La prima serie originale tedesca di Netflix, Dark, è stata immediatamente paragonata al fenomeno dei Duffer Brothers. Non siamo d’accordo.
di Cristiano Bolla
Bisogna stare parecchio attenti, di questi tempi, a come ci si approccia a nuovi prodotti originali: il rischio, nell’epoca dei mille remake, reboot e di un generale (e discutibile) appiattimento delle tematiche, è quello di etichettare una serie come “la Stranger Things tedesca” o “il Narcos italiano” sorvolando così su quelle che sono le specificità di un prodotto che, invece, è molto diverso. È il caso di Dark, la prima serie originale tedesca di Netflix.
Da una veloce ricerca su Google non è chiaro se ci siano più articoli che confermano la sua somiglianza con Stranger Things o articoli che la smentiscano. Sta di fatto che molte persone sembrano essersi approcciati a Dark con questa idea in testa. Niente di più sbagliato. La serie creata da Baran bo Odar e Jantje Friese parte sì in una piccola cittadina (Winden) e ha sì per motore della vicenda la scomparsa di un ragazzino, ma le suggestioni finiscono qui. Come dire che la I° Guerra Mondiale è uguale alla II° perché in entrambe si sono usati dei fucili. Il motivo di questo possibile paragone, tuttavia, lo spiegano gli stessi autori in un’intervista, parlando del fatto che essendo circa coetanei dei Duffer Brothers, sono cresciuti con gli stessi prodotti, libri, serie tv e film che hanno creato una similare patina di nostalgia tipica dei millenials. Questione chiusa: Dark è simile a Stranger Things solo perché a entrambi piace Stephen King; passiamo oltre, perché la serie se lo merita eccome.
Dark è una serie che parla di viaggi nel tempo, dei segreti di una piccola città all’apparenza serena ma intimamente marcia e si sviluppa su tre linee narrative che toccano tre epoche: il presente (2019), il passato (1986) e il passato ancora più passato (1953). I tanti protagonisti si muovono tra queste larghe maglie del tempo, chi per capirci qualcosa, chi per risolvere un problema che sembra diventare parecchio serio, a Winden: la sparizione di Mikkel Nielsen ricorda molto quella dello zio Mads Nielsen avvenuta 33 anni prima e il ritrovamento del cadavere di un bambino con gli occhi bruciati sembra gettare un’ombra ancora più inquietante e oscura sulla città. Assieme alla trama principale (quella del viaggio nel tempo), la storia di Dark si arricchisce di ulteriori sotto-sviluppi che è interessante vedere portati avanti attraverso il tempo: la gelosia di una ragazzina diventerà una vera ossessione per una madre, per esempio, tracciando così un filo preciso, seguibile e di parecchio fascino per lo spettatore. Per la verità, le connessioni con il passato sono anche un po’ il limite di Dark: possibile che sposarsi con la fidanzatina incontrata da bambini sia la norma, a Winden?! Dev’essere una cosa tutta teutonica…
Seriamente parlando e per riallacciarci al discorso di “a che cosa somiglia Dark” (scartato Stranger Things), si può facilmente individuare tutta una pletora di altri lavori che possono aver influenzato Odar e Friese e tutti hanno ovviamente a che fare con i viaggi nel tempo e tutto il pacchetto filosofico-esistenziale che ne consegue. Perché a meno di essere nell’universo di Bugs Bunny Lost in Time, chiunque si sia confrontato col tema dei viaggi nel tempo l’ha fatto includendo delle riflessioni etiche da un lato e sfruttando cose come il Paradosso del Nonno dall’altro: dando per possibile spostarsi nelle linee temporali, quanto il passato influenza il futuro e quanto soprattutto il futuro può influenzare il passato? Il tempo è frutto del caso o del determinismo? Sono essi la stessa cosa? Tornando indietro nel tempo e uccidendo mio nonno, rendo impossibile anche la mia esistenza e quindi l’uccisione stessa di mio nonno? Tutte cose da scimmia sulla spalla.
Dark, quindi, è più simile a opere come Ritorno al Futuro (che viene addirittura citato), The Time Machine o ancora Predestination, che per toni e complessità narrativa è il film con cui è più facile paragonare la serie; se vogliamo restare in casa Netflix, invece si può dire che Dark è il contraltare drammatico e thriller di Dirk Gently, distribuita dal colosso del VOD e incentrata anch’essa su viaggi nel tempo e incroci tra passato e presente, ma in una chiave del tutto diversa, comica in poche parole. C’è, in Dark, anche un piacevolissimo filo che la lega a Donnie Darko e The Butterfly Effect, altri due titoli che fanno da riferimento alla questione del determinismo.
La cura narrativa e visiva di Dark sarebbero già motivi sufficienti per guardarla, ma una nota di merito va data anche per la colonna sonora, che funge da perfetta punteggiatura della serie, in un modo che per molti ricorda l’uso delle musiche in Twin Peaks. Chapeau, insomma.
Dopo Suburra (Italia), 3% (Portogallo) e Club de Cervos (Messico), la produzione originale Netflix apre ancora una volta i suoi confini e Dark, che di tedesco ha qualcosa ma non troppo, è il perfetto prodotto d’esportazione: convincente e avvincente.
E no, di Stranger Things ha poco o niente.
Pienamente d’accordo su tutto … anche su Dirk Gently versione gotica ma io ho pensato anche a Lost forse perché temo le altri stagioni come Lost del resto!