Riscoprendo la favola delle astronavi in miniatura.
di Alessandro Sivieri
Secondo i canoni di genere, quando si verifica un incontro ravvicinato del terzo tipo, è previsto che il visitatore alieno approdi sulla Terra con una nave spaziale e si avventuri al di fuori di essa (innescando storie che prevedano un ritorno all’ovile, come in E.T.) per interagire con gli umani. Ma se fossero le astronavi stesse a porsi come entità senzienti? L’ipotesi si concretizza con Miracolo sull’8a strada, film fantascientifico dall’impronta natalizia e in larga parte dimenticato, se non addirittura confuso dagli italiani con Miracolo nella 34a strada, quello con il Babbo Natale di Richard Attenborough.
L’epopea delle navicelle in miniatura doveva essere un episodio della serie Amazing Stories, ma il soggetto piacque così tanto a Steven Spielberg che decise di produrre un lungometraggio con la Amblin, mettendo alla regia Matthew Robbins (che in seguito diventerà un collaboratore di Guillermo Del Toro). Il team di cervelli dietro all’opera è notevole: parliamo di Brad Bird alla scrittura, affiancato da S. S. Wilson (sceneggiatore di Corto circuito e di Tremors), con un’aggiunta di James Horner per la colonna sonora e del veterano degli effetti speciali Tad Krzanowski. Uno squadrone di tutto rispetto per dare vita a quella che, in ultima analisi, si è rivelata una parabola dove la magia viene annacquata dalla stucchevolezza. Eppure il buonismo alieno del marchio spielberghiano mi colpì molto da piccolo, tanto da portarmi a rivedere spesso questa pellicola registrata su VHS.
In casa squillava ciclicamente una vocetta rompiballe:
“Papà, papà, guardiamo le astronavi!”
“Oh no, ancora…”
A dirla tutta, vent’anni dopo sono in grado di comprendere la spossatezza genitoriale alla mera riesumazione del termine “astronave”. I co-protagonisti del film sono proprio dei dischi volanti in miniatura, provenienti da non si sa dove, che si rifugiano in un fatiscente palazzo di New York per ricaricarsi e mettere al mondo la prole. I mini-UFO si riveleranno di buon cuore e faranno amicizia con gli abitanti dell’edificio, stabilendo con essi un rapporto simbiotico. La componente umana che, superato l’iniziale spavento, arriva a trattare gli ospiti alieni come membri di una famiglia, è rappresentata dai classici emarginati, figure oppresse dalla società capitalistica. Il gruppo di inquilini è infatti vittima delle speculazioni di uno spietato industriale, che mira alla demolizione del palazzo. Per fargli abbandonare la propria casa è disposto a tutto, incluso assoldare il criminale Charlos Chaves (Michael Carmine) per commettere atti di intimidazione e vandalismo. A patire duramente sono in primis gli anziani coniugi Riley (Hume Cronyn e Jessica Tandy), che si ritrovano il bar mezzo distrutto. Disagi vari colpiscono gli altri personaggi, che comprendono un ex-pugile, un pittore fallito e una giovane donna incinta. L’arrivo delle astronavi si rivelerà salvifico, poiché in cambio dell’ospitalità aiuteranno i protagonisti a proteggere il palazzo e a ritrovare se stessi.
La costruzione del rapporto umano-extraterrestre attraversa la via maestra: il timore, la meraviglia e una progressiva conoscenza reciproca. Gli inquilini si sentono fortunati ad aver accolto degli esseri speciali che, nel contesto del film, sono degli emarginati come loro. Le astronavi si riproducono e costruiscono una nuova famiglia, che include metaforicamente i protagonisti allo sbando. Sentendosi in debito, gli UFO rimettono in sesto la tavola calda degli anziani coniugi e contribuiscono, per quanto possibile, a risolvere le magagne del vecchio edificio, mentre le minacce di Carlos e dei suoi scagnozzi si fanno più frequenti. Il tutto è pensato per un target giovanissimo, con gag e buoni sentimenti a profusione, forse perché delle astronavi minuscole con figli acquisiscono credibilità unicamente in un contesto infantile. Inevitabile l’epilogo smielato, che suggella e amplifica la formula dell’aiutante magico in grado di valorizzare l’esistenza dei buoni.
L’abbondante dose di zucchero riduce il peso drammatico e l’incisività delle scene chiave, anche se un paio di scelte narrative, portate avanti in parallelo, lasciano il segno e valorizzano la psicologia dei comprimari: l’Alzheimer della signora Riley, che vive in un mondo tutto suo, la porta a credere che il teppista Carlos sia in realtà Bobby, il figlio morto anni prima in un incidente. L’ingenuità innata e gli effetti della malattia fanno sì che il personaggio di Jessica Tandy sia il primo a comprendere la natura dei visitatori alieni. Altri segmenti vedono il taciturno Harry (Frank McRae), pugile in pensione, stringere un legame speciale con uno dei cuccioli di astronave, salvato dalla morte dopo il parto. Insieme a degli effetti visivi di pregevole fattura, *batteries not included (titolo originale) offre un pizzico di fantasia nel degrado urbano senza sovvertire le regole, rimescolando in salsa robotica i vari E.T. e Starman. Escludendo la nostalgia non mi è possibile attribuirgli lo status di cult, ma va certamente recuperato dai curiosi e dai cultori degli eighties targati Spielberg.
Miracolo sull’Ottava Strada DVD