Tre sono le serie che hanno pesantemente segnato gli ultimi tre decenni televisivi: Breaking Bad, Lost e Twin Peaks, l’anti-serie televisiva per eccellenza. Mi mancava e ho recuperato le tre stagioni: David Lynch cammina con me.
di Cristiano Bolla
Twin Peaks – Stagione 1
Era tra i propositi del nuovo anno, assieme al tornare in palestra, mangiare più sano e scoprire la cura per quelli che indossano le croc. Tra tutte, colmare la lacuna Twin Peaks mi è sembrata la più facile da fare. Grosso errore. Mi sono approcciato a questo gigante della serialità con una sola informazione: c’è una certa Laura Palmer che viene uccisa e non si scopre mai chi è il suo assassino. “E allora di che parla?” è stata la frase che mi ha accompagnato durante tutti i primi episodi della prima stagione di Twin Peaks, andata in onda nel 1990, anni in cui il format televisivo era ben definito da certi canoni e regole di composizione. Poi arriva lui, David Lynch, che assieme a Mark Frost e Angelo Badalamenti prende un badile e lo schiaffa in faccia al telespettatore che i broadcaster avevano pazientemente coltivato e coccolato negli anni.
La TV, e per certi versi il cinema, fino a Twin Peaks si reggevano su certi dogmi: mai annoiare lo spettatore era il più sacro. Lynch, invece, lanciò questa serie fatta di lunghissimi tempi morti, dialoghi abbozzati che non portano da nessuna parte, personaggi e recitazioni improbabili e qua e là qualche scampolo di soprannaturale che non si spiega benissimo. I primi 8 episodi di Twin Peaks ci portano in questa verde cittadina e ci presentano ai vari Dale Cooper, Harry Truman e tutto il corollario di personaggi che li circonda, ma è solo un lungo setting e una prima prova per lo spettatore: se superi questo primo test, ti porto nel mio mondo, sembra dirci il buon Lynch. Sta di fatto che alla fine della prima stagione ancora non si sa chi ha ucciso Laura Palmer e, per un telespettatore dell’epoca, la cosa deve essere stata parecchio straniante. Tuttavia qualche elemento misterioso c’era già: le attività dei Bookhouse Boys, la Signora del Ceppo e soprattutto la dicotomia tra un tale Mike e Bob, orrifica presenza che occupa gli incubi di parecchi personaggi. Stagione finita, si può passare oltre.
Twin Peaks – Stagione 2
Da tradizione, la prima temporada si è conclusa con un discreto cliffhanger: qualcuno ha sparato all’agente Cooper. Morto? Non Morto? Il dubbio viene risolto subito: non è morto e gli appare un gigante davanti. Bentornati a Twin Peaks: Lynch ci dice subito che il secondo step ci avvicina più al suo mondo, fatto di simbolismi (il suo amatissimo numero 3) e cose cui potrebbe esserci o non esserci una spiegazione, tanto è Lynch e via andare. La prima parte della seconda stagione riprende le indagini sull’omicidio di Laura Palmer ma ci spinge anche vicino al soprannaturale vero e proprio: l’entità malvagia Bob occupa il corpo di qualcuno a Twin Peaks, presumibilmente l’assassino di Laura Palmer. Colpo di scena: a metà stagione si scopre chi è stato ad ucciderla. Qui viene meno la poesia lynchiana: questa soluzione, che al tempo fece molto alterare i fan, fu imposta dalla ABC contro il parere di Lynch e Frost. Il risultato fu un calo drastico degli ascolti, anche dovuto alla concomitanza di feste natalizie e della Guerra del Golfo.
La seconda parte di stagione non c’azzecca niente con tutto il resto, è un lento stillicidio fatto di sotto-trame inutili e noiose, mancava evidentemente il tocco magico del Maestro. 23 febbraio 1991: programmazione sospesa e fan in rivolta. Lynch e Frost tornano per gli ultimi episodi, sperando di ridestare interesse e audience lasciando volutamente le cose aperte. Loggia Bianca e Loggia Nera, il soprannaturale prende completamente il sopravvento del poliziesco e di qualsiasi trama rosa ci fosse. Ma non basta: il ventesimo episodio si conclude con un finale tremendo, apertissimo (Bob prende il controllo di Dale Cooper) e la serie è cancellata. Ci sono rimasto male io, nel 2018 e con già la terza stagione disponibile, immagino i fan che ai tempi non sapevano se avrebbero mai più rivisto Twin Peaks. Per solidarietà, decido di aspettare qualche mese prima di buttarmi sull’ultima, nuova, scintillante stagione.
