DAVID COPPERFIELD – Niente senso, siamo inglesi!

Smarrirsi su un palcoscenico dickensiano con numeri da circo.

di Alessandro Sivieri

I ragazzini sognatori non se la passavano bene durante la rivoluzione industriale. I romanzi sociali di Charles Dickens, con Oliver Twist, A Christmas Carol e Tempi difficili in prima linea, raccontano la crudezza di un’Inghilterra in corsa verso il progresso ma ancora segnata dalle diseguaglianze. Allo strapotere degli aristocratici si sostituisce in maniera graduale quello (ugualmente odioso) dei magnati dell’industria e dei burocrati, mentre le classi meno abbienti sono costrette a lavorare nelle fabbriche in condizioni disumane e con salari da fame, inclusi i minori. Uno scorcio d’epoca che ci perviene attraverso lo sguardo di un orfano gettato nella calca o di un burbero finanziere colmo di rimorsi. Ecco che a misurarsi con il gigante letterario spunta Armando Iannucci, scozzese di origini napoletane, comico di grido e autore televisivo. La vita straordinaria di David Copperfield si basa sull’opera dickensiana e imbocca il sentiero più surreale.

Dev Patel protagonista Copperfield

Come in Anna Karenina di Joe Wright, il palcoscenico teatrale, dove David (Dev Patel) narra la sua fantastica vita, si interseca di continuo con gli eventi passati e ne influenza la descrizione, in primis con i raccordi di montaggio: un panno steso diventa la cornice della scena successiva, con nuovi personaggi, così come una porta sbattuta o un appunto scritto su un pezzo di carta posso proiettarci molto lontano dal luogo fisico in cui si trovano, vale a dire in un tempo o in un set differente. Il protagonista adulto compie delle divertenti incursioni nei propri ricordi personali, assistendo alle peripezie del suo alter ego infantile. Lo stratagemma è quello del flusso di coscienza, con l’intreccio che balza avanti e indietro per scomporre il tessuto di una storia tutto sommato lineare.

Tilda Swinton e Hugh Laurie in David Copperfield

Divenuto ormai maturo e consapevole, David compare di fronte a una platea e ripercorre la sua esistenza partendo dalla nascita. Egli viene al mondo in un contesto spensierato, almeno fino a quando il crudele patrigno non sottomette la madre e lo spedisce a lavorare in una fabbrica di sua proprietà. I momenti alla Oliver Twist non calcano sul dramma e preservano un alone da fiaba. In certe sequenze le interazioni coreografiche tra i personaggi ricordano le dinamiche dei musical. Come in Big Fish di Tim Burton, il percorso di David si divide tra fortune e disgrazie, scandite dall’incontro con individui grotteschi. Accattoni inseguiti dai creditori, avvocati stralunati e una zia algida con il volto di Tilda Swinton formano un nutrito roster di comprimari che saturano il minutaggio con la loro incontinenza verbale.

Personaggi David Copperfield

Una figura sopra le righe guadagna efficacia se viene calata in un contesto misurato, ma in questo film non si trova una persona sana di mente, a partire dallo stesso David, caso umano alla ricerca del proprio angolino in una Gran Bretagna accostabile a un gigantesco manicomio. La regia spinge gli interpreti a esacerbare gli stereotipi dell’inglese medio, in un raptus di verboso autocompiacimento. Dipendenza da alcolici, nobiltà decaduta, la sacra ora del tè e una pioggia di metafore, di accenti marcati e di battute piccate. I numeri da circo e la logorrea, dediti a tamponare l’assenza di momenti emotivamente forti, funzionano per la prima mezz’ora, dopodiché iniziano a stancare e riducono gli attori a delle macchiette.

Scena collegio David Copperfield

Nel cast spiccano due “mostri” come Hugh Laurie e Peter Capaldi, capaci di strappare sorrisi genuini in barba all’artificiosa eccentricità che li circonda. D’altro canto Capaldi ha dimostrato un’estrema versatilità come dodicesimo Dottor Who, al pari di Laurie, che prima di calarsi nei panni zoppicanti di Gregory House aveva una solida esperienza teatrale al fianco del compare Rowan Atkinson. In effetti, tra gag fisiche e situazioni equivoche, manca solo un Mr. Bean in abiti vittoriani. Apprezzabili le citazioni al cinema muto, mentre l’ironica rappresentazione di famiglie disfunzionali fa pensare ad autori come Wes Anderson, senza però un marchio estetico o il suo rigore simmetrico.

Strade Londra David Copperfield

Il comparto scenografico e la fotografia slavata faticano a imprimerci questa Londra caotica, favolesca. Nemmeno la preferenza per la camera a mano fa la differenza in un viaggio che cela poca sostanza dietro alle atmosfere frizzanti. Vivendo in salsa british il suo sogno americano, David comprende che gli incontri fortuiti, ma anche le fregature, hanno contribuito a plasmare la sua personalità, e decide di mettere per iscritto le sue avventure. Peccato che la mole di co-protagonisti ne oscuri la crescita psicologica e ogni minima declinazione tragica, relegandolo a un passivo infantilismo. Da vedere in lingua originale per non perdersi le sfumature glottologiche, David Copperfield vuole essere una commedia così brillante da abbagliarvi per due ore e poi volarsene via, lasciandovi la mente sgombra, alla stregua di un aquilone con le ossessioni di Carlo I.

Aquilone Carlo I David Copperfield

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