OSCAR AWARDS 2017 – FENCES, di DENZEL WASHINGTON

di Cristiano Bolla

Inizia anche su Monster Movie il periodo di avvicinamento agli Oscar 2017. In realtà è già iniziato, col senno di poi, da quando il prode Nanni Cobretti ci ha deliziato della sua rece su Arrival di Denis Villenueve (che potete rileggere QUI). Il secondo film in ordine alfabetico candidato nella categoria Miglior Film (e non solo) è Fences, diretto da Denzel Washington.

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Per parlare un po’ del film bisogna raccontare la sua storia: Fences (in italiano Barriere) ha passato una lunga gestazione prima di finire sugli schermi; è basato sull’omonima opera teatrale di August Wilson, vincitrice del Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1987 ed è uno dei pilastri della rappresentazione americana. Un evergreen, per così dire: Denzel aveva interpretato lo stesso ruolo nel 2010 in un revival dell’opera teatrale, per poi dichiararsi disponibile, nel 2013, a prendere in mano la cinepresa e dirigerne l’adattamento cinematografico. Perché ci è voluto così tanto tempo per vederla su schermo? Principalmente perché lo stesso Wilson insistette perché ci fosse un afroamericano alla regia. Fatto curioso: pur essendo morto nel 2005, August Wilson è accreditato come sceneggiatore del film ed è stato persino candidato nella sezione Miglior Sceneggiatura Non Originale. Il perché sia indicato come tale diventa evidente già nei primi cinque minuti di film.

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Piccolo racconto della trama: Troy Maxson è un afroamericano che vive nella Pittsburgh degli anni ‘50 con la moglie Rose e il figlio Cory e ha in testa solo una cosa: la responsabilità, di mantenere la famiglia, di risparmiare per i lavori in casa e non ultimo di costruire la staccionata di casa, quella fences che dà il nome all’opera. Troy è un uomo ligio e che lotta per avere quello che ha, conscio che non è facile per un afroamericano di quegli anni avere qualcosa di più dei bianchi. Per questo suo modo di fare entra in contrasto col figlio, che vorrebbe giocare a football ma non ha il permesso del padre, e con la moglie.

FENCES

Fences è un classico della drammaturgia americana: la staccionata che Troy vuole costruire è una chiarissima allegoria al desiderio di tenere fuori qualcosa, nel suo caso la Morte (dalla quale, a sentire i suoi racconti, è già scappato), ma che finisce per dividere il padre dal figlio e il marito dalla moglie. A seconda delle interpretazioni e dei personaggi, assume sfumature diverse: crea una barriera emotiva tra Troy e Cody, i cui mondi sono troppo distanti e inconciliabili, mentre per Rose è un modo per tenere vicini e protetti i propri cari. Nel corso dell’opera, come del film, la staccionata è in via di costruzione ed è, in un certo senso, il motore della scena.

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Tornando al perché August Wilson sia indicato come sceneggiatore seppur morto nel 2005: l’intero film di Denzel Washington è una messa in scena cinematografica che poco si discosta dall’opera teatrale. La matrice è evidente e viene esaltata in tutto il film: ambienti unici (l’interno della casa, il portico, il giardino sul retro) e tanto, tantissimo dialogo. I primi tredici minuti sono una lunghissima chiacchierata tra Troy e l’amico di una vita Bono, in cui si alternano veloci scambi e ampi monologhi, formula che in realtà si ripete per tutto il film. Pochissima la musica, giusto a sottolineare i passaggi temporali, ma la cosa che lo rende prettamente teatrale è come alcuni dei passaggi chiave che fanno progredire la vicenda avvengano fuori scena, non visti. Il palcoscenico è quasi sempre la casa di Troy e quello che c’è fuori non viene visto.

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Per supportare un film del genere e con la sua lunghezza (due ore e venti) c’era bisogno di delle performance fuori dall’ordinario e così è stato: sia Denzel Washington che Viola Davis sono stati candidati all’Oscar, con la seconda che ha già portato a casa il Golden Globe per lo stesso ruolo. Il lavoro di Denzel su Troy è evidentemente frutto di una lunga conoscenza del personaggio, mentre quello di Rose colpisce per la sua intensità emotiva.

Fences candidato a Miglior Film è il miglior anti-blockbuster che ci potesse essere: un adattamento cinematografico di un’opera teatrale che, però, è ben viva e presente sulla scena. Un classico senza tempo, una storia intensa che ha qualcosa da dire anche dopo trent’anni.

Uscirà in Italia il 23 febbraio, ma ho qualche dubbio su quante copie ne saranno distribuite e quanto sarà quindi accessibile. È cinema dell’ABC, quando con pochi tocchi si mette in scena qualcosa di valore: giusto per ricordarci che, a volte, tutto quello che serve al cinema è una storia da raccontare.