NIGHTCRAWLER – JAKE GYLLENHAAL È UN VERO MOSTRO…
di Alessandro Sivieri
… e non solo di bravura. Il suo personaggio, Lou Bloom, è genuinamente inquietante e incredibilmente cinico. Lo conosciamo all’inizio del film come un ladruncolo che campa di espedienti, come la rivendita di materiale metallico rubato, e che conduce un’esistenza solitaria in un appartamento di periferia, senza amici né relazioni amorose, passando le notti a girare su Internet in cerca di opportunità, di nozioni su come costruire un’azienda di successo e su come vendersi il meglio possibile. Non ha hobby particolari e si limita ad alcuni gesti rituali, come annaffiare le piante.
Uno stile di vita che per certi versi ci fa ricordare il Robert De Niro di Taxi Driver, anche se Travis Bickle, confrontato al personaggio di Gyllenhaal, risulta una persona con tutte le rotelle a posto. A Lou non piace la gente ed è privo di empatia, il suo obiettivo è sbarcare il lunario in tutti i modi possibili, anche al di fuori della legge e della morale.
L’occasione della vita, su misura per lui, si presenta quando assiste a un incidente stradale: accorrono prontamente sul posto degli operatori video freelance, che riprendono tutta la scena con l’intenzione di rivendere il girato ai network televisivi locali. In Lou scatta un’illuminazione e si procura prontamente una videocamera e uno scanner radio per informarsi tramite la polizia su tutti gli episodi cruenti che avvengono in città. Grazie alla prima ripresa di successo incontra Nina (Rene Russo), responsabile di un’emittente televisiva, che vedrà del talento in lui e lo prenderà sotto la sua ala protettrice. Nonostante la donna sia più vecchia, in Lou scatta un’attrazione fisica nei suoi confronti, e i due arriveranno presto a stringere un rapporto ben più intimo di quello professionale, che per via dell’ambizione del suddetto si trasformerà in una relazione ambigua, non priva di ricatti.
Mentre l’abilità di Lou come cameraman cresce, così come i mezzi a sua disposizione, a diminuire è il suo senso del limite. Il ragazzo diventa privo di scrupoli e arriva a sfruttare altre persone, infilarsi in situazioni pericolose e nascondere prove alla polizia pur di arrivare per primo e riprendere in modo quasi pornografico un crimine o una disgrazia. L’ascesa di Lou e Nina rappresenta in un modo nemmeno troppo distorto il cinismo del giornalismo odierno, un tema che per via degli studi universitari compiuti mi tocca da vicino: la notizia non è più un dovere verso la comunità, non esiste più, salvo rari casi, un rapporto onesto tra il cronista e lo spettatore. Al contrario, la notizia è un prodotto da vendere, le vite e i sentimenti delle persone passano in secondo piano rispetto alle scene di sangue sbattute sullo schermo, all’esibizione della sofferenza, ai criminali sviscerati in modo morboso, quali eletti a rockstar.
Il giornalismo di oggi, in particolar modo quello televisivo, è un pericoloso mix tra intrattenimento macabro e terrorismo psicologico, dal quale lo spettatore sembra dipendere. Lou rappresenta il prodotto e il produttore di tutto questo, l’apice di ciò che un cronista non dovrebbe essere, e vede la sua professione solo come una scalata al successo. Va da sé che chiunque ha il diritto di guadagnarsi il pane, ma vale davvero la pena perdere la propria umanità per filmare una carneficina? Mettere in pericolo se stessi e gli altri, lasciando girare delinquenti a piede libero pur di registrare il loro arresto nel momento giusto? Lou non è ovviamente una persona normale, è un sociopatico in piena regola, ma il suo modo di agire è terribilmente verosimile in una società malsana come la nostra, e ci mette a disagio, come un riflesso nello specchio che vorremmo evitare di vedere.