di Alessandro Sivieri
In questa puntata, per la serie “Quelli che nessuno conosce”, facciamo un salto indietro di dieci anni nel panorama indie francese. Dal nuovo millennio in poi l’Europa ha mostrato il suo lato più prolifico nell’ambito horror e fantascientifico, in particolare grazie a giovani cineasti spagnoli e transalpini che ci hanno regalato pellicole memorabili, spesso scimmiottate oltreoceano a uso e consumo del pubblico statunitense. Eden Log, non reperibile nel nostro paese, è l’opera d’esordio di Franck Vestiel, regista che ha fatto gavetta in produzioni come Saint Ange, Them e Dante 01 di Marc Caro (amicone del più noto Jean-Pierre Jeunet). Opera sperimentale e affascinante, mi ha colpito molto quando ero un pischello e presenta anche qualche tratto da monster movie, quindi è ideale per chi ha l’intenzione di spendere 90 minuti lontano dai blockbuster.
Siete avvisati, è un’avventura lenta, criptica, lontana dai canoni di certa azione fanta-horror. Girato interamente con camera a mano, con un budget striminzito e a diversi metri sottoterra, Eden Log presenta un’atmosfera tra il post-apocalittico e il surreale, con ambientazioni che ricordano da vicino l’estetica gigeriana e i lavori anni ’70 alla Alien. I colori sono desaturati all’eccesso e la colonna sonora minimalista dei Seppuku Paradigm rende palpabile la scenografia sporca e desolata. Protagonista muto di questa epopea dantesca è Clovis Cornillac, nei panni di uno sconosciuto che si risveglia nelle profondità di una gigantesca struttura, senza alcuna memoria del passato. Esplorando la città sotterranea, invasa dalle radici di un gigantesco albero, si rende conto di essere uno dei pochi superstiti di una rivolta, che per oscuri motivi ha distrutto il progetto di una società utopistica. Verità sempre più inquietanti emergeranno durante il suo viaggio verso la superficie, dove si troverà alle prese con pericolosi mutanti e scoprirà la verità su se stesso e sulla misteriosa vegetazione che lo circonda.
Ermetico fino alla fine, il lavoro di Vestiel scava letteralmente nell’animo umano, mettendone a nudo le pulsioni più violente e animalesche, senza risparmiarsi speculazioni sul futuro della civiltà e critiche che oggi appaiono più che mai attuali, come lo sfruttamento dei migranti. Al ritmo impercettibile e alla quasi assenza di dialoghi suppliscono un’estetica davvero azzeccata e la mimica del silenzioso Cornillac, che dà vita a un personaggio con cui difficilmente ci toveremo a empatizzare, specialmente quando abusa di altri esseri umani. Un’esperienza sensoriale che ci guida fino a un epilogo liberatorio, dove si ricompone il mosaico di un’umanità allo sbando. Se cercate la diversità senza compromessi, recuperatelo con ogni mezzo.