MONSTERVISTA – Giorgio Viaro, Direttore di Best Movie

Monster Movie ha intervistato Giorgio Viaro, Direttore di Best Movie: si è parlato di cinema, del valore della critica e ovviamente di mostri.

di Cristiano Bolla

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Da operatore del settore audiovisivo che negli anni ha mantenuto comunque una certa passione per la critica e l’informazione cinematografica, ho cercato di costruire la mia esperienza social(e) attorno a figure dalle quali potessi apprendere qualcosa di nuovo, tenermi aggiornato e magari scambiare qualche opinione. Tra queste bussole, c’è senza dubbio Giorgio Viaro, direttore di Best Movie: cinefilo a tutto tondo e juventino sfegatato (anche questo ha aiutato), ha accettato di concederci un’intervista esclusiva.

Direttore, leviamoci subito il pensiero: quale è il suo mostro cinematografico preferito? E perché?  

Come mostro in senso lato mi viene in mente l’entità di It Follows, di qualche anno fa, che secondo me è la migliore incarnazione della morte, a livello filosofico, che abbia visto sul grande schermo negli ultimi anni. Altrimenti, parlando di un mostro cinematografico che mi ha affascinato, direi Babadook, del film omonimo della regista neozelandese Jessica Kent.

Monster Movie è un portale nato nel 2015 per dare spazio ad un filone cinematografico, quello dei mostri, che solo l’anno scorso – grazie a La Forma dell’Acqua – sembrava essere tornato alla ribalta. Quale è, secondo lei, il valore e il fascino di questo genere all’interno della storia del cinema?

Il mostro in sé, come appunto ne La Forma dell’Acqua di Guillermo del Toro, ha sempre avuto una valenza metaforica, nel senso che rappresentando l’impossibile incarna in qualche maniera un’istanza psicologica, filosofica, politica, un pensiero e un’idea; non corrisponde alla realtà, quindi è un modo per veicolare delle idee forti ad un pubblico molto vasto in una forma impattante, affascinate. Allo stesso tempo, va a collocarsi all’interno di un genere, quello della fantascienza e della fantascienza horror, che come tutti i film e i filoni che hanno a che fare con l’orrore e la morte permette nello spettatore la classica catarsi che deriva dall’affrontare la paura e in particolare la paura della morte, attraverso la finzione.

A Monster Movie ci teniamo ad avere anche un occhio ben aperto sul cinema italiano e soprattutto su quello che negli ultimi anni viene definito “Nuovo Cinema Italiano”, caratterizzato soprattutto da una pluralità di generi e di autori. In mezzo a tutto questo, pensa sia possibile un ritorno di questo genere anche nel nostro cinema? Dario Argento, Lucio Fulci… Gli esempi di un cinema italiano di mostri in passato non sono mancati.

Anche se quando si parla di Dario Argento non vengono in mente i mostri, intesi come cinema delle creature, il problema con il cinema in cui devono essere presenti creature mostruose, a meno che non si tratti di zombie e quindi di un lavoro di make-up, è che al giorno d’oggi ci vuole una grande competenza in materia di VFX, effetti digitali e computer grafica. Non è esattamente un ambito in cui noi abbiamo un know-how particolarmente sviluppato in questo momento. Negli ultimi anni, piuttosto, quello che è successo al cinema italiano è che si è sviluppata una certa sensibilità e una qualità industriale per il cinema noir. Tutto quello che ha fatto ed è derivato dal cinema di Sollima, ora sta avendo tante ricadute sia al cinema, che dal punto di vista seriale. In questo momento credo che manchi proprio la competenza per fare un cinema di creature in Italia, non ci sono i talenti, o magari ci sono ma serve qualcuno che sappia fare quelle cose lì, una case history industriale che stimoli i produttori a essere disponibili a farle. Ci vorrebbe un pioniere che riesca a mettere in piedi un prodotto del genere, con qualche tipo di forza produttiva, quindi che quel prodotto funzionasse e che si aprissero possibilità per quel filone. In questo momento non vedo produttori che hanno voglia di investire in questo tipo di immaginario, non vedo l’opportunità industriale di farlo, mi sembrano cose legate ad altre cinematografie.

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Eppure qualcuno che saprebbe farlo ci sarebbe: abbiamo in cantiere un’intervista esclusiva ad uno degli italiani che lavorano ai Weta Studios.

