Orchi, sirene e folletti in un campionario della mitologia pugliese.
di Matteo Berta, Alessandro Sivieri e Giovanni Siclari
Tra un trullo e l’altro, è tempo per un nuovo capitolo del Bestiario d’Italia! Le distese soleggiate del Salento e le coste color smeraldo sono solo una parte dell’incanto che il territorio pugliese può offrirci. Questa regione, una delle più rigogliose d’Italia, è protesa a oriente, dove si bagna nel Mare Adriatico, e alterna grandi centri urbani come Bari, Taranto, Foggia e Brindisi a piccoli borghi rurali, dove insieme alla saggezza contadina vengono alla luce dei misteri del tempo antico. Curiosità e leggende spaventose si alternano a racconti dal sapore più melanconico, che affondano le proprie radici nei miti classici. Perché una tale abbondanza di materiale mostrifero?
La Puglia è nota per essere la terra degli ulivi (donati dalla dea Minerva, durante una sfida con Nettuno, come simbolo di prosperità) ed è da qui che alcune delle sue figure fantastiche hanno preso piede. La sua posizione geografica l’ha resa in passato un punto di arrivo e di partenza verso il cuore del Mar Mediterraneo e verso il mondo greco e mediorientale. La stessa storia della regione ci dimostra quanto le influenze bizantine e arabe abbiano consentito l’elaborazione di un corpus di figure fantastiche che risentono in parte anche dei territori limitrofi del Sud Italia.
IL TUMMÀ
Nel cuore della città di Bari e nella sua periferia una vecchia fiaba, che si è ormai mescolata con la leggenda, racconta la storia del folletto Tummà e dell’origine della grande ricchezza della Puglia: gli alberi di ulivo. Data la sua natura di folletto, anche il Tummà era sempre alla ricerca di ricchezze e tesori da accumulare. Infatti la leggenda vuole che un giorno questi si mise a cercare un antico tesoro appartenuto agli arabi (ricordiamo che nell’Alto Medioevo Bari fu sede di un emirato, dal 847 al 871). Il Tummà, come tutti i folletti, era dunque alla ricerca di ricchezze e per certi versi si potrebbe dire che avesse il fiuto per l’oro, dato che un suo tratto distintivo è proprio il suo grandissimo e lunghissimo naso.
Tuttavia, dopo giorni e giorni di ricerche, pare che il fiuto per l’oro non portò il povero Tummà ad alcuna scoperta e presto si diede allo sconforto, versando lacrime amare. Fu proprio in quel momento che intervenne un’altra presenza fantastica del folklore barese: la fata Dusica. Questa regalò al folletto disperato un fazzoletto per asciugare le sue lacrime che, intanto, avevano contribuito a rendere magicamente fertile e generosa la terra da esse bagnata, dalla quale sarebbero nati dei bellissimi ulivi, simbolo e fonte di ricchezza della Puglia. La leggenda vuole che il Tummà alla fine riuscì a impadronirsi di numerosi tesori, dispersi nella zona, e che l’unico modo per averne un po’ fosse quello di rubargli il fazzoletto fatato (cosa simile al cappello rosso del folletto siciliano).
IL LAURIEDDU
Diversamente dal Tummà barese, per allineamento e comportamento, è sicuramente il Laurieddu (detto anche Lu Laurieddhu), un folletto dispettoso e maligno dell’immaginario folkloristico salentino. Si tratta di un essere notturno molto piccolo, con le fattezze di un bambino grottesco con in testa un cappello a punta e dotato di una forza straordinaria. Come abbiamo detto è una creatura tendenzialmente maligna, che ama accanirsi specialmente contro uomini e bestie, causando incubi notturni ai primi e sottraendo il cibo ai secondi. Con le donne e con i bambini invece sembra avere un atteggiamento più magnanimo, aiutando le giovani fanciulle con i mestieri di casa e regalando dei dolcetti ai pargoli innocenti.
Nonostante i suoi dispetti siano molti e di diverso tipo, anche il Laurieddu può essere frenato dai poveri tormentati se si riesce a ottenere il suo rispetto, attraverso piccoli doni disseminati per casa. In cambio di qualche regalo, il Laurideddu potrebbe acconsentire a condividere parte dei suoi tesori o a rivelarne l’ubicazione di alcuni. Se uno invece non volesse scendere a patti con questo folletto assai antipatico, può sempre rubargli il cappello a punto e ricattarlo per avere in cambio dei tesori. Attenzione però, il folletto è vendicativo e non si farebbe scrupoli a torturarvi fino alla morte, facendovi crepare dalle risate (in senso letterale). Oh sì, attenzione a non andare nei cimiteri di notte, perché lui aspetta lì le sue vittime, proprio dietro il cancello.
