Estratto dalla tesi di ricerca “Analisi del cinema di mostri di S.Spielberg come modello ed icona di un genere” di Matteo Berta
Buonasauro,
Già dal primo trailer cinematografico si poteva ricavare un interessante spunto simbolico: il gigantesco Mosasauro (imponente attrazione del nuovo parco giurassico) si divora uno squalo bianco appeso come un qualsiasi pezzo di carne da pasto giornaliero e subito dopo ci appare la scritta: “Executive Producer Steven Spielberg”, un simpatico accostamento di citazioni commemorative allo Squalo del regista statunitense divorato da un suo stesso progetto che ormai (per sua volontà) non gli appartiene più come un tempo; l’industria cinematografica del ri-proponimento commerciale che si “sazia” con il simbolo di un‟epoca passata e “accantona” il suo creatore nella relativa (artisticamente parlando) posizione secondaria di produttore esecutivo. Un po’ il destino di tutti coloro che si ostinano a creare i propri carnefici in queste avventurose storie.
Sono trascorsi alcuni anni dall’epilogo del terzo capitolo ed esattamente ventidue dal fallimento del Jurassic Park su Isla Nublar, e si è pensato bene di dimenticare la propria recente storia e riproporre una struttura apparentemente funzionante di nome Jurassic World. Già nel primo atto ci viene presentato il nuovo proprietario del parco: l‟industriale Simon Masrani, responsabile del nuovo progetto giurassico, ispirato alle ultime volontà del vecchio John Hammond (omaggiato nel film sotto forma di statua dorata, all‟ingresso del nuovo centro visitatori).
Ritroviamo la partnership con la tecnologia genetica sviluppata dalla INGEN, che sotto la guida del ritrovato dott. Henry Wu, il parco è in grado di ospitare nuovi esperimenti genetici e sempre nuove attrazioni a favore di un pubblico, che sembra essersi abitato all’esistenza dei dinosauri.
La grande novità attrattiva, che sarà il principale motore trainante degli sfortunati eventi, è proprio la creazione di un ibrido geneticamente modificato denominato Indominus Rex. Un animale “assemblato” grazie alla combinazione di DNA di rettili differenti preistorici (e non solo) che, seguendo le logiche narrative standard del franchise, sfuggirà al controllo, seminando il terrore sull‟isola. Ci troviamo di fronte ad un plot ridotto all‟essenziale, in perfetto stile Spielberg, a cui non mancano i diversi omaggi tecnico-narrativi. Una grande avventura vecchio stile che punta sul trionfo della moralità e del buonismo. Una pellicola che da un certo punto di vista cerca di “acchiappare” le nuove generazioni oramai abituate ad una spettacolarità visiva (se pensiamo al formato nativo 16:9 e all’eccessivo utilizzo di CGI) e dall’altra vuole cercare di far scendere una lacrima, a tutto quello “zoccolo duro” di fan della saga che cercano di tornare bambini per due ore della loro vita. Jurassic World è un film che non si pone come obbiettivo la verosimiglianza o la scientificità (anche se ha partecipato nuovamente alla produzione il consulente paleontologo Jack Horner), ma che vuole divertire e animare gli animi di grandi e piccini in uno stile forse
ingiustamente dimenticato.
I protagonisti si presentano molto caratteristici e sembrano voler seguire l‟arco di crescita personale dei precedenti capitoli. Troviamo una talentuosa Bryce Dallas Howard che interpreta la protagonista femminile Claire Dearing, amministratore delegato del nuovo parco, e Owen Grady (Chris Pratt) un ex marine che interpreta il classico eroe avventuroso che scioglierà il cuore della bella e stereotipata perfezionista Claire. Non potevano mancare i bambini, i veri punti di vista delle vicende (chiaro omaggio alla logica spielberghiana), essi sono Zack e Gray, anch’essi molto stereotipati e quasi macchiettistici, uno è un adolescente in piena ribollizzione ormonale, e l‟altro è il classico bambino sognatore, entrambi nipoti di Claire. Il “cattivo” di turno è interpretato da Vincent D’Onofrio, protagonista di una sotto-trama a scopi ovviamente tenebrosi e negativi, che immancabilmente finirà tra le fauci di uno dei dinosauri.
Una trama che ricalca i plot “sempliciotti” dei film di avventura anni settanta/ottanta, un avventura pura ed essenziale in perfetto stile Steven Spielberg. Un film che punta diretto al cuore di un target differenziato. Una grande cerchia di persone che si commuove di fronte ai numerosi omaggi al passato che incontra il nuovo pubblico, una generazione composta da instancabili divoratori di effetti speciali e di velocità narrativa che non si perda in lunghe riflessioni o in grandi inquadrature da incorniciare. Jurassic World non è altro che un Blockbuster che si è prefissato l’obbiettivo di accontentare un po’ tutti, e vedendo le statistiche del box office (Miglior incasso nel week end di
apertura di tutta la storia del cinema e in continua scalata del Box Office WorldWide) e delle critiche, pare proprio che ci sia riuscito.
