Apocalypto
di Matteo Berta
La diversità di giudizio ha caratterizzato tutta la carriera di questo attore divenuto regista. Possa piacere o meno, è innegabile e incontrovertibile il fatto che Mel Gibson sia un autore. Dal successo del “Cuore Impavido” fino alla verosimiglianza-biblica de “The Passion”. Oggi analizziamo una storia diversa, un racconto che parla del primogenito “Zampa di Giaguaro” e della sua turbolenta ed eroica avventura. Nello Yucatán, Mel inserisce la sua nuova storia di leadership, come tutte le sue narrazioni si basano sulla guida, fisica o spirituale che possa caricarsi sulle spalle il peso delle responsabilità e diventare punto di riferimento, faro per coloro che gli stanno vicino. Abbiamo emozioni e pensieri ricorrenti, oltre all’eroica sfida per la sopravvivenza, il protagonista dovrà affrontare la più ardua delle bestie, dovrà combattere con se stesso per comprendere il desiderio innato di insaziabilità degli uomini e il suo personale “ritorno”, per Zampa di Giaguaro dovrà rispondere a quel desiderio, che non è semplicemente una necessità della moglie incinta del secondogenito che ha bisogno di lui (“Torna da me”) ma dovrà far ritorno alle sue origini, ai suoi istinti, ai propositi principali che caratterizzano il genere umano.
L’estetica del film viene messa a servizio della storia di sofferenza e cammino esperienziale, il protagonista cresce con il variare delle situazioni emotive e fisiche. Dal suo villaggio andrà come prigioniero nella città Maya per poi seguire e domare la propria paura che lo porterà a diventare il vero “Zampa di Giaguaro”. Un film interessante da molti punti di vista: da quello storico-sociologico a quello esoterico-culturale, oltre ad essere una grande storia eroica.
Al tempo, per questa colonna sonora, Horner cercò di mettersi da parte e non rischiare di caricare troppo drammaticamente alcune sequenze, quindi si limitò a ricalcare il tono delle scene. Non so perché ho rimandato di una decina d’anni la visione di un film così bello. Consiglio vivamente la storia di questo “Mosè indigeno”.