di Cristiano Bolla
Se fosse una squadra di calcio, Broadchurch sarebbe la Juventus che l’altra sera ha passato il turno contro il Barcellona in Champions League. Una squadra/serie solida, compatta, che non trascura nessun dettaglio e che porta sempre a casa il risultato senza privarsi di qualche colpo di genio e di sprazzi di calcio champagne. Spero che la mia Juve arrivi in finale e la vinca, ma per quanto riguarda Broadchurch mi devo arrendere: con l’ottava puntata di lunedì è finito uno dei crime drama inglesi più belli mai realizzati.
È un amore iniziato per caso, quello che ho per la serie di ideata da Chris Chibnall (prossimo showrunner di Doctor Who), una di quelle storie che iniziano in un giorno di noia con la home di Netflix che ti scorre davanti. “Broadchurch – in copertina David Tennant – sembra carina, iniziamola”. E, come si suol dire, il resto è storia nel vero senso della parola, perché l’alpha e l’omega di questo crime inglese della ITV sta proprio lì, nella storia che racconta e nella miriade di sotto-trame che tesse attorno al nucleo centrale della serie.
Per i neofiti della serie, Broadchurch è stato il racconto di un omicidio avvenuto nell’omonima città marittima inglese, laddove il burbero ispettore Alec Hardy si è ritrovato catapultato in cerca di una vita lontano dai fantasmi del passato. Non è facile investigare in una piccola città e lo sa bene il Sergente Ellie Miller (Olive Colman), che di fatto conosce tutti, ma proprio tutti gli indagati e i protagonisti della vicenda. Questo, tuttavia, accadeva due stagioni fa: l’omicidio di Danny Latimer, la caccia al suo assassino, la scioccante scoperta della verità e il conseguente processo è la materia delle prime due intensissime stagioni (la prima del 2013, la seconda del 2015). Con la terza e ultima non è cambiato nulla: stesse dinamiche interpretative, stessi personaggi e stessa magistrale conduzione della componente mystery.
Se le prime due stagioni avevano come focus la pedofilia e l’infanticidio, il tema sociale di questa terza stagione è chiaro dalla prima scena: violenza sessuale. Una donna, Trish Winterman, è stata tramortita e stuprata durante una festa di compleanno di un’amica, dove erano presenti oltre cinquanta uomini, tutti o quasi conoscenti della vittima. Come da caratteristica principale di Broadchurch, nessuno sembra essere pulito: nascondono tutti qualcosa, segreti più o meno scabrosi che ora li allontanano e ora avvicinano all’essere il colpevole dell’atto incriminato. La serie di Chibnall lavora con l’abc del genere crime: la coppia Hardy&Miller impersona tutte le caratteristiche del poliziotto (uno buono, l’altro cattivo) che cerca indizi, interroga sospettati, cerca di unire i puntini di uno schema che, come in precedenza, sembra essere troppo vasto per venirne a capo. Come detto, però, ci sono anche altre sotto-trame, come quella dei Latimer, alla prese con la vita qualche anno dopo la morte del figlio Danny e il risultato del processo (sto faticando un sacco a non spoilerarvi nulla perché spero vi venga voglia di iniziarla), la difficoltà di una giornalista old-school di fronte alle nuove tecniche e priorità da click-baiting e altro.
Questo “altro”, nello specifico, fa parte di alcune linee narrative che solo apparentemente fanno da contorno alla trama principale, ma in realtà sono collegate in più sensi: da un lato sono infatti direttamente collegate alla soluzione del caso, dall’altra ricamano i dettagli della riflessione sociale che questa stagione di Broadchurch porta con sé: in otto puntate, infatti, viene mostrata, spogliata e gettata in piazza la malata cultura dello stupro che, purtroppo, è un fenomeno palpabile soprattutto in certi contesti sociali, anche tra i più giovani. Ne parlavo qualche giorno fa recensendo la stupenda 13 Reasons Why e alcuni spunti si rivedono in Broadchurch, come per esempio la questione del cyber-bullismo, delle fotografie fatte girare tra ragazzi e quant’altro; questo, assieme alla questione dell’incidenza della pornografia nella costruzione di un’idea sbagliata sulla sessualità e la donna, sono i temi forti che circondano la storia di Trish e la caccia allo stupratore. Il risultato, è un lucidissimo, rabbrividente quadro su come il sesso e lo stupro possano essere considerati da un uomo o da un ragazzo cresciuto con certe immagini a disposizione e nessuno a spiegargli come usarle. Perché no: il problema non è la pornografia, il problema è l’idea che ti fai della donna, di quello che è lecito o non lecito fare con lei.
Affido il mio pensiero sulla faccenda ad Alec Hardy e dico che:
“Gli uomini non sono così, lui è un aberrazione”
Broadchurch ha chiuso i battenti: una stagione forse non all’altezza delle prime due ma sempre brillantemente condotta, interpretata e costruita. Un crime drama che raggiunge quell’eccellenza che spesso solo gli inglesi sanno raggiungere.
Ci mancherà, molto, e poco importa che abbiano fatto il remake americano sempre con David Tennant protagonista (Gracepoint): le scogliere di Broadchurch non saranno mai le stesse.