L’audience del panorama cinematografico contemporaneo, essendo satura di input e soggetta all’esposizione di grandi prodotti mediali quotidiani, necessità di stimoli sempre più efficaci per il proprio indice di attenzione. Nel caso della cinematografia quindi, c’è sempre più il bisogno di paratesti e strategie comunicative che convincano gli spettatore ad ascoltare la storia che vuoi proporgli. Dal punto di vista storiografico, il prologo sembra essere spesso trascurato, ma risulta essere ancora il miglior mezzo per carpire l’attenzione dello spettatore.
L’inizio de Jurassic World, deve per forza di cose, riuscire subito colpire e cullare lo spettatore nel nuovo sogno cinematografico. Risulta estremamente necessaria l‟analisi dell‟incipit del film per riuscire a descrivere al meglio questo nuovo gigantesco “monster”, protagonista indiscusso di questo nuovo capitolo.
Il logo della Universal Pictures è accompagnato dalle prime note della traccia Bury the Hatchling, composta da Michael Giacchino, colui chiamato a raccogliere l‟eredità iconica e irraggiungibile di John Williams e amalgamarla con la sua nuova partitura. Successivamente ci viene presentata l’animazione della nuova versione del logo della Amblin Enterteinment, dove Spielberg ci ricorda metaforicamente di non preoccuparci della sua assenza in cabina di regia. Quando ci viene presentato il logo della Legendary Pictures, Giacchino ci vuole introdurre nella sacralità del prologo attraverso l‟utilizzo di un coro che spezza l’atmosfera creata inizialmente dai vari strumenti a fiato, ma esso si interrompe al punto giusto, quando lo screen diventa completamente bianco. La grande chiarezza dell’immagine è una metafora rappresentativa della nascita (“Si vede la luce per la prima volta nella vita”) e in fatti è proprio di natività che tratteranno i secondi successivi.
Un fiato traverso accompagna musicalmente la dissolvenza di quella grande luce bianca in una superficie biancastra, quella dell’uovo che, una volta messo a fuoco, mostrerà la prima crepa. La schiusura del suddetto è accompagnata non solo dall’imminente tema dell’Indominus creato magistralmente da Giacchino, ma anche da pulsazioni cardiache probabilmente riprodotte da un macchinario di controllo presente
nel laboratorio genetico. Quando una “zampina” dell’animale riesce finalmente ad uscire dal guscio, il leitmotiv dell’Indominus Rex capeggia di sottofondo: uno xilofono sembra imitare le sonorità e il ritmo di un classico carillon, tutto questo per enfatizzare la situazione “infantile” della nascita, ma le note riprodotte sono altamente suggestive, in alcuni casi dissonanti, e questo non è altro che un avvertimento che Giacchino ci vuole dare: “Si… è nato un cucciolo, ma presto lo connoterete in modo diverso”. Man mano che la “carrellata” “retro-procede” ci accorgiamo di avere di fronte un fantastico piano sequenza digitale che oltre a sfruttare dei movimenti di camera artificiali, utilizza
magistralmente anche dei cambi focali, simulando un macro obbiettivo che dopo aver seguito le prime fasi della schiusura di quest’uovo, decide di passare ad un altro, dove la fase di schiusura inizierà di li a breve, quando l’inquadratura simulata aggirerà il soggetto, per poi ritornare sull’uovo presentatoci in precedenza. Molto inquietante l‟apparente concentrazione sul secondo uovo, mentre allo stesso tempo è percepibile in secondo piano, la zampa vista in precedenza che si divincola e che lentamente torna a fuoco.
Questa sequenza iniziale vuole subito far riferimento alla “Nascita dell’Incubo”, l’emblema del Jurassic Park era stato proprio la nascita, la strategia di riproduzione, il fatto che l’uomo abbia perso il controllo su di una tecnologia genetica che inizialmente proponeva un semplice cucciolo tenero che fuoriesce da un uovo, ma successivamente si trasformava in mostro. In questo caso abbiamo già la percezione di essere davanti alla nascita dell‟orrore. La camera simulata lentamente si avvicina al primo uovo proposto, dove la zampetta cerca di farsi spazio, rompendo sempre più sezioni del guscio. Dal buco creatosi dall‟animale nell‟uovo, spunta il suo occhio, di un giallo/arancio acceso, ed è altamente suggestivo. L’animale guarda diritto in camera. E’ nato L’Indominus Rex .
