A 25 anni di distanza, il film d’animazione tradizionale con più incasso nella storia torna nelle sale con una veste grafica moderna e che ricalca perfettamente l’originale. E meno male.
di Cristiano Bolla
Nel decennio del “un giorno tutto quello che vedi sarà un remake” intrapreso dalla Disney, che con cadenza annuale sta ributtando fuori tutti i Grandi Classici che l’hanno resa l’azienda cinematografica più potente al mondo, non poteva sfuggire uno dei prodotti di punta del cosiddetto Rinascimento Disney: Il Re Leone.
Sul solco tracciato da altri film della Casa di Topolino, come La Bella e la Bestia, Aladdin e Dumbo, il film originariamente diretto da Roger Allers e Rob Minkoff torna mantenendo intatta la storia che l’ha reso grande e popolare, con una veste grafica adattata ai tempi e alle possibilità tecniche della nostra epoca. Alla regia Jon Favreu, già dietro il bel rifacimento de Il Libro della Giungla, che nel 2016 conquistò l’Oscar per i Migliori Effetti Speciali.
Facciamo per un attimo finta che abbiate vissuto in ibernazione negli ultimi trent’anni: The Lion King è l’immortale storia di un cucciolo di leone, Simba, figlio di Mufasa, Re delle Terre del Branco, il quale muore per zampa del fratello Scar, intenzionato a prendere il potere sul branco a tutti i costi. Se, come detto, siete stati ibernati per tre decenni e la storia vi sembra comunque familiare, è perché tutto il film della Disney è influenzato pesantemente da un altro grande classico della letteratura, l’Amleto di Shakespeare.
Partiamo da qui, perchè è importante capire che certe storie hanno un valore immortale, sono valide e funzioneranno per sempre, sono il canone sulle quali tutto il resto viene costruito e raccontato. L’Amleto e Il Re Leone ne sono un esempio: sostituite nomi, specie animale, quello che volete, ma la storia di un principe accusato della morte del padre che torna per vendicarsi e riprendere il suo legittimo trono è un caposaldo del racconto e dell’intrattenimento. Cosa può dare di più allora Il Re Leone di Jon Favreu a quanto già messo in scena dalla Disney stessa nel 1994?
Se in quest’epoca di petizioni e polemiche infinite su qualsiasi cosa siete dalla parte del “eh, ma che bisogno c’era di rifarlo se è tutto uguale?” e non vedete nessuna differenza tra i due Simba nella foto qui sopra, forse vi piace il cinema ma non lo capite. Non serve tornare ai tempi biblici del cinema delle attrazioni di Méliès, ma va sempre ricordato che una parte fondamentale dell’intrattenimento audiovisivo sta nel modo in cui viene realizzato e per quanto Il Re Leone del 1994 forse possa “bastare” per raccontare la storia, con questa versione in perfetta CGI la possiamo vedere in una veste nuova, con un realismo diverso che lascia quindi spazio a molte più possibilità interpretative, emotive e tanto altro.
In secondo luogo, bisogna anche mettersi nei panni delle nuove generazioni: un bambino di quattro, sette, dieci anni, difficilmente avrà la possibilità di rivedere l’originale cartone Disney su grande schermo, quindi perché non realizzarne una versione aggiornata, ma mantenendo intatta quasi battuta per battuta una storia che non ha perso niente in efficacia e qualità del racconto? Se la risposta che vi date è “Se lo guarda in Blu Ray“, ancora una volta forse vi piace il cinema, ma non lo capite. Terzo e ultimo appunto: la Disney è una macchina da soldi, raramente sbaglia un colpo e se sono quindici anni che si prediligono remake, reboot e sequel a prodotti high concept, forse è perché le indagini di mercato suggeriscono che questa è la via e questo è quello che il pubblico, vecchio o nuovo che sia, vuole. E nonostante tutte le petizioni del mondo, hanno ragione loro. Sempre. Lo dicono i numeri dell’industria. Non c’è da questionarne proprio. Su questo dovete proprio stare hakuna matata.
Ecco perché anche questa versione de The Lion King funziona e continuerà a farlo per sempre: una storia valida può essere aggiornata nel formato, nella tecnica, riproposta in mille maniere, ma avrà sempre presa. Lo fa anche questa versione con Donald Glover, Beyonce, Seth Rogen e l’immortale voce di James Earl Jones (l’originale Mufasa). È una copia sputata del cartone originale, certo, ma con una CGI perfetta e qualche piccolo aggiustamento e strizzata d’occhio che farà più che contento il ventottenne andato al cinema con la puzza sotto il naso da “ma perchè rifarlo uguale“. Perché stai cantando Hakuna Matata a labbra neanche troppo strette, guardando un leone in CGI zampettare con un facocero e un suricata, ecco perché.
Non è detto che il film in “live action” sia meglio del cartone, ne viceversa: in alcune scene forse poteva essere sfruttata meglio la nuova regia, caricandole con più pathos, ma va anche considerato che questa versione riesce a prendere, commuovere ed emozionare senza la possibilità di, per esempio, far sogghignare Scar o sorridere Rafiki, perché il realismo ricercato dalla CGI si piega ai limiti della natura. A proposito di commuoversi: si consiglia di non guardarlo in 3D, che è scomodo piangere alla morte di Mufasa con su gli occhialini.
La Disney, in definitiva, può anche rifare tutti i film del mondo in live action: una storia come Il Re Leone è immortale, così come quella di una sirena che vuole vivere nel mondo in superficie sarà sempre efficace a prescindere dal colore della pelle, dei capelli o dalle scelte di adattamento; che è facile battersi perché l’originale Sirenetta di Andersen era bianca, meno perché muoia alla fine del film come le succede nella favola danese. Così, per dire.
Guardate questo The Lion King con gli stessi occhi di quando eravate bambini, o con un paio nuovi che possano apprezzare il lavoro di CGI. E se siete ancora convinti che non ci fosse bisogno di farne una copia uguale, ricordatevi che il cerchio della vita è anche questo: a un certo punto si ritorna sempre al principio.
E, allora, ora e sempre: AAAAA-ZWEGNA TU-BA-DI TU-BA-DA.