NO TIME TO DIE – Il fantasma di Bond

007, il minutaggio può attendere (e pure Rami Malek).

di Alessandro Sivieri

rami malek lucifer 007

“Signor Bond, io e lei vogliamo raggiungere gli stessi scopi, ma con metodi diversi.”

Così racconta il Lyutsifer Safin di Rami Malek a un impotente James Bond, mettendo inconsciamente nero su bianco il manifesto di questo No Time to Die: un’opera dalla durata notevole (circa 160 min.) che rappresenta la summa delle peripezie di Daniel Craig nei panni del leggendario agente segreto, riproponendo gli stilemi dell’avventura bondiana e ammantandoli di un’azione moderna, andrenalinica, così preminente da avvicinare il prodotto al franchise “rivale” di Mission: Impossible. La formula non è certo futuristica, ma Cary Fukunaga (incensato per True Detective) mantiene attuale il confezionamento e si serve efficacemente di una camera a mano concitata. Gli ingredienti base da 007, dunque, ci sono tutti: sparatorie in location esotiche, belle donne, auto potenti, un’arma di distruzione di massa da recuperare e perfino uno scienziato russo.

safin mascherato in no time to die

Il prologo è folgorante, orrorifico, gelido quanto la location che gli fa da sfondo. L’unico momento in cui il villain di Malek ha la facoltà di brillare, nascosto da una maschera che in una sequenza decisiva lo rende accostabile al Fantasma dell’Opera. Dopodiché Lyutsifer scompare per quasi due atti, ricompare per il gran finale e si riduce al tipico cattivone sfregiato e megalomane. La sua presenza col contagocce nel tessuto narrativo è funzionale unicamente alla sua mancanza di cose interessanti da dire. Spiegazioni traballanti e una backstory abbozzata per un antagonista del quale volevamo scoprire di più e che pare arrabbiato col mondo intero solo perché suo padre aveva un bel giardino, oltre a odiare profondamente i cuscini di piume. Il Blofeld di Christoph Waltz si rivede per cinque minuti, in una gabbia alla Hannibal, ma riesce a trasmettere più carisma di un Mr. Robot con la faccia da pesce palla

james bond in auto

A tentennare di tanto in tanto è la credibilità dello stesso Bond: Daniel Craig emana ancora un carisma elevato e passa scioltamente dalla camicia hawaiana allo smoking, ma gli anni trascorrono per tutti. Durante un buffo scambio di sguardi con una bambina, il protagonista somiglia in modo inquietante a Jay Pritchett di Modern Family, uno che di discrepanze di età se ne intende parecchio (chiedetelo a Sofia Vergara). Manca solo che telefoni al quartier generale con un Brondi. Lo vediamo poi perdere le staffe durante un interrogatorio e siamo portati a pensare che faccia parte di un piano preventivamente concordato, salvo scoprire un minuto dopo che Bond ha effettivamente sbroccato in un modo poco convincente. Alcuni suoi scoppi isterici contro Léa Seydoux, l’amore della sua vita, poggiano su fondamenta ugualmente scricchiolanti. Le rughe e gli inciampi della direzione attoriale non annullano la tenuta complessiva di Craig, che in diverse occasioni buca lo schermo (e tonnellate di nemici).

ana de armas bond girl

Bond non avrà certo Sofia Vergara in casa, ma durante un lavoretto a Cuba per conto della CIA viene affiancato dalla splendida Ana de Armas, già vista in Knives Out e in Blade Runner 2049. L’attrice ispanica, ormai lanciatissima, è un prototipo di bond girl vincente, grazie al suo fascino e al carattere esuberante che la scrittura le modella addosso in venti minuti scarsi. Sensuale, spigliata e spaccaculi, Ana si defila troppo presto, giusto il tempo di friendzonare (o arrivedercizonare) Daniel Craig, lasciandoci con l’amaro in bocca.

lashana lynch no time to die Nomi

Altrettanto convincente è Nomi (Lashana Lynch), giovane agente doppio zero che ha fatto carriera nella MI6 mentre il protagonista era dato per disperso. La ragazza funziona a meraviglia come spalla action del “comandante” Bond, reintegrato honoris causa, e si dimostra una tipa tosta senza ricorrere a battutine, forzature narrative o trovate sceniche discutibili (usate a profusione dall’odierna Disney). Un bell’assaggio per una potenziale erede o interprete di spin-off. Sottotono rimane la Seydoux, insieme al suo rapporto di lunga data con Safin (qui l’età anagrafica di Malek si rivela uno svantaggio).

no time to die james bond in smoking

Se il ritmo generale e le motivazioni dei personaggi soffrono di trascuratezza, Fukunaga si premura di sfruttare il suo 007 nella maniera migliore, ovvero descrivendolo attraverso le coreografie: le fughe spettacolari, i duelli all’ultimo sangue e le interazioni con l’ambiente ci fanno entrare in sintonia con Craig, ci mostrano la sua preparazione e il suo stato d’animo. Altra nota di merito va alla canzone di Billie Eilish che accompagna i titoli di testa. Un contorno di autocitazioni e un epilogo drastico arricchiscono una sorta di riassunto della saga sotto steroidi, nella consapevolezza dolceamara che la figura di James Bond, al pari delle sue skill effettive, ha bisogno di una riprogettazione in ottica contemporanea, senza perdere il completo elegante e la voglia di fare a cazzotti. Se sbagliate sala c’è sempre Tom Cruise appeso agli aerei.

Non perdetevi la videorecensione a cura del nostro Matteo:

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