Conosciamo meglio il nostro intelligentissimo cattivo. l’Indominus Rex è un dinosauro
transgenico ottenuto missando geni di diversi rettili, quelli di cui il film ci fornisce la sicura identità sono: il Tirannosauro da cui ha preso le fattezze corporee; il velociraptor da cui ha preso il grande sviluppo intellettivo; le seppie sono state utilizzate del dr.Wu per attribuire all’animale una certa abilità mimetica; le raganelle gli hanno conferito la capacità di regolare la sua temperatura corporea (sarà una delle principali strategie dell’Indominus per sfuggire ai rilevatori termici) e altri rettili diversificati per la visuale in “modalità” infrarossi.
Il paleontologo Jack Horner, richiamato nuovamente come consulente scientifico per il nuovo capitolo della saga, ha raccontato a Yahoo Movies 60 , che per aiutare a creare il nuovo gigantesco ibrido, si è ispirato ad un dinosauro chiamato Therizinosaurus.Scelse proprio quel dinosauro, per trarne ispirazione per l0Indominus, perché esso possedeva due grandi zampe anteriori in grado di afferrare perfettamente le cose e soprattutto utilizzarle come arma di difesa o attacco, se pensiamo che il più grande predatore di tutti i tempi (T-Rex) era solamente dotato di due piccolissime zampe anteriori che gli permettevano solamente di restare bilanciato e mantenere la sua postura.
L’Indominus, inoltre, si presenta di carnagione molto chiara e la grandezza del corpo è superiore al Tirannosauro. Tutti questi elementi sono serviti alla creazione di una nuova grande attrazione per il parco dei divertimenti. L’aspetto più terrificante di questo nuovo animale però è proprio quello intellettivo. Il professor Grant, nel terzo capitolo della saga, disse che i raptor, se non si fossero estinti, molto probabilmente sarebbero diventati i padroni della terra. L’indominus contiene anche materiale genetico raptor (proprio per questo motivo che, nel terzo atto, riuscirà a comunicare con loro), ma questo nuovo ibrido sembra essere ancora più intelligente dei suoi “preistorici colleghi acquisiti” e il modo in cui viene presentato e descritto nelle scene iniziali da Claire, Wu e Owen, è molto interessante.
Il magnate responsabile della produzione del parco (come ultimo desiderio di Hammond), ovvero il signor Masrani, dopo aver constatato la maestosità del suo nuovo ibrido, ordina a Claire di far partecipare Owen al processo di crescita e sviluppo sociale del dinosauro, per via dell‟esperienza ottenuta lavorando con i raptor. Quando Owen giunge al recinto dell’Indominus, prima che scoppi il primo turning point dove l’Indominus riesce a fuggire dalla sua prigione, annota delle questioni interessanti. Secondo l’ex marine, gli animali cresciuti in cattività sono molto più instabili degli altri, e nel caso del nuovo ibrido, la situazione potrebbe essere peggiore, in quanto già in tenera età si era sbarazzato delle sorelle poste nel recinto con lui e l‟unico rinforzo 62 positivo, deriva da un braccio meccanico che gli porta il cibo. Owen nota che l’Indominus inizialmente è un animale che non conosce il mondo e se stesso a causa della mancanza di rapporti sociali e ciò che aggraverà la situazione, quando riuscirà a fuggire dal recinto, sarà proprio il fatto che tutto ciò che vedrà al di fuori del suo corpo, sarà cosa nuova e quindi scoperta continua che necessita di neutralizzazione.
Inizialmente l’Indominus Rex, ci viene mostrato come un infante con problemi di relazione sociale, poi quando escogita il piano di fuga, ci troviamo di fronte ad un animale dall’intelletto notevolmente sviluppato e infine seminando il panico uccidendo solamente per il gusto di farlo, si presenterà ai nostri occhi non più come un semplice animale, ma come un mostro.
L’uomo torna a creare mostri inconsapevolmente del fatto che potrebbero diventare i propri carnefici. In questo capitolo della saga, il concetto della creazione di creature e l’imposizione sulla natura, viene superato aggiungendo un nuovo tassello: innestare un artificio in un materiale genetico preistorico. Ci troviamo di fronte ad un uomo che non gli basta intervenire nel suo presente, ribaltando gli ordini della storia naturale, ma è desideroso di qualcosa di più (“più denti…”), è estremamente consapevole di voler creare una mostruosità, perché i dinosauri non sono più una vera attrazione.
Nella spettacolare scena finale del film, dove il regista non fa altro che mediare tra i grandi omaggi al finale del primo capitolo della saga e la spettacolarità delle sequenze in CGI, si trovano di fronte i due più grandi predatori: L’indominus e il T-Rex (liberato da Claire come ultimo disperato tentativo per sconfiggere l‟enorme ibrido), che fanno nascere uno scontro epico senza precedenti, generatore anche di spunti metaforici. La vecchia saga e la datata logica avventurosa spielberghiana si scontra con la nuova cinematografia di mostri basata sulla spettacolarità. Due colossi a confronto.
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The Lost World. Analisi semiotica del film.
JURASSIC PARK III. Analisi Semiotica del film.
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