di Alessandro Sivieri
Combattere i signori della droga è una guerra senza regole. Bisogna essere più spietati del nemico, fare il lavoro sporco per tenere pulita l’immagine di facciata, quella di un paese sicuro, sobrio e attaccato ai propri valori. Questo lo sanno i servizi segreti ma non la giovane agente dell’FBI Kate Macer (Emily Blunt), che dopo aver perso metà della sua squadra in seguito a un’esplosione si offre volontaria per una task force determinata a bloccare il narcotraffico tra Messico e Stati Uniti. Le solide convinzioni della ragazza iniziano a vacillare dopo aver conosciuto Matt Graver (Josh Brolin) e Alejandro (Benicio del Toro), i due capi della squadra. Il primo, cinico e spaccone, cela i propri segreti dietro un muro di risposte ironiche; il secondo è un uomo senza passato, un killer che rivaleggia con i criminali per ferocia. Kate capisce presto che l’antidroga non è più un’operazione di polizia ma infiltrazione, guerriglia in mezzo ai civili, tortura. Sconfiggere i trafficanti è un’utopia, dato che il 20% della popolazione consuma i loro prodotti. L’unica strada percorribile è quella del controllo, riducendo il numero di minacce a pochi boss facilmente monitorabili.
Come in Prisoners (qui la nostra recensione), altra opera di Denis Villeneuve, i protagonisti si trovano di fronte a scelte difficili che mettono alla prova la loro etica. La giovane Kate, inizialmente incline a socializzare con la sua nuova squadra e seguire rigidamente il protocollo, si renderà presto conto di essere una pedina, un alibi governativo per celare il modus operandi illegale dei suoi compagni. Questa lenta discesa nel lato oscuro della giustizia è incastonata in panoramiche quasi spettrali del confine messicano, dove il silenzio contemplativo viene spesso interrotto da spari in lontananza. Le scene d’azione e violenza non mancano e sono spettacolari (specie quella notturna, con efficaci sequenze in soggettiva), ma anche ben dosate, lasciando spazio all’ombra di una guerra segreta e impossibile da vincere, dove a contare più del bene comune è la vendetta personale.
Tutto questo ricorda fortemente pellicole come Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen, in cui la fatalità si consuma in modo sottaciuto, incomprensibile agli onesti. Il focus non è tanto sullo sterminio dei cattivoni come in Tropa de Elite ma sulla psicologia della protagonista, una poliziotta sola e malinconica, all’apparenza forte, che deperisce fisicamente e psicologicamente nel corso della vicenda, scoprendosi agnello in una zuffa tra lupi. Proprio con il più pericoloso di questi, un Benicio del Toro magnetico e intimidatorio, arriverà a stringere una parvenza di legame, salvo poi apprenderne i reali intenti nella parte finale, una carneficina senza eroi, dove chi ha perso tutto vuole distruggere chi ha ancora tutto da perdere.
Se Villeneuve riuscirà a trasporre queste impietose dinamiche psicologiche anche nell’imminente sequel di Blade Runner, ci troveremo davvero di fronte a un blockbuster adulto e rivestito di un’essenziale autorialità.
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