THE ZERO THEOREM – LA RICERCA DELL’INEFFABILE

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di Alessandro Sivieri

Il visionario Terry Gilliam ha fatto la storia anche al di fuori dei Monty Python: da pellicole deliranti come Paura e delirio a Las Vegas fino a Brazil e L’esercito delle 12 scimmie, il regista ci ha abituato a opere fuori dalla norma. In particolare eccelle nel produrre fotografie kitsch e distopiche di un futuro non troppo remoto, dove personaggi insicuri si muovono in contesti alienanti, potenziati dall’uso espressivo del colore e da un certo gusto per il grottesco. Questo Zero Theorem, con un Christoph Waltz in gran forma, ha atteso più o meno tre anni prima di approdare sui nostri schermi, ma ora possiamo godercelo in tutta la sua stranezza. Vi avverto subito, non è un film facile e ha molto in comune con quella piccola perla anni ’80 di nome Brazil, dalla quale prende in prestito molti temi.

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Qohen Leth, il personaggio di Waltz, è definibile come un Fantozzi del futuro: un timido programmatore che lavora da casa (in realtà è una chiesa sconsacrata) per una spietata corporazione. Risolvendo puzzle tra il retrò e il futuristico con il suo supercomuter, Qohen ha il compito di completare il Teorema Zero, una complicatissima formula matematica che cela il segreto dell’esistenza stessa. Non c’è altro scopo nella vita del protagonista, che è privo di affetti e divertimenti. Ha un passato oscuro, fatto di vizi e delusioni, e si è rifugiato in una dimensione quasi monastica, in cieca attesa di una telefonata che dovrebbe placare i suoi dilemmi. Tra i pochi rapporti che riesce a sviluppare c’è quello con Bainsley (Mélanie Thierry), una sorta di squillo virtuale fornitagli dall’azienda per motivarlo nel lavoro. I due cercheranno di avere una relazione lontana dalle apparenze e dalle simulazioni, meditando persino una fuga insieme, ma quella felicità non arriverà mai, un po’ come la fatidica telefonata. Gilliam mette in scena un delirio tecnologico e sociale, ma il tema di fondo è ciò che Leopardi chiamerebbe “l’infinita vanità del tutto”.

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Come in Brazil abbiamo impiegati privi di identità, prede di una tecnologia che aggrava la loro depressione e di multinazionali prive di scrupoli. Ma Waltz non sogna una fuga, è vittima dei suoi stessi processi mentali, cercando la redenzione in avvenimenti impossibili invece che nei rapporti umani. L’esito di questa redenzione, ahimè, lo possiamo solo intuire, perché Gilliam ci serve un finale criptico, un’apparente “fuga da Matrix” che non si basa sui fatti ma sugli stati d’animo. Ed è giusto lasciarsi trasportare da quest’opera senza fame di chiarezza, perché al di là di un intreccio fuorviante, dell’umorismo fuori dagli schemi e della dualità fede/nichilismo, in The Zero Theorem c’è molto sentimento, quel tipo di emozione che buca gli schermi, visti dal regista come un carcere per le nostre personalità.

The Zero Theorem (Blu-Ray)

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