Paolo Villaggio e la sua maschera: sempre perdente, per sempre immortale

di Cristiano Bolla

“Con Fantozzi ho cercato di raccontare l’avventura di chi vive in quella sezione della vita attraverso la quale tutti (tranne i figli dei potentissimi) passano o sono passati: il momento in cui si è sotto padrone. Molti ne vengono fuori con onore, molti ci sono passati a vent’anni, altri a trenta, molti ci rimangono per sempre e sono la maggior parte. Fantozzi è uno di questi.”

Roma, 1971. Fantozzi nasce qui, dalla penna prima che dalle espressioni di Paolo Villaggio e dalla regia di Luciano Salce. In questo estratto dalla premessa del primo libro, c’è tutto il suo manifesto artistico e umano.

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Siamo abituati a manifestazioni di cordoglio sui social network, ai vari “vai e insegna agli angeli”, ma mai come questa volta il sentimento comune appare come di sincera tristezza e tanta, tanta malinconia per un personaggio che, anche 18 anni dopo l’ultima apparizione sul grande schermo, continua a essere importante, sentito, attuale. È morto Paolo Villaggio, ma per tutti questo nome è solo l’anticamera della sua creatura più conosciuta. Naturalmente non era tutto lì: dalla bocca e dal corpo del caratterista italiano sono usciti il Professor Krantz, tedesco di Germania, il quasi ladro Dalmazio SiraghiGinepro Parodi (detto “Dieci”) nella pellicola di Mario Monicelli e tanti altri, tra cui quel Giandomenico Fracchia capo-stipite della dinastia dei Fantozzi, laddove tutto sembra avere avuto inizio, nel 1968.

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Forse erano altri tempi, in cui bastava meno per fare del genio, ma il modo in cui Paolo Villaggio re-interpretava i suoi stessi personaggi, dandogli vesti e sfighe nuove, ma sempre le loro inconfondibili caratteristiche, lo hanno reso allo stesso tempo poliedrico e immutabile, come il suo Fantozzi. È inevitabile, alla fine, ricadere sempre lì, un po’ perché l’uomo Paolo Villaggio è spesso stato definito burbero, umanamente non il massimo della cortesia e del rispetto a sentire chi ci ha lavorato (Anna Mazzamauro per esempio), ma anche perché di certo il Ragioniere per eccellenza è tra le maschere più importanti del cinema italiano, al pari di Erminio Macario, Totò e Alberto Sordi. Fantozzi lo è stato per la sua epoca, l’Italia del dopo boom economico, in cui tutto sembrava possibile e, al contempo, niente lo era per un piccoletto come lui.

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È doveroso ricordarlo come la miglior rappresentazione dell’Italiano Medio, come il più grande “perditore” di tutti i tempi perché

“Ho perso sempre tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto – dico otto! – campionati mondiali di calcio consecutivi, capacità d’acquisto della lira, fiducia in chi mi governa”

Tuttavia, oltre la faccia e le gesta da sfigato cronico, perenne insoddisfatto e sicuro perdente, c’è molto altro. Mi piace sempre parlare dei film di Fantozzi concentrando l’attenzione sulla love story che corre tra tutti e dieci i film e che ha il suo apice ne Fantozzi va in paradiso (1993). E no, non mi riferisco al momento in cui, finalmente, riesce ad avere la donna dei suoi sogni, quella signorina Silvani che cede alla sua foga afrodisiaca, ma al vero amore della sua vita, la Pina. Riepiloghiamo la vicenda.

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A Fantozzi danno poco tempo da vivere, quindi è naturale che voglia togliersi tutte le soddisfazioni possibili, tra cui quella di riuscire ad avere la famigerata Miss Quarto Piano. La Pina lo sa e per questo, in gran segreto, stringe un accordo economico con la Silvani: soldi in cambio di una notte con suo marito. Fantozzi, ignaro come sempre, consuma l’amplesso e poi scrive alla Pina una lettera pregna di cattiveria e risentimento per aver buttato via tutti quegli anni assieme a quella donna coi “capelli color topo e l’alito di fogna”.

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La spedisce, ma subito trova il contratto segreto e allora corre dietro al furgoncino della posta, liberandosi di una Silvani vogliosa e che vuole che Fantozzi glielo “ridii”. Arriva a casa e strappa di mano la lettera alla Pina, che l’ha già letta. Lui non lo sa, lei nega di averla letta e quindi lui gliela recita:

“Mia cara Pina, finalmente ho scoperto qual è la donna più importante della mia vita e quella che io amo di più. E sei tu, con tuoi capelli argento e l’alito che sa di rosa e se potessi scegliere, passerei con te tutto il resto della mia vita. Ah, è l’ultimo giorno.”

Ecco, per me Fantozzi è questo: uno che si lamenta sempre, cui probabilmente non ne va una giusta, che ha sposato una donna poco avvenente e ha una bertuc-babbuin-una bambina di dubbia natura animale, con zero soddisfazioni al lavoro e costretto a essere sempre vessato, da tutto e da tutti. Fantozzi è questo, ma è anche un padre che salva la figlia e la nipote da più umilazioni, che sa riconoscere e scegliere l’amore supremo rispetto a un desiderio di una vita. È un buono e, da detto popolare, come tutti i buoni alla fine lo prende sempre in quel posto. Soprattutto, è immortale.

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Perché sì, Paolo Villaggio e il suo genio, il suo talento artistico se ne sono andati e da pozzo non sgorgherà più nulla, ma è riuscito a realizzare una delle più grandi ambizioni umane: essere ricordato, diventare immortale nella memoria di generazioni e generazioni che non lasceranno mai andare via il suo lascito, la sua eredità poetica (“Ah… Anche poeta! Pù”) resterà cristallizata nella storia, nella pellicola e ovunque sia arrivato.

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Muore Paolo Villaggio, ma restano Fantozzi, Fracchia, Dalmazio, la Pina, il Ragionier Filini, Cecco il nipote del Fornaio, Loris Batacchi, il Mega Direttore Galattico, la Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare e il Visconte Cobram; resteranno le partite a tennis nella nebbia, le vacanze alla discarica di Franchino e quel maledetto palo durante Italia-Inghilterra la sera della celeberrima Corazzata Kotiomkin. Per gli amanti, resteranno anche quelle storie non narrate dai film (come “Fantozzi va in Palestra” o “Fantozzi chiede l’indennità di volo”) ma scritte delicatamente e con ilarità da quell’uomo che non sapeva

“[…] scrivere in italiano. Nel parlare mi arrangio, anche perché astutamente sposto sempre la discussione su cinque argomenti già collaudati: il passaggio dal socialismo al comunismo, nuovi esempi di cinema underground americano, il secolo di Luigi XIV, magia e ipnotismo, sud-est asiatico. Non sono ancora “franato” sull’astrologia, ma una volta ho parlato per un’intera sera di Godard, ma sinceramente l’ho fatto solo quella volta, ed ero quasi ubriaco.”

Che poi non è morto veramente, lo sappiamo cosa sta succedendo. A quest’ora l’aereo verso il Paradiso sarà stato dirottato da terroristi e lui, al cospetto di Buddha, avrà scelto di reincarnarsi.

E quindi a presto, Ragionier Pupazzi, numero di matricola 1001/bis. Uacciuariuari.

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