Twin Peaks – Il Ritorno
L’inverno diventa primavera e la primavera lascia il posto al caldo afoso di questi giorni. Clima perfetto per riprendere Twin Peaks: non sono passati 25 anni, ma abbastanza tempo per sedermi e riprendere le fila di qualcosa di interrotto in modo tremendamente brusco. Lynch non delude: vengono riprese le fila della serie originale, con Dale Cooper nella Loggia Nera e Bob nel suo corpo nel mondo reale. La dicotomia tra Good Cooper e Bad Cooper è uno dei cardini su cui si basa tutta la stagione, divisa tra la missione di Bad Cooper (diretto da qualche parte) e la stasi comatosa di Good Cooper, che cerca di riprendere possesso della sua versione originale. Attorno a loro, si muovo i vecchi personaggi: Gordon Cole e Albert investigano su casi connessi ai fatti di 25 anni prima, la polizia di Twin Peaks vive sempre nella sua bolla fatta di strani fatti e placida quotidianità e via dicendo. Ora che il soprannaturale è sdoganato, non ha più senso nasconderlo e allora via con le danze: il Braccio (di Mike), doppelganger e fantocci, strane presenze per il mondo, tutto profuma di Lynch e chi lo guarda cercando di dare un significato a tutto quello che si vede è tempo perso. Twin Peaks è un universo che si muove su una narrazione non lineare, spesso inutile se non nella sua pura e semplice forma poetica audiovisiva. Di questi nuovi diciotto episodi, la maggior parte sono farciti di cose “diversamente utili”, come tutte le trame di Ed, Nadine, Dott. Amp, Ben Horne e via dicendo. Ma tutto rientra comunque in uno schema assoluto ed è l’episodio 8 a segnare il punto di svolta.
Twin Peaks, stagione 3, episodio 8: se volete trovare un momento determinante nella definizione di serialità televisiva moderna, segnatevi questo. La quintessenza lynchiana, un autore che fa del montaggio, della colonna sonora ma soprattutto del montaggio sonoro (non a caso da lui curato) dei protagonisti assoluti. In questo caso lo applica a qualcosa che, volendo sviscerare un possibile significato, possiamo chiamare “l’Origine del Male”. Dall’esplosione dell’atomica (messaggio misantropo?) vediamo la nascita di Bob, di creature sporche e malvagie, mostri viscidi che entrano in bocca a piccole ragazze (Sarah Palmer?). Noi non lo sappiamo ma quello che stiamo vedendo è il cardine di tutto. La Loggia Bianca risponde alla creazione del male con la sfera di Laura Palmer, il destino è già in marcia e non si può fermare. O forse sì: il risveglio di Good Cooper ci spinge verso la risoluzione finale, lo scontro manicheo tra Bene e Male, forse il nocciolo della poetica e narrazione lynchiana. Magari fosse così facile, perché non solo la sensazione è che alla fine la linea temporale si chiuda a cerchio e tutto torni laddove è partito (l’omicidio di Laura Palmer), ma perché Lynch qua e là ci getta pure qualche altro dubbio:
Siamo come il sognatore che sogna e vive nel sogno. Ma chi è il sognatore?
A dirlo è Monica Bellucci (attrice e personaggio) a Gordon Cole, ma alla luce del finale viene da pensare che in realtà lo stia dicendo a David Lynch. Alziamo il sipario: forse Lynch ci sta dicendo che i sognatori siamo noi, che Twin Peaks è stato solo un sogno determinato dal nostro immergerci all’interno di questa fantasia audiovisiva, in cui tutto conta (specie il sonoro), che personaggi come Becky, Wally etc sono solo frutto di uno stato onirico. Ma nostro? Di Audrey Horne e della sua strana realtà in cui la canzone che ballava nella serie originale ora ha il suo proprio nome? Di tutti coloro che rompono continuamente la quarta parete? Del faccione in sovrimpressione di Dale Cooper nel primo finale di stagione? Domande su domande su domande.
Ancora una volta, Lynch ci lascia completamente sospesi: non sappiamo in che realtà ci troviamo, in che anno siamo, se sia mai esistito nulla di tutto quello che abbiamo visto. A questo punto si distinguono due tipi di pubblico: quelli delusi, arrabbiati, che pensano di aver perso tempo, e quelli che non possono far altro che sospirare e godere di tutto quello che hanno visto, un’orgia meta-televisiva fatta di così tante suggestioni e momenti indimenticabili (di nuovo: episodio 8 uber alles). Quello che Lynch lascia sono possibili interpretazioni, tutte vere e tutte false, dalle quali emerge forse la sensazione che il Male non si possa sconfiggere, ma soprattutto che il male vero sia l’uomo.
Twin Peaks ha cambiato la storia della televisione e Lynch (allo stesso modo di George Miller con Mad Max), dopo qualche decennio è ritornato a ricambiarla di nuovo. Un prodotto inclassificabile, che non può stare al fianco delle altre serie, che richiede fiducia e a tratti cieca ammirazione, ma che porta con sé tanta di quella qualità e arte da essere a tratti sovverchiante.
Un recupero fondamentale, che aiuta a comprendere il ruolo specifico dell’anti-serie per eccellenza, oscura, lynchiana e quindi magnifica. Ne vogliamo ancora, o forse no: servono troppe sedute di psicoanalisi, per superarla.