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ZOOTOPIA, la sindrome di LOLA BUNNY e la CULTURA FURRY

Analisi dei sottotesti sociali nei film Disney e del fenomeno furry.

di Alessandro Sivieri

È tempo di un affascinante viaggio nella parte strana di Internet, un’esplorazione motivata dal successo di Zootopia, ennesimo blockbuster animato della Disney. Percorrendo questo cammino scoprirete perché i nostri simulacri a pelo lungo, cioè gli animali antropomorfi, occupino un angolino speciale nella mente infantile e nel subconscio degli adulti, facendosi talvolta metafora di valori, vizi e mutamenti sociali in atto. Approfondiremo inoltre il furry fandom e le turbe mentali causate dal fondoschiena di Lola Bunny nei figli degli anni ’90. In un remoto angolo della nostra mente si celano i conigli.

Partiamo dal presupposto che ogni film, anche indirettamente, è figlio del suo tempo: ne riflette i costumi, le mode e, se il setting e le scelte produttive lo permettono, dà voce alle battaglie contro le discriminazioni, aprendo la mente al pubblico senza mettere all’angolo il divertimento. I nostri amati cartoni non fanno eccezione, in particolar modo quelli della storica multinazionale che ha creato Topolino. I prodotti Disney divertono i più giovani e fanno riflettere gli adulti grazie alla loro profondità e alla capacità di infrangere le barriere, rendendo fruibili le tematiche scomode alle masse.

Pensiamo al recente Frozen, adorato dal sottoscritto, dove le protagoniste sono due principesse che non hanno bisogno di essere salvate da un maschio impavido. Nell’universo di Arendelle si evidenzia la sconfinata forza delle donne, l’amore tra sorelle, mettendo al bando il classico intervento del principe. Una storia che ha incantato legioni di fan e che ha avuto un primo sequel. Con il passare del tempo, a grande richiesta Elsa potrebbe addirittura trovarsi una fidanzata, diventando in via ufficiale la prima principessa disneyana dichiaratamente omosessuale.

Ecco come i cartoni animati mettono in scena le trasformazioni della società in modo semplificato ma senza dubbio verosimile. È uno dei motivi per cui tutti gli adulti dovrebbero continuare a guardarli e imparare qualche lezione da essi. Esaurita l’introduzione, passiamo alle lande pelose di Zootopia, dove accanto al messaggio positivo sulla tolleranza troviamo un’astuta mossa di marketing. Perché sappiatelo, ormai le nuove tipologie di pubblico si pescano dalle tendenze della Rete. Ma dove voglio arrivare?

Zootopia (in Italia Zootropolis), oltre che un inatteso campione di incassi, è un cartone furry. O meglio, è pensato per attrarre la vasta comunità furry. Chi sono costoro? Individui di ogni età, sesso ed estrazione sociale che si interessano di animali antropomorfizzati, intesi come esseri pelosi con caratteristiche umane. Ma guarda un po’, la Disney ha fatto scuola nel rappresentarli e adattarli al nostro patrimonio culturale! Lasciamo perdere Pluto e Topolino, prendete Robin Hood: gli animali camminano, parlano, indossano vestiti. Ma non ragionano sulla loro condizione evoluta e non badano alle differenze tra specie.

Ne Il re leone le bestie hanno il dono della parola ma restano primitive, a quattro zampe. Alcuni aspetti, come il regime monarchico dei predatori e le dinamiche di corteggiamento ricamate sul momento canoro, scardinano i leoni disegnati da quelli in carne e ossa (ci mancherebbe altro!) e sono senz’altro interessanti, ma ancora non ci siamo. La bella e la bestia è un’evoluzione evidente del concetto: di fatto parliamo di una storia d’amore tra una ragazza e un principe trasformato in bestia. Il tutto è platonico, almeno fin quando la bestia non riacquista per magia le proprie sembianze umane, il suo stato naturale. Eppure la giovane Belle si era innamorata della persona e del suo carattere, relegando l’aspetto esteriore ai margini. L’irsuto monarca, non più spinto a chiudersi in se stesso, è arrivato a un equilibrio dove la riconquistata apparenza da modello di Abercrombie è quasi un bonus.

Zootopia rende la formula più complessa: la protagonista è una coniglietta di larghe vedute cresciuta in un ambiente pieno di pregiudizi. Il suo sogno è di diventare un poliziotto, professione riservata a mammiferi ben più prestanti e pericolosi di lei, e di trasferirsi nella moderna metropoli che dà il titolo al film. Vuole cambiare il mondo ma dovrà scontrarsi con innumerevoli stigmi sociali: gli animali grandi discriminano i piccoli, c’è tensione nell’aria tra erbivori e carnivori, considerati una minoranza che potrebbe tornare alle sue sanguinarie abitudini arcaiche (cioè pasteggiare con i concittadini). In questo film gli animali hanno abitudini moderne, riflettono sull’evoluzione, sulle differenze tra specie e sulla pacifica convivenza. Un messaggio attualissimo che evidenzia le nostre tensioni, il razzismo, lo scontro tra culture.

