SPIDER-MAN: FAR FROM HOME – STARTGAME

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Recensione del sequel di Spider-Man: Homecoming, ventitreesimo film del Marvel Cinematic Universe e ultimo della “Fase Tre” e della “Saga dell’Infinito”.

di Carlo Neviani

Iron Man è morto. Lo so che è uno spoiler incredibile, ma è così che inizia il trailer di Spider-Man: Far from Home uscito appena qualche settimana dopo l’arrivo di Avengers: Endgame in sala. Un segnale che ben definisce i tempi e il senso stesso del Cinema oggi, del suo legame inscindibile ai concetti di serialità e franchise. Motivo per cui, allo spegnimento delle luci nel multisala, si alza un coro di “shhh” dal 99% dei presenti per sollecitare l’attenzione, obbligata dall’hype post Endgame e dall’ansia di vedere il continuo della storia lasciata pochi mesi prima.

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È difficilissimo scrivere di questo film senza svelare nulla. Dato che gran parte del godimento che ne deriva è dato dal senso di scoperta, fatto di aspettative confermate e soprattutto tradite, scelgo di non riferirmi alla trama. Partirò invece dalle parole di un uomo di nome Stan Lee.

Perché Spider-Man è il primo personaggio che viene in mente quando qualcuno nomina me o la Marvel? Penso che Spidey abbia avuto un effetto così forte perché, fra tutti i supereroi, è forse il più realisticamente umano, assomiglia molto a voi e a me. C’è un’altra cosa da dire, quando partì la sua serie, nel lontano 1963, Peter era un teenager che andava ancora a scuola. La maggior parte dei lettori di fumetti erano teenager come lui, e questo faceva sì che potessero identificarvisi facilmente. Vedete, in quel periodo tutti i supereroi erano adulti, e i teenager nei fumetti potevano fare solo da spalla.

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Teenager è la keyword che Kevin Feige e compagnia avevano ben in mente per lo Spider-Man dell’azzeccato Tom Holland. Far from Home conferma e approfondisce questo aspetto, tant’è che il modello cinematografico di riferimento è ancora il teen movie. Un “euro trip” in cui seguiamo la gita scolastica in Europa della Midtown High School con Peter, Ned (l’amico sovrappeso quanto simpatico) e MJ/Zendaya. Il cuore del film sta nelle ansie adolescenziali del protagonista, che vorrebbe conquistare la bella MJ piuttosto che dedicarsi a missioni segrete con Nick Fury. Quest’ultime, insieme a tutta la parte action, altro non sono che un’allegoria delle tensioni proprie di un sedicenne, alle prese con amicizie, fiducia (“le apparenze ingannano” potrebbe essere la tagline del poster), senso di responsabilità. Sì avete letto bene: responsabilità. Com’è che faceva? Ah sì “da un grande potere…”.

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Il senso di responsabilità, legato ad una perdita, è un concetto chiave nel mondo dell’Arrampicamuri, e in questa nuova pellicola viene riproposto in modo inedito. Risparmiataci sia la scomparsa di zio Ben (già vista in Spider-Man di Raimi), e quindi la morte fondamentale per l’origine dell’eroe, sia quella dell’amata Gwen Stacy (già vista in The Amazing Spider-Man 2), rappresentativa del senso di colpa che porta ad una maturazione della psicologia del supereroe, qui il lutto da elaborare è quello nei confronti di Tony Stark. Iron Man è una figura paterna di Peter, che ora non solo deve cavarsela da solo, ma addirittura prenderne il posto. Responsabilità è quindi “diventare grandi” attraverso un viaggio di formazione. Il messaggio semplice ma forte è che una sola persona può fare la differenza se si comporta in maniera responsabile. Spider-Man è esattamente questo.

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Ah! Dimenticavo di dire un’altra cosa molto importante. Avete notato che Peter Parker non vive a Gotham City, a Metropolis, o in un’altra città fittizia. No, fin dalla prima storia lo abbiamo visto vivere in un vero quartiere di New York.

I luoghi della storia ricoprono in Spider-Man: Far from Home un ruolo molto evidente. Non siamo nel Queens ma nelle “città cartolina” europee, stereotipate, come è giusto che sia, perché viste attraverso gli occhi di una scolaresca americana: Venezia, Praga, Berlino, Londra e non solo. Più si entra nel vivo della storia e più il teen movie lascia spazio allo spy-action movie diviso in varie città mondiali, come uno 007 con Fury nel ruolo di M. Una menzione di lode alle canzoni che accompagnano gli spostamenti nei vari Stati: l’Italia è commentata da “Stella stai” di Umberto Tozzi e “Amore di tabacco” di Mina, pezzi non scontati che irrompono con l’arroganza del pop punk adolescenziale. Ottima scelta, ma per farmi impazzire dovevate mettere gli 883.

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Infine c’è l’umorismo. Ho sempre fatto in modo che il nostro portentoso Testa di Tela non fosse mai a corto di battute o risposte brillanti, indipendentemente dalla difficoltà in cui si trovava. Anche questo fa parte del tentativo di renderlo realistico perché, come sapete, i ragazzi hanno in genere una parlantina rapida, ironica, non sono mai seri o pedanti come alcuni eroi dei fumetti.

Far from Home è un film divertente, leggero. Dimenticatevi toni epici e cupi. E già dai primi minuti, con una sequenza davvero strepitosa, viene resettata qualsiasi componente triste che Endgame ci aveva lasciato. Lascio qualche indizio senza contesto per dare un’idea senza anticipare nulla: in memoriam, comic sans, Whitney Houston. Non solo l’inizio è col botto: entrambe le scene post-credits sono tra le più belle del MCU. Un ottimo refresh, ponte tra la Fase Tre e la Quattro: STARTGAME.

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E il Mysterio di Jake Gyllenhaal? Già dire se sia fedele o meno al fumetto potrebbe essere spoiler quindi evitiamo. Nonostante sia ben contestualizzato, la sua caratterizzazione è abbastanza approssimativa e questo si traduce in due difetti: minor trasporto emotivo, un bravo attore non sfruttato. Il perché dell’errore (ma in realtà è per scelta) è semplice: anche questo film segue la scaletta degli altri cinecomic Marvel che sono, con pochissime eccezioni, più incentrati sull’eroe che su personaggi secondari e antagonisti, dimenticabili per la maggior parte. C’è un accenno alla componente meta-cinematografica che logicamente si addice a Mysterio, ma è troppo abbozzata.

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Chiudo con una critica. È bello vedere Spider-Man nel mondo degli Avengers, ma l’ultra tecnologia di Stark e i pericoli extra terrestri, levano un po’ quell’umanità che, come diceva Stan Lee, rende Spidey il preferito tra gli eroi Marvel. Anche se l’ultimo sforzo cinematografico dei Marvel Studios è tra i più fedeli ai fumetti insieme a Spider-Man: Un Nuovo Universo, non arriva (secondo me, un po’ siamo nel campo dei gusti personali) alla bellezza dei primi due capitoli di Sam Raimi. Che pur prendendosi la libertà di cambiare alcune cose, riuscivano a raccontare perfettamente lo spirito (e la fisicità, come nel recente Shazam!) di questo supereroe amato da tante generazioni.

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