Riflessioni sul politically correct portato agli estremi.
di Alessandro Sivieri
È cosa nota che l’aziendalismo della Disney porti a un forte controllo sulla produzione cinematografica, in modo da sviluppare ogni brand secondo una direzione ben precisa. Se qualche tassello del mosaico sgarra o prende una direzione pericolosamente autonoma, viene eliminato senza tanti complimenti. Un caso principe è il licenziamento di Phil Lord e Chris Miller dal film di Han Solo a riprese quasi completate, per sostituirli con Ron Howard, in veste di riparatore d’eccellenza che porta a casa il salvabile. Il caso più emblematico, che sta polarizzando i fan, è la recente espulsione di James Gunn dall’Universo Cinematografico Marvel, in seguito all’esposizione pubblica di alcuni suoi Tweet risalenti a dieci anni fa, da parte di alcuni attivisti pro-Trump. Il contenuto dei Tweet non è certo da prendere alla leggera, in quanto ironizza in modo pesante su temi come stupro, sessismo e pedofilia, ma lo stesso Gunn ha dichiarato che quelle frasi erano intese come provocazioni, scusandosene più volte nel corso degli anni. Questo non è bastato alla Casa di Topolino, che per bocca del CEO Alan Horn ha giudicato le parole di Gunn sono indifendibili e non allineate con i valori dell’azienda, dandogli frettolosamente il benservito.
Dinanzi a un provvedimento così pesante, c’è da chiedersi quanto la Disney sia disposta a sacrificare per preservare la sua facciata politically corret. James Gunn è stato uno dei pilastri dell’Universo Marvel, prendendo personaggi sconosciuti al cinema come i Guardiani della Galassia e rendendoli un fenomeno di massa, trasformandoli nel corrispettivo spaziale degli Avengers. Gunn è persino intervenuto personalmente per curare le parti relative ai Guardiani in Infinity War, rimarcando il suo ruolo di primo piano nel panorama supereroistico. Oltre ad aver lanciato Chris Pratt e Dave Bautista come star dell’action, la saga di Gunn rappresenta il meglio della filmografia Marvel, dove l’umorismo di fabbrica è supportato da momenti emozionali, un’impostazione estetica pregevole e una colonna sonora ricercata. Il regista era già prenotato per il terzo episodio ma dopo il licenziamento sarà difficile prevedere il destino dei Guardiani, che a livello visivo e narrativo si ritroveranno orfani. È davvero bastato così poco alla Disney per sacrificare un autore di punta?
A parere della nostra redazione (e non siamo i soli) questo atto è l’emblema dell’ipocrisia dell’azienda, che per non correre il rischio di schierarsi e incappare in polemiche spinose ha deciso di silurare un regista, basandosi sul baccano creato da troll e attivisti politici. Certo, la pedofilia e lo stupro sono indifendibili, ma quei Tweet erano di dominio pubblico da parecchio tempo e lo stesso autore si è detto a più riprese dispiaciuto per il suo umorismo infantile. Ma essendo la produzione Disney incentrata sulle famiglie, con un dominio pressoché intoccabile nel mercato, si è preferito coprire gli occhi con uno spesso strato di fette di salame e troncare il problema alla radice, senza possibilità di appello. Forte del suo patrimonio e dei brand che ha progressivamente inglobato, la Disney ha preso il vizio di standardizzare i prodotti per non indispettire nessuno, oltre a puntare il dito contro gli altri senza ricordare il proprio passato. Per decenni i giovanissimi sono stati influenzati da stereotipi razzisti e sessisti che proprio la Casa di Topolino, rispecchiando i tempi, ha infuso nelle sue opere. Vero, sono vicende risalenti a decenni fa, ma quei cartoni e quei fumetti non sono forse ben noti e, in parte, ancora in commercio? Seguendo questo ragionamento, i capoccioni della Disney dovrebbero autolicenziarsi. O dovrebbero sbattere fuori a calci Robert Downey Jr. per i suoi problemi con la droga e con la giustizia. Non scordiamoci inoltre la violenza domestica di Johnny Depp e le molestie alle colleghe di John Lasseter, che non è certo stato allontanato in questo modo. Il problema è la pedofilia? Come sostiene l’attore Bobcat Goldthwait, che ha preso le difese di Gunn, la Casa di Topolino dovrebbe ritirare il film Powder (1995) dal commercio, in quanto il regista Victor Silva venne condannato per molestie a un ragazzino di dodici anni.
Seguendo questo doppiopesismo made in Disney, le parole sono più gravi dei fatti. Sarebbe interessante controllare i profili social di tutti gli attori, registi e sceneggiatori impiegati a Hollywood, per capire se qualcuno di loro abbia mai scritto una cazzata, magari senza pentirsene. Allargando il discorso, tutti possiamo aver scritto offese o battute di cattivo gusto, ma a quanto pare, se un troll le scopre dieci anni dopo, Topolino getta la tua carriera nel cesso, perché la libertà di espressione sussiste solo se non va contro gli interessi aziendali. Altre figure dello spettacolo hanno offerto il loro sostegno a Gunn, da Zoe Saldana a Dave Bautista. Più inquietante il silenzio di Chris Pratt, che si è limitato ad allusioni bibliche su Twitter senza commentare direttamente la questione. Sospettiamo che la sua trasformazione in divo strapagato sia completa, e che quindi eviti di supportare il suo ex-regista per non compromettersi professionalmente con la Disney. Dovremmo fermarci a riflettere sul confine tra le tematiche sociali e un politicamente corretto che colpisce gli addetti ai lavori in modo iniquo, e soprattutto ricordare che chi si autoeleva a giudice e boia è il meno innocente della brigata.
Intanto vi informiamo che esiste una petizione su Change.org per far riassumere Gunn, forte di centinaia di migliaia di firme (no, questa volta non l’abbiamo fatta noi). Potrà non cambiare le cose ma fornirà certamente nuovi spunti alla discussione.