Con il nono episodio è terminata la prima stagione di Watchmen, la serie creata da Damon Lindelof e ovviamente basata sul capolavoro di Alan Moore. Eccovi la nostra recensione.
di Cristiano Bolla
Quest’anno che volge al termine è stato caratterizzato da una polemica, abbastanza sterile, sul valore dei cinecomics rispetto al “cinema vero”. La querelle ha coinvolto prevalentemente la Marvel, colpevole di offrire un prodotto decisamente patinato, sia nei contenuti che nella forma. Ognuno è libero di scegliere da che lato schierarsi, ma quando si solleva l’argomento “i fumetti non hanno profondità“, è doveroso alzarsi in piedi, battere il pugno sul tavolo e prorompere in un sonoro: “E Watchmen allora?!“.
La miniserie a fumetti di Alan Moore uscita quasi 34 anni fa, si è infatti imposta come un prodotto unico e inimitabile nel panorama super eroistico. Watchmen ha sempre avuto qualcosa di diverso e questa sensazione si è espressa anche nel film del 2009 diretto da Zack Snyder. Ora, questo universo fatto di costumi e filosofia dell’etica è passato nelle mani della HBO e di Damon Lindelof. Il risultato è sì, un sì bello grande.
Non deve piacere a tutti. Del resto leggenda vuole che neanche Alan Moore considerasse poi così riuscito quello che per molti è un capolavoro dei fumetti. Ogni rappresentazione di Watchmen è stata soggetta a critiche più o meno feroci, ma in tutte si scorge quello che è il suo cuore, ciò che rende questa storia così unica e inimitabile. Watchmen non è uno scontro manicheo tra bene e male, è il supereroismo che riflette se stesso, scova l’uomo dietro la maschera e lo mette al servizio di una riflessione morale ed etica. Troppo esagerato? Eppure è da qui che prende piede anche la serie di Lindelof.
La serie Watchmen è ambientata 30 anni dopo i fatti raccontati nel fumetto. Il primo distinguo da fare è proprio questo: per Lindelof non esiste il film di Snyder, che tra le altre cose aveva cambiato completamente il finale. Questione di gusti e di epoche: chi scrive trova che nel 2009 un esplosione atomica avesse più peso e buona messa in scena rispetto alla piovra gigante di Alan Moore. Nella serie tv invece si segue “il canone” e quindi il mondo vive da 30 anni nel segno dei 3 milioni di morti causati da una finta invasione aliena, che ha lasciato ancora qualche traccia sotto forma di saltuarie piogge di calamari.
Per un fan di Watchmen, i primi episodi possono essere un po’ disturbanti. Si cerca un appiglio sicuro, qualcosa che ci riporti a quelle sensazioni e a quel prodotto. Invece ci ritroviamo in Oklahoma, dove il Ku Kux Klan si è riformato sotto il nome di 7th Cavalry e indossano maschere di Rorschach. In più, il focus è sulla polizia, autorizzata a indossare maschere da quando i suprematisti bianchi hanno ucciso qualche poliziotto durante la cosiddetta Notte Bianca (evidente il richiamo alla Notte dei Cristalli del 1939 di stampo antisemita). Di Watchmen, insomma, inizialmente sembra esserci poco. Poi arriva Laurie Blake AKA Spettro di Seta ed ex amante del Dr. Manhattan, ora agente dell’FBI che dà la caccia proprio ai vigilanti mascherati. Quindi ritorna anche Adrian Veidt AKA Ozymandias, che 30 anni fa salvò il mondo dalla distruzione con il sofisticato inganno della piovra gigante. Ora si trova in un castello, tra cloni e torte di compleanno: ma ehi, è sempre lui e Jeremy Irons lo rende magnificamente.
Le prime puntate però, nel complesso, offrono tanti spunti, momenti di estrema fascinazione ma sembrano ancora lontane da quello che è il cuore di Watchmen. È solo con l’episodio This Extraordinary Being e soprattutto con A God Walks into Abar (rispettivamente 6 e 8) che la serie decolla e diventa, a tutti gli effetti, un degno sequel di Watchmen. Soprattutto l’ottavo episodio, ci consegna nuovamente il senso puro dell’opera di Alan Moore, quella riflessione tra determinismo e libero arbitrio, dell’inevitabilità delle cose che è stata la cifra di uno dei personaggi più potenti mai creati, il Dr. Manhattan. È qui che Lindelof si fa furbo: i poteri del fu Jon Osterman, vittima di un incidente di laboratorio, erano terribilmente fuori scala. Un Dio dagli infiniti poteri che vive il tempo in modo diverso, è simultaneamente nel passato, nel presente e nel futuro. Sa che quello che è già successo influenza quello che succederà, ma anche viceversa.
Watchmen è il Dr. Manhattan, è il Dio che sa cosa riserva il futuro e che questo talvolta non può essere cambiato, preda del determinismo contro cui neanche i suoi poteri possono nulla. Damon Lindelof prende questa cosa e la analizza, la “risolve”. L’altro aspetto è quello che riguarda i super eroi normali, umani, costantemente in bilico tra bene e male. Tra i tanti pregi del Watchmen di Alan Moore c’è che, in fondo, non c’erano cattivi. Ozymandias compie sì uno sterminio di massa, ma per salvare il mondo. Qui sta l’altro aspetto filosofico di Watchmen, la riflessione tra morale ed etica: uccidere è sbagliato, ma uccidere 3 milioni di persone per salvarne 7 miliardi?
Damon Lindelof, uno che ha regalato al mondo Lost e Leftovers, capisce che questo è ciò che vale la pena di essere esplorato e riesce ad attualizzare questa riflessione nel migliore dei modi possibili, buttandoci dentro anche un po’ di odierna tematica razziale (sigh) e chiudendo il cerchio attorno alla difficoltà del gestire in modo credibile il Dr. Manhattan. Uno che potrebbe tutto, e invece fa molto poco. Il tutto viene raccontato in modo quasi sempre accattivante, con una grande colonna sonora e riproponendo le stesse domande che hanno reso unico questo soggetto. Magari non con lo stesso peso di quanto fatto da Alan Moore (e pure da Zack Snyder) ma di certo con lo stesso fascino e attenzione. Non fosse per un inizio in medias res un po’ disturbante e un finale non all’altezza di quanto messo sul fuoco in precedenza, la serie Watchmen sarebbe pazzesca.
Resta “solo” una bella serie, tra le migliori dell’anno. Chi aveva dubbi su quanto potesse rendere Watchmen trasposto come serie tv, può ricredersi: c’è tutto quello che serve e anche qualcosa che non sapevamo di volere. Perché in fondo ha ragione il Dr. Manhattan: “Niente finisce, nulla finisce mai davvero“
