolesi e tiriamo a bordo un attore più o meno di grido. A dare il colpo di grazia al personaggio ci penseranno poi i vari yes man, registi e sceneggiatori semi-sconosciuti che eseguiranno gli ordini senza fiatare. Ma noi fan, a parte protestare (a volte in modo un po’ troppo isterico, lo ammetto), cos’altro possiamo fare?

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Un commento Aggiungi il tuo

  1. apheniti ha detto:

    Mettiamo in chiaro una cosa: il Dylan Dog del 2011 NON ESISTE. Non è mai stato prodotto, non è mai stato girato, non è mai uscito nelle sale. È tutta una grossa allucinazione collettiva, ecco.

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