Il terzo capitolo di un Cloververse frammentato.
di Alessandro Sivieri
Cloverfield era un apprezzabile found footage di Matt Reeves, che ora si è dedicato a guerre scimmiesche di indubbia qualità. Un monster movie non originale ma di ampio intrattenimento, dove l’attacco di una gigantesca creatura a New York viene vissuto in prima persona da un gruppo di ragazzi armati di telecamera. A fare storia fu soprattutto l’impostazione della campagna virale, che diffuse strategicamente immagini misteriose e dossier attraverso Internet. Dietro a questa operazione c’è la Bad Robot, casa produttrice di J. J. Abrams, l’uomo dei reboot fantascientifici che a trovate visive esuberanti affianca sempre delle strizzatine d’occhio alle glorie del passato. Sono passati 10 anni e nessuno poteva immaginare che nelle profondità di Hollywood si agitasse il Cloververse, un universo condiviso di pellicole che si ricollegano al primo film. 10 Cloverfield Lane, uscito un paio d’anni fa, è il sequel/prequel/qualcosa che, a ben vedere, ha poco da spartire con il suo antenato. La storia di isolamento e paranoia post-apocalittica con Mary Elizabeth Winstead e John Goodman scorre liscia come l’olio, ma a parte misteriose presenze aliene non offre alcun senso di continuità. Ora ci ritroviamo con The Cloverfield Paradox, in lavorazione da anni con il soprannome God Particle, annunciato a sorpresa durante il Super Bowl e uscito su Netflix il giorno successivo. Una strategia da guerra lampo, dove si è optato per un blitz digitale senza approdo al cinema. Che la Paramount, fiutando il flop, abbia deciso di affidarlo direttamente allo streaming? O sta semplicemente esplorando nuovi approcci? Per rispondere dobbiamo capire se questo film di Julius Onah funziona.
Purtroppo ci ritroviamo con un nuovo sequel/prequel/qualcosa che non sta in piedi né come episodio del Cloververse né come film autoconclusivo. Le tematiche, le atmosfere e la collocazione temporale sono nuovamente diverse rispetto al lavoro di Reeves, anche se nell’epilogo si fiuta la salsa apocalittica di 10 Cloverfield Lane. Il prodotto di Onah pesca dai thriller fantascientifici dell’ultimo decennio senza sforzarsi di avere del ritmo e, soprattutto, qualcosa di sensato da dire. Rievocando sci-fi ad alto tasso di tensione come Gravity, Sunshine e Life, viene sfornato un compitino basato su paradossi temporali, dove un gruppo di scienziati a bordo di una stazione spaziale (tra cui Daniel Brühl nei panni di un fisico) è al lavoro per risolvere una grave crisi energetica sulla Terra. La chiave è riuscire ad avviare un acceleratore di particelle in orbita per produrre energia illimitata. Ovviamente le cose non vanno per il verso giusto e il conseguente malfunzionamento della macchina proietta l’intera struttura in una dimensione parallela, dove alcuni eventi nella vita dei protagonisti hanno preso una piega differente.
I pochi elementi che risulterebbero interessanti, come la vicende personali degli astronauti e le alterazioni spazio-temporali, vengono mal sfruttati e penalizzati da uno sviluppo piatto. Oltre a una mano mozzata e stranamente senziente degna de La famiglia Addams, vi sono suggestioni da body horror poco sfruttate, come quando i protagonisti trovano una donna teletrasportata dentro una parete in seguito al collasso dimensionale. Quest’ultima, interpretata da Elizabeth Debicki, dichiara di essere l’ingegnere della stazione e di conoscerli tutti, tra lo stupore generale. In seguito le sue tendenze psicotiche, unite alla volontà di salvare il proprio mondo distruggendo quello alternativo, porteranno a un prevedibile scontro tra i pochi sopravvissuti. Per la gioia dello spettatore disinteressato non decollano nemmeno le riflessioni etiche sulla possibilità di cambiare il proprio destino e quello delle persone care, tematica già esplorata in Interstellar e Arrival. L’unico collegamento diretto alle pellicole omonime viene pigramente inserito nell’ultimo minuto, in forma di mostrone digitale giunto chissà come sulla Terra. A essere maligni, il vero paradosso è che questa pellicola abbia “Cloverfield” nel titolo. Probabilmente è Abrams a decidere: se il film appena sfornato è di suo gradimento, entra nel Cloververse con qualche paraculata in post-produzione. Noi però non ce la beviamo.