THE LOBSTER

THE LOBSTER

Recensione di Matteo Berta.

La condizione umana è solamente un riflettere su di un posto tranquillo dove scavare la propria fossa, quella animale non ci pensa, non ne ha bisogno.

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Nei mondi che non hanno bisogno di essere spiegati, nascono le migliori storie. L’universo narrativo de “The Lobster” è frutto di un metaforico binomio che si ripete in ogni ambito, la necessità dell’unione e il suo completo opposto, anche le due facce della medaglia formano un binomio.Questa storia racconta di come la necessità della coppia superi i valori naturali dell’essere umano, che non viene considerato tale se non in una determinata situazione “famigliare”. La sincerità all’interno della più completa menzogna, si presenta come altro valore fondamentale per questo racconto, così come la libertà all’interno di un controllo, un rigore necessario che nasconde un fine di bene comune o semplicemente una particolare ossessione di esistenza. Non ci interessa sapere molte motivazioni o molte razionali spiegazioni sul come possa funzionare una storia simile o come possa esistere dal punto di vista logico, ma ci preme conoscere storie di persone dall’esistenza aggrappata ad un conto alla rovescia prima della metamorfosi forzata. Nei vari film di mostri che abbiamo incontrato sul nostro cammino, spesso ci siamo imbattuti nella necessità dell’uomo di trasformarsi in mostro, per un capriccio personale o per elevarsi a qualcosa d’altro. In questo film, il cambiamento è illogico, in perfetto equilibrio tra punizione e giusto premio per essere rimasti fedeli a se stessi.

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Sarebbe troppo scontato è limitato considerare questa pellicola semplicemente per una grande metafora di una società apparentemente liberista, ma estremamente autoritaria nel coordinare le scelte e costruire i soggetti a proprio piacimento, non voglio semplicemente vederci questo, ma proprio come nello spirito del film, necessito di vedere la possibilità di una condizione di trasposizione esistenziale che in un certo senso, voglia liberare il “rimasto solo” e che voglia riportare ad una condizione primitiva (o se vogliamo più vera) l’essere umano che si è allontanato troppo dalla riva.

Colin Farrell vuole veramente fin dall’inizio diventare un’aragosta e nonostante gli intoppi di cui è protagonista che lo vorrebbero più legato ad una logica di odio verso la “costrizione coniugale” , ma successivamente il rifiuto dell'”anarchia singola”, fino a crearsi una propria condizione, fino a crearsi un proprio mondo con le proprie regole.

Gli animali che vediamo vagare come anime solitarie nello sfondo delle vicende, potrebbero essere benissimo viste come in una condizione di libertà dall’oppressione di ciò che effettivamente viene rappresentato in primo piano: vediamo un fenicottero mentre due “innamorati” cercano di comunicare in modo cifrato, vediamo un dromedario, mentre delle persone odiano gli innamorati e  li spiano, vediamo un pony mentre un personaggio è sofferente alla finestra e sembra non osservarlo con dispiacere ma con desiderio.

La finta cura per la miopia è la rappresentazione migliore per ciò che ci si può vedere in questo lavoro, in realtà non è una menzogna, quell’intervento la aiuterà sicuramente a vedere il vero e chi le sta vicino cercherà disperatamente di ricreare quel suo punto di vista.

Pensa solo che quando si diventa ciechi, gli altri sensi si rafforzano…

Regia visibile, a volte eccessivamente, non c’è bisogno di gridare allo spettatore che si è in cabina di regia. Colonna sonora gratuita, rimangono in mente solo i pezzi di Nick Cave.

La recitazione è ciò che funziona, veramente bene.

Ogni tanto si respira, in mezzo a tutta questo marasma. Consiglio vivamente.

The Lobster

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