BLACK MIRROR – Quinta stagione: il futuro è oggi

Sei mesi dopo l’uscita dell’esperimento di interattività Bandersnatch, Black Mirror torna nel suo formato originale con tre episodi. Ecco la nostra recensione.

di Cristiano Bolla

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Chi lo sa se questa quinta stagione di Black Mirror si salverà dal furore popolare che sembra non apprezzare più nessun tipo di prodotto. Critiche – feroci, sopra le righe – per Endgame, per Game of Thrones, per Godzilla, per Conte allenatore dell’Inter… Siamo diventati una società più interessata alla critica che all’analisi, allo scontro più che al confronto. Può sembrare che la stia prendendo larga, ma chi guarderà la quinta stagione di Black Mirror potrebbe rendersi conto che non ci sto andando troppo lontano.

A fine 2018 il buon Charlie Brooker ci aveva deliziato con Bandersnatch (QUI il nostro articolo con tutte le soluzioni), un prodotto innovativo non tanto per via dell’interattività, quanto perché questo elemento si legava strettamente alla storia, ne era intrinsecamente intrecciato, la narrazione non era solo un pretesto per permettere di fare delle scelte, ma era il focus stesso dell’esperienza. Tutto questo mi ha ridato fiducia per il proseguo di una serie, che nelle ultime due stagioni aveva perso un po’ di presa, di appeal, a volte anche il focus. Nella quinta stagione di Black Mirror, questo cambiamento si conferma. Ahimè.

La considerazione generale, prima di andare nello specifico dei tre episodi che compongono questa quinta stagione di Black Mirror, è che non sia tanto il focus a essersi spostato, quanto l’orizzonte di riferimento. Altri episodi di Black Mirror, sin dalle origini, erano ambientati nel presente (The National Anthem, The Waldo Moment e Shut up and Dance), ma tutte giocavano su elementi che facevano presagire un futuro non troppo lontano in cui la tecnologia avrebbe preso una piega pericolosa, oscura. Pura distopia, insomma.

In Striking Vipers e Smithereens, invece, la componente “futuristica” è ridotta al minimo storico, il focus è sulle relazioni umane e sull’interazione con gli strumenti che abbiamo già a disposizione, come questi influenzino già adesso la nostra vita. Il futuro è oggi, verrebbe da dire. Nel bene e nel male. Vediamo gli episodi nel dettaglio.


STRIKING VIPERS

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Nelle ultime stagioni, Brooker ci ha abituato ad una varietà di generi, che venivano declinati di volta in volta nella filosofia generale della serie. In Striking Vipers abbiamo una sorta di romance, la storia di un uomo (Anthony Mackie) abbastanza insoddisfatto del suo matrimonio e della routine (anche sessuale) che ha con la moglie. La soluzione? Rifugiarsi in un videogioco, Striking Vipers, un picchiaduro alla Street Fighters che, grazie alla Realtà Virtuale, si è evoluto al punto di farti vivere in prima persona l’esperienza. Il suo compagno di giochi è l’ex coinquilino, con il quale, complice gli avatar e il senso di libertà dato dalla VR, le cose diventano presto molto carnali. Striking Vipers riflette su vari temi, come le possibilità della Realtà Virtuale, il fatto che sotto sotto l’istinto primordiale è sempre quello erotico e arriva a toccare inoltre i confini della definizione sessuale di un individuo. Episodio però piatto, senza colpi di scena, che si limita a presentare questi temi ma non ad andare a fondo, sprecando una buona opportunità per analizzare quei determinati aspetti. Fatality.


SMITHEREENS

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Dei tre, quello che scava più a fondo e che riflette (c’è mirror nel nome della serie dopotutto, no?) meglio la società così come è ora. Christopher Gillhaney (Andrew Scott) è un uomo che ce l’ha a morte con Smithereens, un social come Facebook e Twitter, in grado di dare dipendenza e di cambiare la percezione della realtà e dei rapporti sociali attorno a noi. Rapisce quindi uno stagista della Smithereens e minaccia di ucciderlo se non parlerà con lo Zuckenberg della situazione, Billy Bauer. Nessuna distopia qui, se mai uno sguardo documentaristico, totalmente aderente al reale: gli smartphone come estensione del nostro essere, i dieci secondi di attenzione che i social cercano costantemente di catturare e via dicendo. Un dramma umano, efficace e tremendamente attuale, che ci permette di confrontarci con aspetti quotidiani delle nostre vite. Rischia di scadere nella facile retorica, senz’altro, ma il concetto “il futuro è oggi” è il protagonista assoluto dell’episodio. Thumbs up.


RACHEL, JACK AND ASHLEY TOO

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Qui parte il freestyle. L’episodio con protagonista Miley Cyrus è molto difficile da commentare, perché tra l’inizio e la fine cambia completamente, almeno tre volte. Parte con Rachel, una ragazzina che ha come idolo la star Ashley O. (Miley) tanto da farsi comprare la sua bambola, dotata di IA. Questa, la spinge costantemente a credere in se stessa, la convince che è in grado di fare tutto, che basta volerlo e bla bla. Ecco, se si fosse limitato a questo, probabilmente sarebbe stato un episodio riuscito: molti danni delle ultime generazioni sono causati anche dall’iper-sicurezza che viene inculcata fin da piccoli, quindi questo sarebbe stato un bel tema su cui insistere. Invece, purtroppo, Brooker va in freestyle, posseduto dal demone di Disney Channel e trasformando il tutto in uno di quei teen movie apprezzabili ma scarsamente ricordabili. L’episodio con la maggior presenza di “cose tecnologiche e distopiche” è anche quello più superficiale. Wrecking Ball.


Quel che resta di Black Mirror, non è dato sapere: lo spostamento da un futuro incerto ad un presente inquietante è apprezzabile, a furia di vedere meme sull’argomento, viene da pensare davvero che tutto il materiale necessario a Black Mirror sia a disposizione qui, nella nostra realtà e non in qualche fantasia alla Philip K. Dick; ma la sensazione è che per ogni episodio azzeccato (San Junipero l’unico dell’Era Netflix) ci si debba sorbire tanto altro materiale trattato in modo più scialbo.

Peccato. Ma siamo anche onesti nell’analizzare la nostra società e cosa faremmo se ci trovassimo in certe situazioni: chi non vorrebbe avere un tête-à-tête in Realtà Virtuale con Nina Williams di Tekken? Onesti, eh.

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