HIGH RISE – LA TORRE DI BABELE POSTMODERNA

Tom Hiddleston divora cani durante l’assemblea di condominio.

di Alessandro Sivieri

Chi non troverebbe le assemblee condominiali meno tediose con qualche orgia e saccheggio? Gli inquilini di uno stabile, specie se numerosi e male assortiti, possono dare vita a un microcosmo relazionale imprevedibile. High Rise, pellicola del britannico Ben Wheatley tratta dall’omonimo romanzo di J. G. Ballard, fa suo questo concetto e lo sublima a metafora sociale. A trasportarci in questo strano viaggio, ambientato negli anni ’70, è il dottor Laing di Tom Hiddleston, giovane e riservato luminare della medicina che decide di acquistare un appartamento nel palazzo ultramoderno progettato dall’architetto Anthony Royal (Jeremy Irons).

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Quest’ultimo ha concepito una struttura visionaria, dove gli appartamenti stessi diventano opere d’arte e sono abbinati a ogni tipo di comfort, dalla piscina al supermercato, portando gli inquilini a dover abbandonare il complesso solo per motivi lavorativi. Inizialmente entusiasta del trasloco, Laing si accorge che la popolazione del condominio è divisa in classi sociali: gli industriali e i professionisti facoltosi vivono nei piani alti, mentre le famiglie meno abbienti, con tanto di prole numerosa, vivono in quelli bassi.

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Il protagonista stringe dei rapporti con figure chiave che, a modo loro, simboleggiano ogni categoria di inquilino, come Richard Wilder (Luke Evans), che lavora in televisione e abita in basso insieme alla moglie incinta Helen (Elisabeth Moss). Quest’ultimo ha idee di stampo proletario e disprezza le classi ricche, non rinunciando però a qualche scappatella con donne più abbienti, come la femme fatale Charlotte (Sienna Miller). La donna, che è anche una madre single, sembra però preferire Laing, in quanto entrambi abitano nella sezione centrale del palazzo.

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Dati gli agi e le dinamiche relazionali in seno al condominio, gli inquilini diventano sempre più disinteressati al mondo esterno, finendo per costituire una società parallela. La progressiva perdita di ogni bussola morale acuisce i conflitti tra i ricchi e i poveri, con i personaggi di Laing e Royal, ormai amici e mentalmente affini, a fare da spettatori. Un’interruzione della corrente fornisce il pretesto per scatenare il caos e sorgono episodi di violenza, saccheggi e veri e propri baccanali. Se inizialmente i conflitti tra le classi si limitano a chi organizza il party più rumoroso, in breve le schermaglie si focalizzano sulle ultime risorse disponibili, come cibo e prodotti per la casa. Ovviamente le uscite funzionano e nessuno vieta ai condomini di uscire, ma questo significherebbe allontanarsi dal questa nuova vita.

Il dottor Laing, arrampicatore sociale, osserva gli eventi con un sinistro compiacimento. Mentre lo stabile cade in rovina e gli scontri mietono vittime, il personaggio di Hiddleston sembra trovare una nuova dimensione di sé, anche se la sua passività e imperscrutabilità ci precludono una sincera empatia. Anche i personaggi di contorno non riescono a uscire dalla propria dimensione macchiettistica, incluso il sanguigno Wilder di Evans, ossessionato dalla vendetta verso i potenti.

Ben Wheatley gioca con le nostre ossessioni consumistiche e con il disorientamento contemporaneo, fornendoci una versione alternativa degli anni ’70 che risulta attuale. Accanto a un paio di intuizioni visive azzeccate pone delle suggestioni post-apocalittiche con venature splatter, specie nell’incipit. Purtroppo la vena grottesca si fa talvolta pesante, annacquando la comprensione degli eventi. Gli attori che danno vita a questa società distopica, dalle logiche simili a quella di Snowpiercer, paiono spaesati quanto i loro personaggi. Il racconto che nel libro di Ballard era serioso e lineare diventa qui abbozzato, perdendosi in un contesto forzatamente simbolico. Certo, non mancano le scene piene di significato, come quando Laing viene invitato a una festa dei piani alti, dove i partecipanti indossano un costume da aristocratico settecentesco. Tra risatine e pettegolezzi, non devono compiere alcuno sforzo per immedesimarsi nel ruolo, poiché gli viene naturale. Il condominio può essere visto come una Versailles postmoderna, una prigione dorata per nobili e meno nobili che si scannano tra loro, mentre il Re Sole (in questo caso Royal) assiste alla scena con curiosità mista a disprezzo. La meteora, l’elemento potenzialmente instabile, è proprio il personaggio di Hiddleston, che pare aver compreso queste logiche ed è in grado di spostarsi tra i piani con scioltezza. Il dottor Laing rimane però sullo sfondo, non aggiungendo nulla al racconto e rinchiudendosi in un approccio disinteressato. Lo stesso si può dire per la regia, che nel presentarci questa allegoria politica fortemente estetizzante si dimentica di aggiungere un pizzico di incisività. Ora scusatemi, ma l’ascensore non funziona, quindi vado a razziare un supermercato.

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