L’ORCO NANNI
Quella dell’Orco Nanni, detto anche Lu Nanni Orcu, è una delle più antiche e suggestive leggende del Salento. Si tratterebbe di una creatura alta tre metri, ricoperta di peli e praticamente invulnerabile agli attacchi per via della pelle spessa. L’orco parlerebbe un idioma incomprensibile e si ciberebbe di esseri umani, prediligendo donne e bambini. Pare che nelle foreste dei Paduli abitassero intere colonie di questi esemplari, che avrebbero formato una società nelle grotte, con tanto di famiglie e scale gerarchiche. Nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di esplorare le colonie sotterranee e affrontarli faccia a faccia, sicché la loro esistenza ha assunto i tratti di una favola. A quanto pare Nanni era un esponente di queste creature, che dovendo mantenere moglie e figli avrebbe cacciato senza pietà i contadini locali.
Esistevano dei rimedi per allontanarlo: bisognava portare con sé della polvere di papavero arcobaleno, da lanciargli in faccia nel caso lo si incontrasse. A quel punto si sarebbe messo a starnutire per un’ora, permettendo alla vittima di fuggire. Solleticarlo con una penna di gazza ladra lo avrebbe invece portato a rotolarsi per terra dalle risate. La penna però andava strappata a un animale vivo, altrimenti avrebbe perso il proprio potere. I contadini si erano organizzati di conseguenza e in svariati punti strategici della foresta dei Paduli, sotto delle rocce, erano disposti dei sacchi con la polvere e delle piume. In questo modo, chiunque avesse sentito la terra tremare per i passi dell’orco poteva prepararsi all’attacco.
LA SIRENA LEUCASIA
Si dice che la città di Santa Maria di Leuca, in provincia di Lecce, sia stata fondata da una sirena di nome Leucasia, raffigurata nell’iconografia locale con due code, una corona e gli occhi chiusi. Celebrata nel salento, Leucasia aveva la pelle bianchissima, gli occhi azzurri e una lunga chioma bionda. Il suo canto era armonioso e nessuno era in grado di resisterle. Un giorno un pastorello di nome Melìsso giunse sulla scogliera per rinfrescarsi e venne attratto dalla voce della sirena. Leucasia si invaghì del giovane, ma venne respinta, poiché Melìsso amava già una nobile di nome Arìstula. La sirena, umiliata, meditò vendetta. Un giorno, vedendo i due giovani amanti sugli scogli, scatenò una tremenda tempesta con le sue code. Melìsso e Arìstula annegarono e finirono sfracellati sui lati opposti della baia.
La dea Minerva, assistendo allo spettacolo, si impietosì e decise di pietrificare i corpi dei giovani amanti, collocati sulle rive della baia di Leuca, che ora portano il loro nome. Le due figure delimitano le acque del golfo e sono destinate a non potersi più toccare. Leucasia, distrutta dal rimorso, perse la propria voce e si suicidò, pietrificandosi a sua volta sugli scogli bianchi tra le due punte. Si dice che dalla roccia della sirena sia nata la città di Leuca. Ai protagonisti della leggenda sono dedicate alcune sculture, realizzate dagli artigiani locali, posizionate sul lungomare e chiamate “Trittico della Trascendenza”.
I VAMPIRI DI TRANI
Il più antico scritto italiano sul vampirismo, chiamato “Dissertazione sopra i vampiri”, è attribuito a Giuseppe Davanzati, arcivescovo di Trani che visse nel Settecento. Alle orecchie del prelato erano giunte storie oscure dai Balcani e dalla Germania, dove i morti, il giorno dopo la sepoltura, si facevano un bel giro fuori dalla tomba per nutrirsi di sangue umano. Le vittime erano destinate a diventare vampiri a loro volta. Da illuminista, Davanzati bocciò le teorie sulla natura diabolica di quei fenomeni, ma la superstizione fece presto a diffondersi.