Non era mai successo prima che in un cartone gli animali fossero così consci del loro stato antropomorfo e dei loro istinti primordiali, pronti a fare capolino. A Zootopia un cittadino sogna di poter essere ciò che vuole, superando i preconcetti e quelle barriere perlopiù attribuite al corredo genetico. Sono tutti temi molto cari alla comunità furry, che è più estesa di quel che pensate: sono su Reddit, su Facebook, su 4chan, hanno la loro WikiFur e innumerevoli siti e forum. Questo prodotto di animazione ha fatto una breccia senza paragoni nel loro immaginario e li ha portati a creare disegni, fanfiction e costumi ispirati ai protagonisti. Non facciamo gli ingenui: accanto all’estro dei fan e ai tributi di natura artistica ci sono le zozzerie, quelle che fioccano nella parte strana di Internet, dalle quali dovete preservare i vostri pargoli fino a un’età più consona.

Se siete soliti gironzolare nei portali vietati ai minori, avrete notato che tra le varie sottocategorie di hentai tira molto quella furry. Anche i personaggi Disney vengono colpiti dalla famigerata Rule 34, ovvero: se qualcosa esiste, ha una versione pornografica. Dal twincest delle principesse di Frozen si è passati a un’abbondante produzione di materiale sulla coppia protagonista di Zootopia: la coniglietta Judy e la volpe Nick. Sono obiettivamente due personaggi adorabili, ben disegnati e ben doppiati (da Ginnifer Goodwin e Jason Bateman). Si specula addirittura che nel sequel daranno inizio a una relazione sentimentale interspecie, abbattendo un altro costrutto della loro società fittizia. A noi sembrerà uno scherzo, abituati come siamo a vedere film con creature di ogni tipo che interagiscono e si innamorano (quando non sono addirittura robot). Ma se abbandoniamo per un attimo la realtà e ci caliamo nella politica instabile di Zootopia, l’atto in questione diventa un tabù innominabile e di conseguenza una fantasia erotica alquanto trasgressiva.

Chiariamo il fatto che la comunità furry non è composta da maniaci sessuali, feticisti o nerd che vivono nel sottoscala dei genitori. Non serve avere quel tipo di tendenza per apprezzare un personaggio immaginario e immedesimarsi nelle sue emozioni, specie se sul piano anatomico ha tratti in comune con gli esseri umani (e nel design la Disney è maestra): questa generazione ha Judy Hopps con la sua grinta e gli occhioni viola. Chi è cresciuto negli anni ’90, come il sottoscritto, ha avuto Space Jam della Warner Bros., quello dove i Looney Tunes giocavano a basket con Michael Jordan.

Nella squadra c’era Lola Bunny (quella che molti paragonano a Natalie Dormer), una coniglietta da capogiro, sessualizzata ben oltre gli standard del genere di riferimento, che ha solleticato le nostre giovani e spassionate menti. È una storia che si ripete. Come direbbe Jessica Rabbit: “Roger, tesoro, voglio che tu sappia che ti amo. Ti ho amato più di quanto una donna abbia mai amato un coniglio”. Ma perché ci perseguitano con questi maledetti conigli?

Abbandoniamo i grattacapi freudiani e torniamo al fandom su Zootopia, dove la comunità furry si è esposta in primo piano. Questo entusiasmo è il frutto di una precisa strategia di marketing della Disney o è solo una gradita sorpresa?

I protagonisti presentano un’alchimia formidabile ma a livello relazionale sono in una zona grigia. I personaggi secondari sono di ben altra pasta: sulle passerelle sfila una gazzella popstar interpretata da Shakira, disegnata e animata secondo le indicazioni della stessa, circondata da nerborute tigri che ballano come i modelli di Magic Mike. Abbiamo club segreti di animali nudisti (alla faccia di Paperino che si limita a girare senza pantaloni), in opposizione alla costumanza di doversi coprire con i vestiti, proprio come le persone. In quell’ambiguo segmento non mancano gag che sottolineano un pudore simile al nostro, perché quando sei in pubblico il pelo non basta. Ma sopratutto gli stessi animatori del film su Twitter invitavano i gruppi di furry ad andare al cinema in costume (le cosiddette fursuit) e condividere le foto. E loro lo hanno fatto volentieri, arrivando ad affittare intere sale da proiezione per un evento a tema. Due ore di intrattenimento si sono trasformate in un rituale collettivo, atto a condividere la propria passione e a dare un chiaro segnale a chi considera questi fan solo dei fricchettoni.

Domanda cruciale: Zootopia è un bel film? Sì, è da folli dubitarne. È un’operazione pelosa? Potete scommetterci la coda. Non resta che fare un applauso alla Disney per aver studiato e colpito a fondo il fandom internettaro, costruendo un marketing d’avanguardia che non si scorda dei bambini ma che è diventato molto astuto anche con gli adulti e le loro peculiari fantasie.

Non perdetevi il secondo capitolo di questa rubrica, dedicato a una serie anime rilasciata su Netflix: BEASTARS: La Sindrome di Lola Bunny parte 2.

PS: adesso vi sentite più furry o volete solo del coniglio al forno?

Zootropolis

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