di Alessandro Sivieri
Scordatevi quell’avventura fantasy degli anni ’90 con un Robin Williams in gran forma, dove un gioco da tavolo maledetto aveva il potere di alterare la realtà in modo folle e drastico. La scarsità di idee hollywoodiana si fa nuovamente sentire ed ecco che ci viene servito questo sequel apparentemente privo di inventiva, dove il solito gruppo di liceali stereotipati viene risucchiato da Jumanji. E non parliamo della tavoletta ma di una sorta di videogame vintage, che digitalizza i nostri eroi in stile Tron, per poi convertirli in avatar e catapultarli in un mondo selvaggio esteticamente poco ispirato.
Tra questi personaggi giocanti troviamo due figure che sono come il prezzemolo e che fanno dei film caciaroni la loro bandiera: Dwayne Johnson e Jack Black. Il primo, manco a dirlo, ha bicipiti esplosivi e lancia i cattivi contro colonne e pareti. Il secondo è grasso e goffo, la classica spalla comica che finisce più volte in pericolo. A salvarsi, nel gruppo, è Karen Gillan, già interprete di Nebula nella saga dei Guardiani della Galassia. Una donna affascinante come poche, in abiti succinti che la rendono tosta e, se possibile, ancora più sexy. Il resto fa acqua come i cicloni tropicali.
Se si decide di dare un seguito non necessario a un film autoconclusivo e radicato nella memoria dei trentenni di oggi, il minimo sindacale è creare una continuity credibile. Il solo collegamento al Jumanji originale, per ora, si limita alla giungla stessa, dove Alan Parrish ha lasciato degli indizi durante l’esilio. Il resto si presenta come una manfrina rocambolesca con bestie in CGI, orde di motociclisti incazzati e cadute nei burroni. L’unica nota azzeccata è che la ragazza più carina e arrogante del gruppo si ritrova trasformata in un tizio sovrappeso di mezza età. Ora, noi non siamo degli snobboni intellettualoidi e l’avventura, anche se scarsa di cervello, ci piace e ci fa divertire. Ma a questo punto era davvero necessario collegarlo al film del ’95?