Recensione del film fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia prodotto da Amazon Studios e Universal Pictures
di Matteo Berta
Kristen Stewart interpreta Jean Seberg, icona della Nouvelle Vague e nello stesso tempo figura emblematica di uno star system che iniziava ad inglobare a livello mediatico i “VIP” a tutto tondo. Seberg era la fidanzatina d’america inserita in un contesto sociale al massimo del suo fervore, infatti se negli anni sessanta una persona molto esposta, si faceva portatrice di un determinato ideale, l’impatto mediatico raggiungeva dei livelli che non avevano nulla da invidiare alla società polarizzata contemporanea.
Il film di Benedict Andrews si concentra sull’esperienza “umana” dell’attrice in un momento molto difficile della sua vita. Seberg si era mostrata sensibile alla causa della differenziazione razziale degli afroamericani e quindi divenne oggetto di molto interesse per i servizi segreti statunitensi che, in un anno socialmente difficile come quello del sessantotto, iniziarono a considerarla come un vero e proprio nemico del paese. Nonostante il focus della pellicola non si sposti quasi mai da Jean, il regista non indugia più di tanto nel suo punto di vista, mantiene sempre un piccolo distacco in modo da mostrare la storia con chiarezza ed oggettività.
Seberg è un biopic e fa i compitini rispettando ogni tipo di struttura standard del genere: dalla trasposizione fedele di alcuni avvenimenti alla scritte nel finale. Il film è coinvolgente, ma non ci sono momenti che fanno alzare dalla poltrona lo spettatore. La scena più cinematograficamente interessante si estingue nei primi minuti, dove si entra con entrambi i piedi nel meta-cinema, venendoci mostrato dal set, lo shooting di una delle scene più iconiche della carriera di Jean Seberg: il rogo da Saint Joan del 1957.
Seberg è la Giovanna d’Arco degli anni sessanta/settanta, nel film ci viene mostrata subito martire sul set, eroina quando decide di schierarsi e poi torna ad essere vittima, annientata da un ambiente tossico creato attorno a lei. Jean ripercorre le gesta della pulzella d’Orléans in un contesto e in un’epoca differente, con battaglie diverse ma con lo stesso ardore interiore. Il film non esce troppo dal seminato, si limita a presentare una storia senza troppo mettersi in gioco, in una pellicola che sa comunque emozionare, ma non vuole rischiare di coinvolgersi troppo.
Qui trovate il nostro commento a caldo sul film in diretta dal red carpet!