Sai, il know-how non è trovare semplicemente una o due persone che sanno fare quella cosa specifica, è sapere come si mette in piedi una produzione industriale di cinema di mostri, come la si vende, come la si fa funzionare in sala. Il monster movie, in questo momento, è un corpo estraneo alla nostra industria.

Parlando di industria e collegandoci ai recenti Oscar, ci è sembrata un’annata un po’ particolare: accanto a film decisamente commerciali, come Black Panther, ci sono stati premi e candidature ad un cinema più ricercato, artistico e personale in un certo senso, come Roma e Cold War. Inoltre, è l’anno in cui Netflix si è imposto come produttore cinematografico, con buona pace di Cannes. Come si spiegano queste ambivalenze e che effetti può avere sulle logiche economiche e produttive del cinema?

Mi sembra che il cinema abbia intrapreso, ormai da anni, una strada abbastanza dritta. La produzione cinematografica tende a concentrare gli incassi su un numero ridotto di produzioni, generalmente fantasy e ad alto budget, mentre il cinema medio, molto più scritto e basato sulle sceneggiature e sullo studio dei personaggi, è appannaggio di produzioni straight-to-video o ancor di più per lo streaming. Mi pare che gli Oscar abbiano voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte, distribuendo premi tra film che hanno avuto successo di sala e in grado di impattare sull’immaginario collettivo, come appunto Black Panther, ma anche Bohemian Rhapsody, che l’ha fatto per altri versi: qui non sottovaluterei l’apporto delle nuove tecnologie, per il modo in cui è stato messo in scena il grande concerto finale di Wembley, che testimonia una grande qualità nell’utilizzare il digitale in modo intelligente anche senza il soprannaturale di mezzo. Dall’altra parte c’è un cinema di qualità prodotto e distribuito da Netflix, o comunque destinato ai circuiti d’essai, come La Favorita. Mi pare non sia stato mandato un segnale specifico dall’Academy, né un senso né nell’altro: sicuramente il film che ha vinto, Green Book, è una via di mezzo, è un film popolare e insieme vecchio stile.

Best Movie, in Italia, è un punto di riferimento per la critica e l’approfondimento cinematografico: spazia piacevolmente dal cinema d’autore a quello più commerciale. Ci chiediamo, quindi: quale deve essere, secondo lei, il ruolo o il compito della critica cinematografica?

Non so neanche più se la critica cinematografica ce l’abbia un compito. Bisognerebbe innanzitutto capire cosa intendiamo con critica, se quella accademica, online, dei blog o delle riviste di settore. Ormai tutti nel loro piccolo si ritengono critici e il percorso e gli studi che uno ha fatto per arrivare a auto-definirsi o perlomeno comportarsi come tale, esprimendo opinioni pubbliche in modo anche deciso, sono diventato secondari. Chiunque si sente in diritto di parlare di cinema, come di calcio, di Sanremo e di tante altre cose. Il cinema è un’arte popolare e quindi la ricaduta nell’epoca dei social network e dell’Internet 2.0 è che siamo diventati tutti critici. In questo senso la critica non ha più nessun significato o scopo. Riguardo chi arriva a fare critica dopo un percorso di studi e/o professionale di un certo tipo, e quindi ha dei titoli per poterlo fare, io penso che la cosa più importante della critica non sia attaccare etichette o esprimere giudizi, ma divulgare, fornire a chi legge gli strumenti per interpretare un’opera e darle una collocazione nell’ambito della storia del cinema, del panorama attuale e delle correnti sociali e politiche che viviamo. Gli strumenti, insomma, per sviscerare e collocare un’opera dentro il mondo.

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Trova però che nel corso degli anni la critica sia cambiata, che abbia dovuto adattarsi ai tempi, ai mezzi, ai social e quant’altro?

Ognuno fa quello che vuole, non si può dire cosa abbia fatto la Critica in generale. È evidente però che nel momento in cui ognuno può esprimere la propria opinione, pretendendo che venga preso sul serio, essere autorevoli è più difficile ma anche più importante. Solo in quel modo la tua voce può distinguersi nel brusio di tutti quelli che parlano senza avere i criteri per farlo. C’è solo una maggiore necessità di autorevolezza e di spiegare le cose piuttosto che esprimere giudizi, che è una cosa che fanno tutti.

Per questa monstervista è tutto. Ringraziamo il Direttore Viaro e se siete appassionati di cinema in cerca di un ottimo aggregatore di notizie, recensioni, approfondimenti e negli ultimi anni avete vissuto su Marte, vi invitiamo a leggere Best Movie: www.bestmovie.it

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