di Cristiano Bolla
Premessa: nel 1995, ho passato tre giorni interi vestito con il costume del Black Ranger Zack; a quattro anni, non volevo un cane o un gatto, volevo un Mammuth. Non sono mai stato accontentato, ma non per questo il fascino dei Power Rangers è scemato e, anzi, ora che è uscito il nuovo film sugli eroi creati da Haim Saban ho cercato quel costume in soffitta, ma dev’essere andato perso in quel trita-rifiuti chiamato pubertà (pare infatti che una tuta in spandex non sia il meglio per rimorchiare). Ho quindi preso per mano il bambino di quattro anni che è in me e siamo andati insieme al cinema.
Per chi va al cinema con bambini al seguito, sa che questo può essere un problema: saltano sulle sedie, lanciano pop-corn e, fondamentalmente, non capiscono un cazzo del film. Però si esaltano lo stesso: ridono, si emozionano e poco importa cosa passa sullo schermo. Mi è successo lo stesso: il me stesso del 1994 si è seduto e ancor prima che partisse il film dei Power Rangers era in iperglicemia da caramelle e aveva pupille così dilatate che neanche uno studente universitario di Bologna sotto speed poteva stargli dietro. Io, invece, “dall’alto” delle mie lauree e master in cinema e sceneggiatura, ho messo su l’espressione da dubbio perenne, di chi sa abbastanza di cinema per intuire che, forse forse, questa operazione nostalgia poteva essere una fantozziana cagata pazzesca.
Il film inizia e la prende larga: Era Cenozoica, l’alieno Zordon e Primo Red Ranger sotterra le Monete del Potere, richiedendo un meteorite per fermare Rita Repulsa (Elizabeth Banks, nota stonata del film) e il suo piano di distruzione galattico. 65 milioni di anni dopo, in un liceo americano, la star del football ruba una mucca. Me-stesso-a-4-anni ride, io sono [F4] basito. Mi è chiara però subito una cosa: questo adattamento vuole prendere molto le distanze dalla serie televisiva che tra il 1994-1997 ha conquistato milioni di piccoli italiani. Mi è evidente perché il piano sequenza dell’incidente di Jason Scott, nei primi minuti, è divertente e tecnicamente caruccio, ma soprattutto perché l’intenzione di dare una certa profondità ai personaggi è innegabile sin dal principio. Al bambino di fianco, ovviamente, non importa: lui aspetta solo i robottoni. Io, invece, colgo che nel passaggio ventennale tra la serie dei Mighty Morphin e questo film, la società (e il cinema) si è evoluta e l’attenzione alle dinamiche psicologiche dei protagonisti è diventata fondamentale.
Ecco perché ora Jason, Billy, Kimberly, Triny e Zack non sono più dei semplici liceali, ma hanno ognuno dei problemi ben specifici che li rendono a loro modo degli emarginati, dei paria nella sfera sociale adolescenziale. L’aggancio perfetto per dargli dei super poteri e spingerli così nell’iconico Viaggio dell’Eroe, archetipo principe della narrazione americana (e non solo). L’autismo, la famiglia, l’omosessualità, l’ansia del futuro e il concetto di “trovare un posto nel mondo” fanno da sfondo alla travagliata scelta di 5 ragazzi di diventare Power Rangers. Provo a spiegarlo al mio vicino di posto, ma sono appena apparsi gli Zords e lui non capisce più niente: “C’È IL TIRANNOSAUROOO!”
A proposito, forse non tutti lo sanno, ma le scene d’azione coi robottoni della serie originale erano in realtà dei pezzi acquistati da varie serie televisive giapponesi, genere super sentai e specialmente da Kyōryū sentai Juranger. È anche per questo che i protagonisti degli anni ‘90 sembravano così scemi e plateali: rispecchiavano una messa in scena parecchio nipponica. Motivo per cui questo film è un riuscito adattamento americano dei paladini della Saban Entertainment: CGI, combattimenti (pochini, in realtà) e narrazione supereroistica, fanno tutte parte di una messa in scena molto occidentale, che si è lasciata alle spalle la matrice orientale. Rimane qualcosa, ovviamente: la parte di MegaZord è chiaramente legata alla componente mecha tanto amata in Giappone (fa molto Pacific Rim, per dire). Provo a sottolinearlo ancora una volta al me-bambino di fianco, ma scelgo sempre il momento sbagliato: è arrivato Goldar e ora sta saltando in testa allo spettatore nella fila di fronte.
Finisce il film e quello che mi è rimasto è un prodotto che parte in modo interessante (per regia, presentazione dei personaggi e generale aspettativa) e poi si appiattisce un po’, l’epicità voluta è troppo “piatta” e le strizzate d’occhio alla serie originale sono pochine e tutte parecchio telefonate (l’ “ahi,ahi,ahi” di Alpha 5 non sarà mai la stessa cosa). Su tutte però mi è ovviamente piaciuto l’ingresso degli Zords, con la stessa inquadratura e theme song della serie anni ‘90. Il resto è un po’ sciapo, un film con buoni presupposti ma una resa non perfettamente riuscita.
Mi giro per chiedere cosa ne pensi Io-a-4-anni, ma è in posa e sta gridando a tutte le scale mobili del cinema “SONO IMBATTIBILI, IRRESISTIBILI, HANNO TANTI AMICI QUESTI POWER RANGEEEEERS!”. Forse allora è il caso che mi arrenda: ha ragione lui; è l’adattamento di una serie su dei ragazzi in tute spandex, con tanto CGI e robottoni giganti. Cosa potrei volere di più?
Analisi critica e filmologica 0 – 1 Nostalgia canaglia dei anni ‘90.
Forse è il caso che guardi meglio: la tuta del Black Ranger potrebbe essere da qualche parte in casa. GO GO POWER RANGERS.