di Cristiano Bolla
Mettiamola così, spicciamente: se una serie tv ti convince a comprare il libro da cui è tratta prima ancora di finire gli episodi, allora è una serie riuscita. Ho lasciato la casa sicura Netflix per recuperare gli episodi di American Gods, serie che in Italia è stata distribuita su Amazon Prime Video. É stato amore a prima inquadratura.
Partiamo dalla base: American Gods è una serie di otto episodi ideata da Bryan Fuller (Star Trek, Heroes e soprattutto Hannibal) e Michael Green (Smallville, Logan, Alien Covenant e soprattutto Blade Runner 2049), prodotta da Freemantle Media North America e adattamento dell’omonimo romanzo vincitore dei premi Bram Stoker, Nebula e Hugo, scritto da un certo signore chiamato Neil Gaiman. Il libro in questione è stato considerato inadattabile per quasi un decennio, perché la complessità e densità della sua narrazione non sembravano poter trovare uno sbocco fattibile sul piccolo (o grande) schermo. Poi arrivano quei due geniacci, Fuller e Green, e fanno il colpo grosso.
La trama, in breve, prende piede da quando Shadow Moon viene rilasciato dal carcere con qualche giorno di anticipo perché sua moglie, Laura, è morta in un’incidente stradale. Nel viaggio per raggiungerla, incontra il misterioso Mr. Wednesday che lo convince a lavorare per lui come guardia del corpo mentre si dirige ad una riunione importante nel Wisconsin. Il tragitto è costellato di personaggi e avvenimenti che faranno sì che Shadow metta in discussione tutte le sue convinzioni.
E facciamolo ‘sto immenso spoiler (ironia mode on): American Gods parla di divinità, antichi e moderni dei che si danno battaglia nell’America dei giorni nostri. Una guerra per la sopravvivenza, perché gli dei esistono solo quando c’è ancora qualcuno che crede in loro. Questo semplice paradigma fa si che lo scontro sia tra antiche divinità ormai dimenticate e le nuove che hanno il controllo del mondo: la globalizzazione, i mass media e la tecnologia. Gli schieramenti però non sono immutabili: vecchi dei si fanno convincere dai nuovi ad uno svecchiamento, un “upgrade” che gli permetta di continuare ad essere venerati dall’uomo moderno. Tutto questo è maledettamente geniale, perché American Gods, oltre ad una “banale ma non troppo” retorica sulle nuove forme di fede, parla anche di reificazione e deificazione: gli dei si fanno reali, tangibili e lo fanno in quanto qualcuno innalza loro lodi e onori; una lezione che Shadow Moon impara nel suo folle, follissimo viaggio assieme a Mr. Wednesday, Wotan, Grimnir o come lo chiamano i vari altri dei incontrati. Ecco, nella moltitudine delle divinità esposte c’è il genio letterario di Neil Gaiman che incontra le abilità narrative e visive della televisione.
In ogni episodio c’è una specie di piccolo prologo che presenta, in maniera quanto più filologica, una divinità: il Dio della Morte Anubi, la Regna di Saba Bilquis, ma anche il dio tribale Nunyiunnini, protagonista di una sequenza in CGI diretta da Vincenzo Natali, già regista di episodi di Hannibal e Westworld, serie con cui condivide molto visto anche il potente materiale narrativo alla base. Lo scontro generazionale divino è declinato con una narrazione spesso frammentaria, ma con una coscienza registica incredibile e in cui è evidente il lavoro e le tendenze di Fuller & Green: colonna sonora spesso cacofonica, piena di strumenti a fiato, dettagli estremi e in CGI e un ritmo pazzesco, folle ma mai scontato o stucchevole. Se una colpa c’è, è di finire troppo presto e lasciare apertissimo il prosieguo della serie: poco “potente” il finale rispetto alle premesse.
Tuttavia, se una serie è in grado di far venire voglia di recuperare la matrice letteraria, allora come detto non può essere che un giusto adattamento e tributo. E American Gods lo è, in toto. Per certi versi ricorda Hannibal, per altri la recente Legion, soprattutto nella declinazione onirica, estremamente visiva. Alcuni dicono che è il ponte perfetto tra quest’ultima e Twin Peaks.
In attesa della seconda stagione, la serie sulla guerra degli dei in America lascia in eredità una curiosità immensa per le varie mitologie che Gaiman ha scritto e che Fuller e Green sono stati così bravi a declinare sul piccolo schermo. Un appeal incredibile che proietta American Gods nel piccolo pantheon delle serie più riuscite degli ultimi anni.
Ah, ho detto che c’è anche Gillian Anderson vestita da Marylin Monroe?
Non serve sapere altro, spero.