Nel 2002 alcune ricerche archeologiche nei pressi di Trani, nella località di Capo Colonna, portarono alla luce delle strane sepolture, dove i cadaveri erano inginocchiati e con un masso sopra le spalle. Le salme mostravano l’assenza di alcuni incisivi, asportati in via preventiva, e sembra che le tombe fossero progettate in modo da impedire ai defunti di risorgere. La vicenda ebbe una certa risonanza sui quotidiani nazionali e vi sono ancora incertezze su questa insolita modalità di inumazione, ma è certo che la leggenda dei vampiri trova solide radici nel folklore pugliese.
LE SPECCHIE DEL SALENTO
Le specchie sono degli antichi manufatti di pietra calcarea che costellano il Salento, prolungandosi fino alla Valle d’Itria e la Murgia. Pare che questi megaliti fossero usati come posti di vedetta, come fortificazioni e come camere funerarie. La loro origine risale addirittura al Neolitico. Presso il comune di Martano è possibile visitare la Specchia dei Mori, che suscita grande interesse nei turisti e negli studiosi. Una leggenda narra che al suo interno si nasconda un tesoro, che consiste in una chioccia e dodici pulcini interamente d’oro. Peccato che tali ricchezze siano custodite dal Demonio in persona. Un altro racconto parla dei Mori, giganti che abitavano quelle terre e che decisero di costruire quella specchia per raggiungere l’Olimpo. Gli dèi non gradirono il gesto e sgretolarono l’opera, seppellendo con le pietre i giganti, le cui ossa giacciono nelle profondità della terra.
PIZZOMUNNO E CRISTALDA
Un racconto che presenta svariate similarità con la storia di Leucasia. Pizzomunno e Cristalda erano due ragazzi che amavano passeggiare mano nella mano sulla spiaggia di Vieste. Le sirene erano gelose del loro amore e tentavano in ogni modo di sedurre Pizzomunno, che rifiutava le avances in modo sistematico. Le sirene allora si organizzarono per rapire Cristalda durante una notte di luna piena e trasformarono Pizzomunno in pietra. Cristalda, mutata a sua volta in sirena, pianse a lungo il suo amore perduto. Il dio del mare, mosso a compassione, concesse ai due giovani di incontrarsi una volta ogni cent’anni. Da allora, dopo ogni secolo, gli abitanti di Vieste possono sentire tra le onde il pianto dei due giovani che si abbracciano per pochi momenti. Sulla spiaggia locale è presente il faraglione di Pizzomunno.
I LICANTROPI PUGLIESI
Oltre alle sirene e ai vampiri, anche i lupi mannari popolano la fantasia pugliese, tormentando le notti degli abitanti. Pare che la licantropia trovi la sua origine in Licaone, sovrano di Arcadia e padre di molti figli, tra cui Peceuzio, dal quale deriva l’antico nome della terra di Bari. Licaone avrebbe sacrificato uno dei suoi figli a Zeus, ma quest’ultimo, non gradendo l’offerta, avrebbe punito il re trasformandolo in lupo. La doppia natura di Licaone si sarebbe manifestata per la prima volta in Puglia, rendendolo una sorta di “paziente zero”. Con l’avvento del Medioevo la licantropia assunse connotazioni diaboliche. I nati tra il 24 e il 25 dicembre venivano considerati portatori della maledizione, poiché solo Gesù Cristo sarebbe dovuto nascere in quella notte. Molti racconti citano incontri notturni di pastori e viandanti con bestie semi-umane, di grande statura e dalla forza immensa. Venivano sorpresi a percorrere i campi nelle notti di luna piena e saltavano le recinzioni con un solo balzo.
Tra gli uliveti di Bitonto, in provincia di Bari, è presente una torre detta “Luponimo”, che secondo il folklore locale era il rifugio notturno di un licantropo pericolosissimo. Il mostro, chiamato u’ Lponm nel dialetto locale, viene ricordato nei racconti degli anziani e pare che seminasse terrore nelle campagne, spingendosi talvolta nel centro cittadino. La superstizione portò all’invenzione di una serie di rituali per guarire dal maleficio: secondo alcuni occorreva un prete esorcista; altri sostenevano che il lupo mannaro dovesse mordere un altro uomo, passandogli il fardello e tornando alla normalità. Se la nascita di un erede era programmata per la notte proibita di dicembre, il futuro padre avrebbe dovuto recitare una litania dal terrazzo per mettere al sicuro il piccolo dalle trasformazioni.
