Un tuffo nel post-apocalittico a tinte kitsch di John Boorman.
di Alessandro Sivieri
“Il fucile è il bene, il pene è il male.”
Ok, ma se il fucile non fosse altro che un pene metallizzato? Questa e altre mille domande vi spremeranno il cervello nelle lande esoteriche di Zardoz. Il film più strano mai interpretato dall’ex-James Bond è anche quello di cui non si ricorda nessuno. Siamo nel 1972 e Sean Connery molla lo smoking per adottare un vestiario che esporrebbe al ridicolo qualunque altro essere vivente: mutandoni scarlatti, stivaloni in pelle, una cartucciera che fa da bretella e una treccia che farebbe crepare di invidia le principesse indiane. Il regista è John Boorman, lo stesso di Excalibur e Un tranquillo weekend di paura, che dopo aver trascorso sei mesi a imbastire un adattamento de Il Signore degli Anelli, venne mollato dagli studios per via di uno script considerato estremo. Boorman non si arrese al circuito hollywoodiano e riuscì a farsi produrre un’altra storia, scritta di suo pugno e ambientata in una dimensione fantastica.
La pellicola viene introdotta dalla grottesca figura di Arthur Frayn (Niall Buggy), il cui volto, separato da ogni altra cosa, ci parla da un luogo incerto. Frayn ci consiglia di prestare attenzione alla vicenda, orchestrata da lui stesso. Il personaggio è accostabile a un mago, a un manipolatore, che avrà una grossa influenza sul percorso del protagonista, pur avendo poco screen time. Immediata l’analogia con Il Mago di Oz, infatti il titolo è la compressione di The Wizard of Oz. Veniamo quindi catapultati nel 2293, in una Terra post-apocalittica dove gli esseri umani sono regrediti a uno stato primordiale. I Bruti, poveracci senza civiltà, vengono cacciati dai brutali Sterminatori, che a volte li schiavizzano per coltivare i campi. Questi loschi figuri, che girano a cavallo e indossano peculiari maschere, ricevono gli ordini da una gigantesca testa fluttuante che essi considerano un dio: Zardoz.
Proclamando la superiorità dell’omicidio di massa sulla discendenza, l’astronave monolitica (che ricorda la Bocca della Verità romana) rifornisce i suoi servi di armi in cambio di grano e altri beni alimentari. Zed (Connery), il capo degli Sterminatori, non ci vede chiaro e decide di infiltrarsi nel testone. Sbarazzatosi del pilota Frayn e preso il controllo del mezzo, piomba nel Vortex, una sorta di bolla spazio-temporale dove vivono gli Eterni. Costoro sono umani altamente istruiti, che vivono in un villaggio bucolico. Sono in grado di comunicare in via telepatica e compiere altre meraviglie grazie al Tabernacolo, network centrale zeppo di informazioni.
I succitati Eterni, come enuncia il loro appellativo, sono immortali: se muoiono per omicidio, vengono subito clonati. Se invece vengono additati come traditori, subiscono un invecchiamento precoce, diventando dei Rinnegati. Assoggettando il resto del pianeta tramite gli Sterminatori, gli Eterni rappresentano la critica boormaniana alla società dei consumi, dove i ricchi e i potenti si sono chiusi una torre d’avorio, guardando con disprezzo alle classi imbarbarite. Un solo pericolo è reale per questa élite: la noia. Avendo sviluppato solo il cervello, sono diventati fisicamente impotenti e rischiano di perdere ogni gusto per un’esistenza tanto lunga quando vuota. Perfino la sessualità gli è preclusa, in quanto è sufficiente la clonazione a tramandarne i geni. Un Eterno può perdere ogni percezione di ciò che lo circonda e la capacità di muoversi, diventando un Apatico.
L’arrivo di Zed sconvolge le certezze degli Eterni. Osservano lo Sterminatore con un misto di interesse scientifico, fascino e repulsione. Come ha potuto ribellarsi all’ordine costituito da Zardoz? Connery è penetrato in una dimensione elitaria, artificiale, facendosi largo con la pistola come se fosse un pene. Il trascorrere del minutaggio, scandito da una psichedelia artigianale, svela la sua autentica personalità: non un selvaggio assetato di sangue, ma un uomo assetato di sapere e verità, di certo più evoluto degli sterili aristocratici che lo tengono prigioniero. Ha perfino letto dei libri in una biblioteca abbandonata, che gli hanno permesso di smascherare i falsi dèi.
La storia si articola in una serie di rivelazioni e sconvolgimenti esistenziali, mentre il destino di Zed ruota intorno a tre donne archetipiche che lo desiderano e lo vedono come un mezzo di emancipazione, ognuna a modo suo: Consuella (Charlotte Rampling) vuole avere un’esperienza sessuale e provare delle emozioni autentiche. May (Sara Kestelman) desidera studiarlo e risolvere il mistero della sua venuta. Avalow (Sally Anne Newton) lo vede come una caparra contro il rischio dell’Apatia.
Infine il compito di Zed, alla stregua del fuggiasco illuminato nel Mito della caverna di Platone, è spingersi oltre le illusioni. Ripristinare l’ordine naturale, distruggendo il Tabernacolo e garantendo la morte agli Eterni, che la accolgono con un moto di sollievo. Conflitti interni e scene surreali, ma soprattutto una infinite distesa di richiami a romanzi di fantascienza, film di culto, correnti filosofiche e arte neoclassica. Gli Eterni sono una pallida imitazione di quelle perfette divinità greche che tanto ammirano. Sul versante scenografico si avverte la risicatezza del budget, ed ecco che ci si divide tra distese desolate in stile Il pianeta delle scimmie e una fattoria settecentesca. La scelta dei costumi è talmente kitsch da funzionare, mentre il registro narrativo passa dall’avventuroso al tragicomico con una scioltezza invidiabile.
Per chi è ansioso di addentrarsi in un labirinto simbolico e di gustarsi uno 007 conciato da bandito messicano seminudo, Zardoz è una gemma da recuperare. Boorman mette in scena una parabola attualissima attraverso scelte visive in apparenza anarchiche, tenendoci a un passo dalla risata di scherno grazie a personaggi complessi e a una riflessione che, in fondo, tratteggia il nostro cammino a guisa di specie senziente. Nell’epilogo viene ripristinato l’intreccio tra vita, passione e morte, al di là delle nostre pretese di conquista di una perpetuità che potrebbe ucciderci dentro.