Ricordi di abbuffate portoghesi e indigestioni di pellicole imbruttite.
di El Mimo Gabarria
Sapete, uno dei contrappassi più assurdi dell’esistenza umana è che gli obesi giurano di mangiare pochissimo, ma ingrassano come porci schifosi; i magri invece mangiano come toporagni di 200 kg (i toporagni sono i mammiferi più voraci, non scherzo) eppure rimangono degli ometti grigi alienoidi o delle donnette biafra. Ora, il vostro Mimo Gabarria fa parte della categoria degli alieni secchissimi e voraci, aspirapolveri non solo di cibo, ma anche di pellicole di merda. Qualche giorno fa ho fatto un sogno pazzesco: ero in un posto piuttosto assolato, un luogo che rientra spesso nella mia geografia onirica ma che nella realtà non esiste; trovo un po’ di analogie con alcuni paesi che ho visto nel Portogallo settentrionale. Ecco, entravo in una specie di museo moderno, dove c’era un libro antichissimo con una rilegatura meravigliosa di cuoio e oro. La cosa strana era che dentro la rilegatura non c’era il libro, bensì una formagella.
“Quel formaggio dovrebbe stare in un museo!”
Indiana Jones e l’ultima abbuffata
Venivo a sapere che era un preziosissimo reperto sumero o babilonese, e mi meravigliavo che la formagella non fosse andata in malora. Allora provavo a ogni costo ad assaggiarne un pezzo per vedere se fosse ancora buona. Non riuscivo però ad assaggiarla e pensavo insistentemente come fosse possibile che i sumeri sapessero conservare il formaggio per così tanti secoli. Al risveglio ho evocato Freud con un rito negromantico. Questo il monologo:
“Freud, aiutami a conoscere me stesso… Freud, cosa fai? No, no, vaffanculo Freud, non investigare la mia psiche, oddio no Freud, chi sono quelle persone con il camice bianco? Nooo, Freud! Infame, bastardo, non dovevi farmi questo! Freud, esci da questa stanza. Portami una sedia. E vattene!”
Ma arriviamo al punto: questo sogno mi ha fatto ricordare di una congrega cinefila che avevo molti anni fa. Non scriverò il nome per tutelare quei pazzi che ne facevamo parte, ma era una compagnia di ragazzi che si ritrovavano in uno stanzino a vedere film brutti, godendone moltissimo. Uno di questi ragazzi era un buon cuoco che, preso dal raptus dei film brutti, si metteva a cucinare specialità allucinanti, tra cui un mega cheeseburger siringato di grasso avvolto in due pizze, con patatine fritte, salsa e dello speck aggiunto a caso un po’ dappertutto.
Quelli erano veri piaceri lardosi. Abbiamo visto film come Basket Case (il film trash per eccellenza), L’uomo puma, Lupi giustizieri, decine di film assurdi sui ninja e sui piranha assassini, classiconi come La croce dalle sette pietre (Il lupo mannaro contro la camorra), Grazie padre Pio, Paganini horror. Molti altri che non ricordo, sono cose di più di dieci anni fa. Lo facevamo prima del fenomeno degli Youtuber, che li vedono alla veloce per poi raccontare agli altri quanto schifo facciano. A me non facevano schifo. A NOI non facevano schifo. Erano poesia. Gli Youtuber non mangiano cheeseburger dalle fattezze mostruose, non apprezzano le siringhe di lardo nella carne di scarsa qualità. I piaceri lardosi sono preclusi a loro. Pollice in basso per gli Youtuber.
Ma facciamo un altro salto nel tempo, stavolta in avanti. Vivevo in Portogallo e frequentavo una donna incredibile, figlia di una grande attrice, che però lavorava in una biblioteca nella polvere. Litigavo spesso con lei e una volta le citai in portoghese: “Non sarò per te solo lo specchio di una faccia che non cambia mai vestito, non sarò il tuo manico di scopa travestito da amante o da marito. Non sarò la tua consolazione e neanche il padre del tuo prossimo bambino. Per questa volta almeno sarò la tua libertà”. Pensavo che mi avrebbe ammazzato, invece si mise a piangere.
Ma a parte questo, questa donna, che era per me la Molly di Céline (ogni uomo nella sua vita meriterebbe di trovare almeno per qualche mese la Molly di Céline), era gran patita di cinema e di teatro. Vidi con lei molti film, alcuni veramente orrendi perché in Portogallo amano di certo il cinema italiano, ma ripropongono tutti i peggiori film d’annata, escludendo inspiegabilmente quelli belli. Anche per questo amo i portoghesi e la loro imperscrutabile malinconia. Ogni serata al cinema si concludeva con una mangiata orripilante in qualche bettola. Lei mangiava poco e mi guardava schifata. Poi la serata finiva come pensate.
Due anni dopo quei fatti ci trovammo a Porto, una specie di fuga romantica di una settimana. Lei mi portò a teatro a vedere qualche cosa di Ibsen, solo che gli attori locali recitavano in portoghese strettissimo e non capivo niente; inoltre ero appena arrivato dall’Italia ed ero stanco per il viaggio. Risultato: mi addormentai. Ma proprio russando a bocca aperta. Lei mi giurò vendetta. Mi portò in un posto strano, con vecchi marinai dagli occhi cisposi e acquosi di liquori, e iniziò a offrirmi “bifanas” (panini con dentro bistecche) in quantità e io mangiai tutto. C’era molto grasso in quella carne. Era cibo sudicio. Bevemmo un calice di vino mentre lei gesticolava sull’importanza di Ibsen e sulla mia ignoranza abissale in materia teatrale. Tornammo in camera ed ebbi una colica pazzesca. Stavo veramente malissimo. Mi è passato nel giro di due ore, ma ricordo quei momenti con quella dolorosa ironica malinconia che hanno questi tipi di ricordi vagamente onirici.
Gli anni passano. Facciamo un salto in avanti, ai giorni nostri. Ora non mangio più durante la visione dei film, anche perché non vedo più film brutti. Non è un vanto, lo dico con dispiacere. Ho smesso di mangiare come un fagocisauro. Ma vi giuro, amanti dei piaceri lardosi, che sono fermamente convinto che la miglior morte possibile rimanga quella del principe Torquato Terenzi (Vittorio Gassman) e del mastro Alvaro Puricelli (Paolo Panelli) nel Conte Tacchia di Sergio Corbucci (1982): morti in amicizia per indigestione, abbracciati nonostante le evidenti differenze di classe sociale, dopo essersi fatti l’undicesimo piatto di spaghetti aglio olio e peperoncino. Film icona di un cinema italiano che non c’è più, dritto parallelismo con quelle bellissime serate chiusi in uno stanzino a mangiare porcherie e vedere film pessimi ma poetici, o passate nei buissimi cinema portoghesi a vedere film scialbi e poi strafogarsi di carboidrati e d’amore.
El Mimo Gabarria