IL MAMAU
La versione pugliese dell’Uomo Nero, descritta come una presenza immateriale che ancora oggi terrorizza i bimbi sotto le coperte. Questa entità è onnipotente e sembra in grado di trasformarsi in qualunque cosa, dagli oggetti di uso domestico alle bestie feroci. Celebre è la storia del piccolo Nicolino, che venne inseguito fin dentro la sua stanza da un coltello “vivo”. Scampato il pericolo, il padre gli spiegò che quel coltello era in realtà il Mamau, punto nell’orgoglio e deciso a punire Nicolino per aver cercato di rimanere alzato tutta la notte.
Alla stregua dei suoi simili, il Mamau viene invocato dai genitori come minaccia quando un bambino fa i capricci o si rifiuta di mangiare la cena. Esiste una vera e propria “canzone del Mamau“, che descrive questa entità come un lupo feroce (si veda la voce precedente sui licantropi pugliesi), pronto a divorare chi si avventura fuori dal letto durante la notte. Questa filastrocca può essere cantata per esorcizzare la paura, magari in un corridoio buio, e ha parecchi tratti in comune con il famoso “gioco del lupo“, dove i ragazzi, disposti in cerchio, devono intonare alcune strofe per scoprire chi tra loro sia un lupo mannaro.
LA SIGNURA LETA
Torniamo nel Salento, un territorio dove aleggiano affascinanti storie di fantasmi. In quel di Mesagne (provincia di Brindisi), si parla della “signura” Leta, lo spettro della figlia del principe dell’antica cittadina. Gli anziani del paese sostenevano addirittura di averla incontrata in una giornata di pioggia. Leta era una ragazza splendida e corteggiatissima che non aveva la minima intenzione di prendere marito, nonostante il padre invitasse al castello tutti i nobili scapoli delle casate lì intorno. L’ultimo pretendente era così innamorato di Leta che, al rifiuto della fanciulla, perse la voglia di vivere e si rifugiò in una torre della sua fortezza, determinato a morire di inedia. Leta, impietosita e colpita da una tale ammirazione, acconsentì finalmente alle nozze. Mentre fervevano i preparativi, il promesso sposo Alberigo portò con sé un giovane giardiniere, Gualtiero, affinché si occupasse di piccole mansioni. Gualtiero, talentuoso e di bell’aspetto, si dedicò al giardino del padre di Leta, che nel frattempo iniziava a pentirsi del fidanzamento.
Leta trascorreva ore da sola nel giardino, a piangere per la propria decisione. Gualtiero, per il timore di risultare irrispettoso, non sapeva come consolarla, finché il giorno prima delle nozze non si decise a porgere a Leta la più bella rosa da lui coltivata. Il profumo del fiore inebriò la ragazza, che perse i sensi. Gualtiero la soccorse proprio mentre i fratelli di lei irrompevano sul posto. Questi ultimi, pensando a un atto di adulterio, estrassero le spade e trafissero Gualtiero al petto, al fianco e nella gola. Alberigo, saputo dell’omicidio del giardiniere, abbandono il castello per sempre. Leta, giudicata colpevole di essersi concessa a Gualtiero, venne arsa sul rogo come una strega. L’esecuzione avvenne presso la masseria di Lu Mucchiu, dove ogni notte compare il suo fantasma. I fratelli di Leta morirono uno dopo l’altro, trafitti tre volte come il povero Gualtiero: alla gola, al fianco e al petto.
LE BESTIE DELLA MASCIARA
Molto spesso succedeva – e succede ancora oggi – che degli esponenti del popolo si dessero al contrabbando per sfuggire alla povertà o per tentare di arricchirsi. Per tenere lontani i curiosi e i tutori della legge, i criminali facevano circolare delle leggende di streghe e fantasmi. È questo il caso della Corte Cavallerizza a Bari (località di San Nicola), dove i passanti spergiuravano di aver visto creature sovrannaturali dall’aspetto terribile, evocate da una fattucchiera che viveva nei paraggi. Il luogo si guadagnò il soprannome di U’ Arche d’ la Masciar, dove il termine masciara è una derivazione dell’italiano megera.
Si dice che queste losche masciare fossero delle streghe, ma è alquanto probabile che si trattasse di voci messe in giro dalle donne stesse, con la complicità delle famiglie, per proteggere gli affari illeciti dei mariti. Che fosse un’elaborata messa in scena o un racconto di autentiche apparizioni, la strategia funzionò, e buona parte della gente di Bari era convinta che l’Arco della Masciara fosse maledetto. In tutta la zona della basilica di San Nicola si raccontava di esseri infernali come il Ch’nigghie che l’ecche russe (una sorta di coniglio dagli occhi fiammeggianti), l’Ommene senza cape (un uomo senza testa) e perfino u’ Peddite, una bestia feroce che metteva in fuga chiunque transitasse da quelle parti.
