Un Lupo Mannaro Americano a Londra: Il Re è nudo e anche mannaro!

Quando i capisaldi di genere non invecchiano bene.

di Matteo Berta

Non è autolesionismo ne istinto allo scartavetramento dei gioielli di famiglia il mio intento, ma come sempre navigo nel desiderio della rinobilitazione di un genere che è sempre stato bistrattato da una parte e sopravvalutato dall’altra e l’analisi (più obbiettiva possibile) sembra essere l’unica soluzione per circoscrivere e “far cantare” i film di mostri.

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Il 1981 è stato l’anno dei licantropi, è innegabile la portata iconografica di due lavori come L’ululato di Joe DanteUn lupo mannaro americano a Londra di John Landis. Entrambe le pellicole sono state curate, dal punto di vista degli effetti speciali pratici del quel geniaccio (secondo solo a Stan Winston) di Rick Baker. Concentrandoci sul lavoro di Landis, notiamo come il suo film sia rimasto nella mente e nelle viscere degli appassionati del genere e non, ma penso anche che, quello che da molti viene considerato come “capolavoro del genere” ed in parte lo è, dal momento che si trattò della prima trasformazione horro/splatter in quello stile di un uomo in un lupo, sia da rivalutare alla luce dei contenuti narrativi e rimuovere per qualche minuto dall’equazione tutto l’aspetto emozionale e gli elementi suggestivi nostalgici.

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Parlando con il mio carissimo amico cinefilo di vecchia data (Il Terribile) ho capito come quel film possa aver avuto un impatto importante sul pubblico e come si fatichi a considerare il fatto che non sia  quel masterpiece inattaccabile e comprendo anche come ogni forma di critica possa essere recepita come attacco personale. Lo stesso Terribile a malincuore lo vedo abbassare lo sguardo e ammettere che l’amore per quella pellicola rimane parassitario di quelle sensazioni provate nel buio della sala mentre Daivd si trasforma per la prima volta nello spaventoso licantropo.

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Il film è un missaggio tra l’horror e la commedia più sempliciotta che porta lo spettatore in quel senso di agrodolce timburtiano che a volte intriga ma altre (come diciamo a Brescia) stongia (stufa nel senso dell’abbondanza di zuccheri). Un Lupo mannaro a Londra è un film pieno di difetti, difficile e quasi blasfemico ammetterlo, ma se si scava dentro di se oltre tutti i sentimenti si trova una sceneggiatura che non scende mai in profondità e si limita a ricalcare una struttura narrativa da semplice B-Movie, la recitazione dei protagonisti è spesso sopra le righe e la bassa credibilità in molti momenti porta ad una forte flessione empatica con i personaggi e le fasi lupesche spesso vengono fraintese per colpa di un montaggio di immagini di repertorio, bellissimo trucco e dissolvenze stranianti.

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Non sono qui a dire che l’unico modo per apprezzare un lavoro del genere sia quello di spedire con pacco prioritario il cervello agli anni ottanta, assolutamente, per poter scrivere questo articolo me lo sono riguardato con gusto e ho goduto nei momenti da godere, ma ho anche preso parecchi appunti nei momenti deboli, dico solamente che un neofita del genere e uno spettatore (non del tutto ignorante) della nuova generazione possa non apprezzare il lavoro e sentirsi lontano da determinate logiche  (montaggio, di narrazione e di effettistica).

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L’importante Elmer Bernstein alla colonna sonora sembra frenarsi e non decide di commentare appieno il film, limitandosi a “colorare” le sequenze ricalcandone il tono e ogni tanto accanendo qualche nucleo tematico (soprattutto per quello al piano) più funzionali che incisivi.

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Nonostante abbia rivalutato con il tempo questo titolo non sarebbe onesto ricordare gli aspetti positivi, oltre agli effetti speciali pratici che preferisco sempre anche oggi all’eccessivo utilizzo della CGI, è da ricordare con gran piacere le sequenze pseudo-oniriche spesso orfiche delle allucinazioni o ri-presentazioni dell’amico in decomposizione che fa visita al protagonista rappresentando una delle più arcaiche significanti del concetto di mostro come monere ovvero ammonimento.

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Quando ci si trova di fronte a dei prodotti difficilmente “toccabili” bisogna sempre armarsi di onestà e spirito costruttivo, il film che abbiamo analizzato oggi rimane un caposaldo del genere, nessun merito va estirpato, va solo rivalutato e posizionato nel giusto contesto. Qui potete trovare un’interessantissima argomentazione di Rolling Stone su come questo film abbia cambiato le carte in tavola di un genere: How ‘American Werewolf in London’ Transformed Horror-Comedy

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Negli ultimi mesi si parla di un possibile remake del film, oramai nell’epoca della nostalgia imprenditoriale hollywoodiana non ci stupiamo più di nulla, ma è interessante e divertente il dibattito che si è creato attorno a questa possibilità. Il Regista Landis, venuto a conoscenza che lo stesso figlio sta lavorando al progetto del remake si è subito scagliato contro l’idea in stile “Voglio bene a mio figlio, ma è un pasticcione” dichiarando il concetto in modo non del tutto velato ad un’intervista per Collider:

“Gli ho sconsigliato di farlo. Credo che si stia cacciando in una situazione spiacevole. Mio figlio è brillante, sul serio, e vuole farlo. E io che posso dirgli? No? So che comunque non sarà mai tanto brutto come Un lupo mannaro americano a Parigi, che era una merda. Quindi, chi lo sa…”

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