Origini Italiane della festa pagana
di Giovanni Siclari
Bene cari lettori siamo giunti finalmente ad Halloween, la festa che oggi, nell’immaginario collettivo, si riduce alla solita notte in cui i bambini (e non solo) si travestono tendenzialmente da cose mostruose e spaventose vagando di porta in porta al grido di “dolcetto o scherzetto?”, spesso ignorando quale sia l’origine e l’aspetto culturale di questa ricorrenza.
Nonostante questa sia un riduttivissima rappresentazione, che potrebbe far tremare le vene e i polsi di qualche pagano neoceltico e perché no pure di qualche Wiccan (le generalizzazioni oggi piovono a catinelle), ho deciso di parlare di questa ricorrenza culturale (e badate bene non della festa che cade proprio in questa data), tornando indietro nel tempo, più precisamente all’epoca dei romani.
Come detto prima, la pratica di esorcizzare i morti con pratiche apotropaiche è presente in tutte le culture e si manifesta in modi e tempi diversi. Nel caso dei romani una pratica apotropaica si manifestava nei tre giorni 9, 11 e 13 maggio: stiamo parlando del ciclo festivo dei Lemuralia.
Abbiamo identificato la cultura, abbiamo definito i giorni e il nome della pratica, manca solo spiegare di cosa di trattava e chi ci ha lasciato testimonianze su questa festa. Per rispondere subito a questa domanda facciamo subito un nome: Publius Ovidius Naso meglio noto come Ovidio, e citeremo un’opera: i Fasti.
Ovidio era un poeta latino, che visse a cavallo tra la Roma Repubblicana, dilaniata dalle guerre civili, e l’ascesa dell’Impero nonché sotto l’imperatore Augusto. Tra le tantissime opere che ha scritto, a noi occorre ricordare in particolare i Fasti, opera eziologica scritta in 12 libri ma di cui oggi ne possediamo solo 6, il cui scopo era quello di indagare l’origine delle tradizioni, delle feste e dei riti e delle pratiche culturali che erano in uso presso i romani. Un’operazione che tutto sommato servirebbe anche oggi per riscoprire le origini del commerciale Halloween.
Veniamo adesso al secondo punto: ossia spiegare cosa fossero i Lemuralia. Ebbene nel V libro dei Fasti, Ovidio ci parla del ciclo festivo in questione, il quale si sarebbe svolto nei giorni 9, 11, 13 maggio. A questo punto il lettore potrebbe chiedersi: “be ma tutto ciò che cosa c’entra con Halloween, le cose paurose, ecc?”. Adesso ci arriviamo.
Per i Romani era credenza comune che in quei giorni gli spiriti dei morti, appunto i Lemuri, tornassero sulla terra dei viventi. Questi spiriti, o meglio ombre, non erano entità tutto sommato malefiche come potevano essere le Larve, ossia gli spiriti maligni degli uomini che un tempo furono malvagi. I Lemuri comunque sia spaventavano le persone (vorrei ben vedere voi a ritrovarvi faccia a faccia con delle ombre), e i viventi per scacciarli e scongiurarli avevano determinate pratiche per farle. Nei Fasti il nostro Ovidio ci parla di un culto domestico che vedeva la figura del pater familias, ossia il padrone indiscusso della casa a cui toccava anche la preminenza “religiosa” all’interno del nucleo familiare (comprensivo anche degli schiavi), fare delle offerte ai Lemuri, donando loro delle fave nere dando loro le spalle. Le fave venivano gettate accompagnate dalla formula apotropaica “Manes exite paterni” ossia “uscite spiriti degli antenati” e in questo modo gli spiriti sarebbero stati tenuti lontani dalle case.
La cosa curiosa di questo rituale è l’utilizzo delle fave nere. Perché proprio fave nere? Le fave nere, già dai tempi di Pitagora, erano considerate un alimento legato in qualche misura agli spiriti dei morti. In esse infatti si pensava che fossero contenute le loro lacrime o, come pensava Pitagora, parte dell’anima dei trapassati. Inoltre, sempre in epoca antica, era pratica più o meno comune spargere le fave sulle tombe dei morti per assicurare loro la pace. Molti altri sarebbero gli esempi, però forse adesso ci sembrerà meno bizzarra la pratica di offrire alle ombre dei morti delle fave nere. Risulterà ancor meno sbalorditivo il fatto che ancor oggi in alcune regioni d’Italia, specialmente quelle del centro, proprio in questo periodo sia uso fare dei dolcetti chiamati appunto “fave dei morti”. Che lo vogliamo o no, la nostra cultura e il nostro rapporto con i morti contiene ancora un retaggio culturale proveniente dalla cultura pagana latina. Sarebbe una bella cosa iniziare a riscoprirla, magari andando ad assaggiare le fave dei morti.
Con questo direi che è ora di salutarci, festeggiate quello che volete nel modo in cui volete ma cercate di porvi delle domande su cosa state festeggiando e vi si aprirà un mondo di pratiche e usi che non avreste mai immaginato.