Dopo otto stagioni e un ultimo mese di aspre critiche, è andato in onda l’ultimo episodio di Game of Thrones, una serie che lascia tanto in eredità, nel bene e nel male.
di Cristiano Bolla
Game of Thrones è morto, viva Game of Thrones. Dopo otto stagioni si è conclusa una delle serie tv più popolari della storia della televisione, capace di crescere con gli anni e superare i limiti del suo iniziale fandom, appassionando e dividendo in maniera unica. Una serie, quella tratta dai libri di George R.R. Martin, senza mezze misure: vere Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, del tutto o del niente. O almeno così sembrerebbe, vista l’ondata di polemiche e dibattiti scatenatisi via via che l’ottava stagione si avviava verso la sua annunciata conclusione. Ragione o torto, Game of Thrones ha dato tanto all’intrattenimento televisivo e merita un’analisi meno manichea.

In questo portale trovate le recensioni delle ultime due stagioni. I titoli sono: Benioff e Weiss hanno passato la maturità? e La recensione della settima scialbissima stagione. Questo per dire: non le abbiamo mai mandate a dire ed è evidente, palese, lapalissiano, cristallino, che dal punto di vista narrativo da quando Game of Thrones ha iniziato a camminare sulle sue gambe, senza l’appoggio dei libri di Martin, è cambiata. Mettete a confronto un qualsiasi episodio della prima o seconda stagione con uno (salvo eccezioni, di cui parleremo tra poco) della sesta o settima: i tempi del racconto hanno subito una evidente contrattura, l’azione è più veloce, gli spostamenti fulminei, tutto accade più in fretta e i nodi sono venuti al pettine in maniera talvolta frettolosa. Questo è indubbio: che siano esigenze produttive o un modo diverso di approcciarsi al racconto da parte di Benioff & Weiss, così stanno le cose. Game of Thrones è cambiato, vero, ma è cambiato anche il pubblico di riferimento, molto più generalizzato. È importante, tuttavia, ricordare da dove si è partiti. Che cosa è Game of Thrones, insomma.

Game of Thrones è un racconto fanta-politico, in cui il secondo genere è sempre stato più preponderante. Il cuore della serie è sempre stato questo: la conquista del Potere e cosa si è disposti a fare per ottenerlo. Il tutto in salsa fantasy, condito con alcuni degli elementi di maggior successo della storia dell’intrattenimento, dall’alba dei tempi: sesso e sangue. Le prime stagioni hanno iniziato a tirare su sempre più seguito, espandendosi oltre i propri iniziali confini, grazie al passaparola su due principali aspetti: c’è un sacco di sesso e muoiono male quasi tutti. Game of Thrones è stata capace di dare emozioni uniche grazie a risvolti inattesi, scioccanti, come la morte di Ned Stark o le Nozze Rosse. Un gioco di potere, un House of Cards con draghi e non morti di contorno. Cosa è cambiato, poi?

Finché la narrazione era coperta dai libri di Martin, o quantomeno finché la gente poteva contare su un riferimento letterario, al pubblico sono state bene tutte le scelte, perché c’era un riscontro diretto, come se essere scritto nero su bianco fosse una garanzia di credibilità o di successo. Quando questa base è venuta meno, si sono moltiplicati i dissensi, i mugugni e i vari “ma non ha senso” che fanno le pulci alla narrativa, uno dei modi peggiori per approcciarsi a questo tipo di prodotti. Tra i migliori commenti di questo genere: “non ha senso che ci siano le persiane nel medioevo”, detto mentre un drago distrugge una città. Paragonare serie e libri è un esercizio spesso inutile e infruttuoso: si può giudicare come un cane nuota, ma non come un pesce cammina. Chiaro no? Tutto questo, insieme alla passione per la serie e i personaggi, ha portato alla costruzione di un’aspettativa che era molto facile da disattendere, specie in una serie famosa perché spesso tutto va nel peggiore dei modi. Ecco una diapositiva del “peggiore dei modi”.

A questo punto gli autori, forti di un successo incredibile (che nell’industria cinematografica significa principalmente più budget), hanno corretto la rotta e, senza più una narrazione a prova di bomba alle spalle, hanno costruito le ultime tre stagioni su risvolti molto più veloci, potenzialmente deludenti, ma incorniciandoli con la migliore televisione mai vista prima. La Battaglia dei Bastardi, La Lunga Notte e Le Campane: basta prendere questi tre esempi, episodi televisivi con un tasso di qualità cinematografica assolutamente senza precedenti, sotto l’aspetto tecnico, per tracciare una linea tra la serie con Martin e quella senza Martin; questi episodi hanno dato pura gioia negli occhi a chi in un prodotto di intrattenimento cerca anche questi aspetti. Regia, fotografia, CGI: qualità oltre i confini dello schermo televisivo.

