KNIVES OUT – Il mio nome è Blanc, Benoit Blanc

È arrivato nelle sale Knives Out – Cena con delitto, film scritto e diretto dal tanto contestato Rian Johnson. Una piacevole sorpresa: un giallo che gioca col genere, trova una sua strada e mostra al mondo un nuovo detective da amare, Benoit Blanc.

di Cristiano Bolla

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Signori, il delitto è servito. Di nuovo. Knives Out di Rian Johnson infatti è solo l’ultimo di una lunga schiera di film gialli che presentano all’incirca lo stesso canovaccio: qualcuno muore, qualcuno indaga, lo spettatore guarda. Su tutti loro, regna incontrastata la Regina del Giallo, Agatha Christie: il suo stile è inconfondibile, la sua forza i cosiddetti misteri della stanza chiusa dall’interno (locked room mystery), in cui viene commesso un delitto in un ambiente chiuso e si indaga per scoprire chi dei presenti l’ha compiuto. Ne sono un’esempio non solo i film tratti dai romanzi di Agatha Christie, ma anche i suoi figli come Nella mente del serial killer (2004, titolo originale Mindhunters), direttamente ispirato a Dieci Piccoli Indiani. Questo è il fascino immortale del suo Hercule Poirot e da qui parte Rian Johnson.

Nel suo giallo, girato in poco più di un mese e con un budget contenuto (40 milioni), il tanto contestato regista di The Last Jedi riunisce un cast di spessore per raccontare la vicenda di un omicidio in famiglia. A morire è Harlan Thrombey (Kevin Spacey Christopher Plummer), guarda caso scrittore di gialli di enorme successo. A ucciderlo, lui stesso: suicidio. Fosse davvero così però non staremmo a raccontarvi il film ed ecco quindi che entra in scena Benoit Blanc (Daniel Craig) investigatore gentiluomo. Ingaggiato da chissà chi, lo 007 privato indaga per scoprire la verità dietro alla morte di Thrombey. Murder, he wrote.

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Benoit Blanc, modi spigliati e accento strascicato del sud (praticamente già un’icona), sospetta che ad ucciderlo sia stato uno dei membri della famiglia, presenti durante la festa di compleanno. C’è il figlio responsabile della casa editrice (Michael Shannon), la nuora che lo usa come un portafoglio (Toni Colette), il nipote definito “la pecora nera” della famiglia (Chris Evans) e molti altri. Tra tutti loro, c’è anche Marta (Ana de Armas), l’infermiera dal cuore d’oro di Thrombey che ha una particolarità decisamente svantaggiosa durante un’indagine del genere: quando mente, vomita. Le pedine sono sul tabellone, è ora di tirare i dadi e scoprire chi ha ucciso Harlan Thrombey, nello studio, con un coltello.

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Ci sono due strade principali per approcciarsi al genere. Puoi essere un Tenente Colombo, oppure una Jessica Fletcher. Grandissimi esempi di serie gialle, con però un approccio completamente diverso. Nel Colombo di Peter Falk la prima cosa che si vede è l’omicidio e l’assassino: lo spettatore parte da un punto di vista privilegiato, conosce già da subito come sono andate le cose e in ogni puntata l’interesse è capire come il detective arriverà alla soluzione. La sua frase più celebre è “Ancora una cosa…”, le parole magiche che annunciano la verità: ha capito cosa sia successo ed è pronto a mettere tutti nel sacco.

Ne La Signora in Giallo di Angela Lansbury, invece, seguiamo con lei l’indagine, sappiamo solo quanto sa lei e ci affidiamo al suo intuito per arrivare alla soluzione. Lo spettatore in questo caso non è onnisciente, cammina pazientemente a fianco dell’investigatrice e pende letteralmente dalle sue labbra. Un approccio diverso, ma proprio del giallo: è Agatha Christie nel suo purismo, un modello di successo che dopo quasi un secolo ancora appassiona e intrattiene.

Poi c’è Rian Johnson, che sceglie di prendere questi due approcci e mischiarli insieme. Il risultato? Magnifico. Knives Out infatti sembra presentarsi come una Signora in Giallo, ma ben presto inserisce dei flashback che offrono allo spettatore qualcosa di più, qualcosa che “normalmente” non dovrebbe sapere. Quindi la bomba: la verità viene svelata praticamente alla fine del primo atto (mezz’ora di film) e da quel momento Knives Out si tenentecolombizza™. Se quella che abbiamo visto è la verità, o Rian Johnson è un pirla che ha appena rovinato il film, oppure troverà il modo di appassionarci pur sapendo cosa sia successo veramente. Ovviamente è il secondo caso: sì, sappiamo cosa è successo, ma resta da capire come il detective lo scoprirà e soprattutto ci sono nuovi elementi che danno ancora più corpo alla verità dietro il suicidio/omicidio di Harlan Thrombey.

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Knives Out quindi è l’ideale figlio del Tenente Colombo e di Jessica Fletcher: lascia lo spettatore un po’ di qua e un po’ di là della lente d’ingrandimento, siamo allo stesso tempo parte dell’indagine e al di sopra di essa. Il “e ora cosa si inventa per la prossima ora di film?” magicamente diventa centrale e conquista, merito anche di un protagonista sagace ma divertente come il Benoit Blanc di Daniel Craig. Anche qui: un po’ l’intuito di Poirot, un po’ l’ironia di Colombo che non sai se ci è o se ci fa.

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Regia solida, scrittura che gioca col genere, gli dà una svecchiata (non che fosse necessaria, ma non è neppure forzata) e il risultato è un film divertente, appassionante che non rinuncia comunque a essere un giallo intrigante e dai tanti risvolti. C’è spazio anche per qualche ritratto sociale degli Stati Uniti di oggi, fornito dalla protagonista immigrata e da un nipote di estrema destra.

Knives Out è la nuova espansione del Cluedo, un gioco che non sembra tramontare mai e offre continui spunti di interesse. L’unico delitto, a questo punto, sarebbe non dare a Benoit Blanc una serie di film.

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. The Butcher ha detto:

    Recensione molto intelligente e accurata. Spero di riuscirlo a vedere oggi ma già il mood con cui il regista ha deciso di mettere in scena questo giallo mi ha sorpreso. Rivelare i’assassino a mezz’ora è un rischio enorme e solo chi è molto bravo può riuscire a rendere una storia così interessante. Spero di vederlo il prima possibile.

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