I Magnifici 7 – Il western è morto, viva il western
di Cristano Bolla
C’era una volta un genere che dominava il cinema americano e non solo: il western. A ben vedere, il western è stato tra i primissimi generi mai apparsi al cinema; cos’era altrimenti The Great Train Robbery di Edwin S. Porter, (1903)? L’età d’oro del western corre lungo tutto il XX secolo, con particolare enfasi dagli anni ’30 fino ai ’70-’80. In realtà è difficile dargli una data di fine, anche se è innegabile che ormai sia un genere ritenuto superato e che possa dare poco al cinema attuale. E allora che fare? Già, la risposta fissa del cinema hollywoodiano di oggi: remake.
Tra questi cult del genere ce n’è uno su tutti che ha fatto storia e saga: I Magnifici Sette di John Sturges (1960), liberamente ispirato e adattato al west americano dal film I Sette Samurai di Akira Kurosawa (1954). Per l’epoca, quello di Sturger era una sorta di blockbuster: avere nel cast tutti i grandi dell’epoca come Yul Brynner, Eli Wallach, Steve McQueen, Charlie Bronson e James Coburn era roba da ricchissimi e da successo assicurato. Sono seguiti tre altri film (1966, 1698 e 1972), una serie tv alla fine del secolo e persino un remake fantascientifico nel 1980. Per dire: questo film è importante, ha segnato al storia del cinema western americano e non solo.
Quindi, a distanza di 56 anni dal primo, è comprensibile che a qualcuno sia venuto in mente di farne un remake: I Magnifici 7, appunto. Quel qualcuno è un signor regista Antoine Fuqua, supportato alla sceneggitura da Nic Pizzolatto e Richard Wenk. Il primo passo, ovviamente, è trovare altri sette attori moderni che possano essere considerati magnifici. Fuori Brynner e soci, dentro Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio, Lee Byung-hun, Manuel Garcia-Rulfo e Martin Sensmeier. Arruolata anche Haley Bennett e su questo punto ci tornerò.
Svelo il mistero: I Magnifici Sette di Fuqua è un buon film e soprattutto un bel remake, che fa quello che si spera sempre per questo tipo di operazioni, rispetta l’opera originale e prova a farla rivivere adattandola al contesto e al mezzo moderno. A partire dalla trama, di cui sostanzialmente poco viene cambiato: un villaggio povero e in difficoltà, giogo di un magnate spietato e pronto a espropriarli di tutto, chiede aiuto ad un noto pistolero per riottenere la libertà e le proprie case; questo accetta e assolda altri sei mercenari per il compito. Paro paro proprio.
A cambiare, nel remake, sono ovviamente le storie e il meltin pot dei personaggi: nel 1960 era probabilmente impensabile avere un orientale, un pellerossa, un nero, un messicano e degli ex-confederati tra i protagonisti. Punto in più alla modernità è anche la presenza e l’importanza della donna protagonista. Inevitabili e apprezzati i rimandi musicali al film originale, nel quale le musiche erano curate da un certo signore chiamato Elmer Bernstein.
Tutto bene, quindi? Ni. Perché se nel complesso I (nuovi) Magnifici 7 funziona tutto, a mancare è il gusto e il fascino dei tempi che furono. Inarrivabile la presenza scenica degli attori del 1960, così come il ritmo, il gusto e il “colore” dei veri western. Da apprezzare è però il tentativo: il neo-western di Fuqua non indulge in musiche inadatte al contesto e nel dettaglio del cruento; chi viene sparato, cade a terra e chi s’è visto s’è visto. Fuqua, insomma, non segue la via di Tarantino: i suoi Magnifici 7 non hanno molto a che vedere con gli Odiosi 8 di Tarantino. È solo una differenza, non una critica: The Hateful Eight resta probabilmente uno dei capolavori del nuovo cinema moderno e per certi versi quello che manca a Fuqua, la gestione dei tempi e dei dialoghi e la ricercatezza di quella patina da film western vero e proprio, ce lo mette proprio Tarantino.
Il western è morto, viva il western e su questo non ci si può fare niente: i tempi e le tecniche sono cambiate, in primis la velocità e il ritmo del montaggio. I Magnifici 7 non era il remake che meritavamo ma quello di cui avevamo bisogno, o forse è il contrario: non lo so, questa frase mi incasina sempre. Sta di fatto che si lascia guardare, rinnova con rispetto e non scorda di omaggiare la versione originale.
Ben fatto, Fuqua. Per questa volta niente mezzogiorno di fuoco sotto al campanile. Per questa volta…