La puntata finale di Game of Thrones è arrivata con queste premesse e sicuramente farà imbestialire e gridare al massacro tantissimi fan. È legittimo essere delusi? Assolutamente sì. È legittimo pensare di poter fare petizioni per rifare la serie? Assolutamente no. Al di là degli aspetti produttivi (impensabile rifarla), con questa sciocca provocazione si mina il valore artistico di un’opera: possiamo rimanerne affascianti, soddisfatti, delusi, arrabbiarci, giurare che non ne vedremo mai più un secondo, ma quell’opera è giusto che sia come gli autori l’hanno intesa. La televisione, come il cinema, teatro, musica, pittura, scultura e qualsiasi forma artistica deve essere libera di fare bene, così come di fare male. Il controllo su questi prodotti non può essere in mano al pubblico, con buona pace dell’algoritmo di Netflix. Tutto il resto è arroganza, presunzione di poter fare meglio, ignorando il lavoro che c’è dietro un prodotto del genere. You Know Nothing, pubblico generalista.

Veniamo all’ultima puntata: Il Trono di Spade. Da qui partono gli spoiler, avvisati.
Daenerys ha sfogato la sua ira, che con buona pace delle critiche quali “eh ma impazzisce così di botto” era largamente anticipata, fin dalla prima stagione. “Un Targaryen lasciato da solo è un pericolo per il mondo” diceva in tempi non sospetti Maestro Aemon. E così è stato: portata allo stremo, Daenerys ha ceduto alla sua tirannica furia liberatrice, in un chiaro messaggio che buca lo schermo: lei combatte per il giusto, ma chi crede in una diversa giustizia non ha libertà di scegliere. L’ABC della Tirannia si scontra con lo Scudo degli Uomini, colui che ha aperto la Barriera al Popolo Libero perché potessero essere tratti in salvo, uomini tra uomini, e finalmente esce dal suo ruolo di carta da parati e fa quello che tutti si aspettano che facesse. Benioff & Weiss, che a dispetto degli insulti ricevuti non sono due presi a caso, hanno preventivato l’ondata di polemiche e messo in bocca Tyrion tutto lo spiegone necessario per capire questi risvolti (inclusi quelli di Jaimie e Cersei): chi si ostina a ritenerlo un “tradimento del personaggio”, a questo punto, ha guardato una serie diversa. Fin qui era tutto abbastanza preventivato e preparato. Poi inizia il freestyle.

Concludere una serie del genere, non era assolutamente semplice. La scelta di Benioff & Weiss è stata un ritorno alle origini, ai personaggi protagonisti della serie e, dopo un classico anticlimax (Daenerys conquista tutto – Daenerys perde tutto), si ritorna alle vicende degli Stark, la famiglia tramite cui si è filtrata tutta la storia, la bussola morale mai messa in discussione: i Buoni. Come in ogni racconto fantasy del genere, alla fine i Buoni vincono, ritornano al proprio Mondo iniziale, ognuno con la propria evoluzione e realizzazione personale: Sansa non solo è una Lady, ma Regina del Nord, conquistando quel posto di potere che la sua sottomissione a più persone le aveva fatto ardentemente desiderare; Jon è nuovamente libero, dal suo nome (doppio adesso) e dalle regole aristocratiche dei Sette Sei Regni, motivo per cui aveva preso il Nero in principio; anche Arya, esaurita la sua lista di vendette, trova la sua strada. Capitolo a parte per Bran, quello inutile, la cui trama è stata ampiamente la più criticata specie perché impediva un qualsiasi legame empatico: ora a governare è proprio lui, la Storia, la Memoria. Un risvolto narrativo che è puro meta-testo. Piacerà o non piacerà, ma tant’è.

Siccome tutte le storie devono finire, ad un certo punto, così è anche per Game of Thrones. Il suo lungo viaggio, durato otto anni, lascerà tantissimo nell’immaginario collettivo, nella cultura popolare del nostro tempo. Probabilmente non ha riscritto la storia della televisione, non ha cioè cambiato le regole della narrazione (in questo senso sono ancora tre le serie più importanti: Twin Peaks, Lost e Breaking Bad), perché vista nel complesso è una storia fantasy con elementi e un finale classico, ma ha contribuito ad elevare il mezzo televisivo ad un punto molto più elevato. Ha radunato milioni di fan, li ha scioccati, poi delusi, poi riconquistati e dunque è finita.
Comunque vi sentiate, tutto questo è intrattenimento: appassiona, coinvolge, emoziona, delude, a volte pesantemente. Ma è così che funziona e così che deve funzionare. Non dovremmo volere altro dalle storie.
Valar Morghulis.
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