Da un estremo all’altro: dopo l’immobilismo fisico e personale del soldato Mike Stevens in Mine, il duo creativo Fabio&Fabio passa ad un adrenalico film girato con go pro e bmx. Ride! è “tanta roba”, soprattutto nei suoi linguaggi.
di Cristiano Bolla
Prima di tutto: chapeau. A Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, direttori creativi di un progetto che solo a raccontarlo se ne intuisce la difficoltà e che non solo è diventato un film ma ha trovato interesse e pubblicazione anche nell’editoria, con un romanzo e un albo a fumetti dedicato. Ride! è la storia di due spericolati che vengono coinvolti in una corsa estrema organizzata dalla misteriosa Black Babylon: Kyle (Ludovic Hughes) e Max (Lorenzo Richelmy), come da copione, sono spinti da drammi e problemi personali che li portano ad accettare la corsa, vuoi per soldi o per il bisogno di continuare a sentirsi libero, di fronte al pericolo. La corsa, tuttavia, si rivelerà molto più mortale del previsto.
Diretto da Jacopo Rondinelli e scritto dal duo Fabio&Fabio e Marco Sani (lanciato dalla web serie Hydra e passato poi per Addio Fottuti Musi Verdi), di Ride! si deve parlare per forza come di un film in cui il linguaggio adottato la fa da padrone: girato con una marea di Go Pro, attingendo a piene mani dal mondo dei videogames e mischiandoci insieme un genere particolare come il found footage. Un miscuglio di riferimenti che si amalgamano perfettamente con lo stile e il ritmo che una storia del genere richiede: Ride! è un esempio perfetto di transmedialità, di commistione di generi, linguaggi e modi di adattare una storia, anche semplice, in qualcosa di unico.
Ride! ha una narrazione frammentata tipica di quei film che hanno la pretesa di un punto di vista “reale” come quello di una telecamera che, internamente alla storia, riprende i protagonisti. Giusto per tirare fuori qualche altro nome più o meno illustre, è una sorta di complesso found footage à la Blair Witch Project o Chronicles. In questo caso la scelta è resa ancora più moderna alternando non solo le Go Pro installate sui caschi, lo zaino e sparse per tutto il paesaggio dolomitico, ma anche nel primo atto tramite riprese “da dentro” lo schermo di un computer e così via. Questo garantisce una pluralità incredibile di punti di vista e quindi ritmo: immaginate dover visionare ore e ore di girato e scegliere il miglior take di solo un paio di secondi. Paura e Delirio in sala montaggio.
Detto dei video sportivi che hanno messo sulle mappe di Internet qualsiasi folle spericolato amante del parkour, degli sport estremi e armato di una Go Pro, passiamo al secondo macro-mondo cui Ride si affida per raccontare la storia: il connubio tra cinema e videogiochi è una storia solitamente sfortunata, ma qui parliamo di linguaggio e la generazione di Fabio&Fabio lo padroneggia alla grande. Una corsa pensata per livelli, con difficoltà crescente e boss finali, senza dimenticare di curare aspetti fondamentali della sceneggiatura tout court come elementi drammatici, movimento e trasformazione dei personaggi. Ride! si avvicina quindi a film come Hardcore, ma anche film cult come Crank, inserendo qua e là elementi videoludici che ne risaltano, ancora una volta, la natura transmediale.
Chiudere un film che parte da queste due basi non era facile e se vogliamo trovare il pelo nell’uovo è qui che Ride sbarella un po’: almeno quattro i finali che si susseguono, ognuno che aggiunge più dubbi e trasformano il film da survival thriller a horror sci-fi con atmosfere e suggestioni musicali che ricordano un piccolo capolavoro come Get Out. Purtroppo il finale potrà far storcere il naso a qualcuno, con le sue mille domande: che succede dopo? Che era quel liquido? Perché quella persona ripete le stesse cose? È un androide? È Selvaggia Lucarelli? Non lo sapremo mai, ma la questione non infastidisce più di tanto se riletta alla luce del film, dei personaggi e delle stesse logiche videoludiche inserite: c’è sempre un livello successivo, la voglia di andare avanti, di non fermarsi e correre più forte.
Il pregio assoluto di Ride! è la sperimentazione tra generi e linguaggi in un contesto, quello italiano, in cui fino a pochi anni fa di sperimentazione si aveva paura persino a parlarne. Grazie a Guaglione e Resinaro (e ai vari Mainetti, Rovere e compagnia) si può invece continuare a parlare di New Wave italiana: un movimento che si scrolla di dosso l’immobilismo del passato per abbracciare di nuovo un cinema che si ripensa nei generi e negli azzardi produttivi.
E quindi, di nuovo, chapeau ad un duo creativo dal quale possiamo continuare ad aspettarci molto.
Recensione di Mine sempre del duo Fabio&Fabio: Mine – Il passo avanti di Fabio & Fabio