IL GAGURO
Nelle tradizioni contadine delle varie regioni sono presenti folletti o entità che tolgono il respiro durante la notte. Queste credenze sono dovute, con tutta probabilità, a una incomprensione generalizzata dei meccanismi del sonno. Ecco che, coricati nel proprio giaciglio, ci manca di colpo il fiato o sperimentiamo paralisi notturne. Magari la mattina dopo scopriamo strani segni sul nostro corpo e, basandoci sulla superstizione, diamo la colpa di tutto ciò a un essere malevolo. In Puglia, e in particolare a Putignano, è presente il Gaguro, uno gnomo con tanto di berretto che ama fare i dispetti e sedersi sulle persone addormentate. Alcuni suoi scherzi avevano luogo per le viuzze del centro storico, dove faceva rotolare per strada le donne grasse e faceva inciampare gli anziani. Ancora prima di un rito purificatore, al Gaguro servirebbe un corso di buone maniere!
LA FATA DELLA CASA
Fin dai tempi dell’antica Roma era presente il culto degli spiriti domestici, ovvero di entità sovrannaturali che vivevano in casa e vegliavano sui membri della famiglia, in cambio delle dovute offerte. I romani identificavano queste pseudo-divinità come Lari (Lares familiares) e li consideravano emissari – se non addirittura manifestazioni – degli antenati defunti. Un simile ruolo viene attribuito dal folklore pugliese alla Fata della casa, uno spirito protettore che si insedia nelle mura di un’abitazione nel momento stesso in cui quest’ultima viene edificata. Essendo la reale padrona della casa, può fare il bello e il cattivo tempo, quindi è opportuno non inimicarsela.
Se un oggetto sparisce senza spiegazione può essere stata la Fata a rubarvelo, per non parlare di eventuali danni strutturali o di cose che levitano da una stanza all’altra! Meglio non parlare mai male del luogo in cui vivete, poiché le Fate sono orgogliosissime e arrivano, nei casi estremi, a uccidere chiunque osi ingiuriarle (inquilini inclusi). Questa credenza pagana è ampiamente diffusa in provincia di Bari, dove gli abitanti più anziani sostengono di aver conversato con una Fata sotto forma di uomo, donna, bambino, folletto e perfino di cane o gatto. Se non avete possibilità di traslocare, è meglio ricorrere a un prete o (soluzione che in quanto mostrofili vi consigliamo) coltivare un bel rapporto con la vostra presenza infestante, offrendole doni e ringraziamenti.
ARMIDA
Facciamo una seconda tappa a Trani, già salita agli onori delle cronache per il vampirismo. Questa volta volta ci dirigiamo al Castello Svevo della città, dove tanto tempo fa avvenne un fatto davvero cruento: Armida (chiamata da altre fonti Sifridina) era una seducente dama, dai capelli corvini e gli occhi azzurri, che tradiva il marito con un aitante cavaliere. Il coniuge scoprì l’adulterio e, adirato, rinchiuse la moglie in una torre del castello, lasciandola morire di stenti. Diversi testimoni affermano che lo spettro della donna si aggiri ancora nella fortezza, in cerca del suo amore perduto. Secondo alcuni si dimostra affabile, avvicinandosi ai turisti fin quasi a sfiorarli. Secondo altri, data la morte traumatica, evita il più possibile il contatto con l’uomo. Se avete un animo gentile, probabilmente potrete vederla da vicino.
Il cammino tra gli uliveti assolati e le antiche fortezze ci ha lasciato con le mani piene di doni: sono pochi i territori della nostra penisola che possono vantare un repertorio folkloristico così stratificato, dai fantasmi di dame innamorate e folletti iracondi fino a mostri dal respiro più internazionale, ovvero licantropi e vampiri. Pensate che il viaggio finisca qui? Niente affatto! Mentre diamo la caccia alle leggende delle altre regioni, rifatevi gli occhi con il nostro elenco di Bestiari e ricordatevi di lasciare un po’ di cibo alla vostra Fata domestica, prima che vi faccia cadere addosso quel pesantissimo pianoforte in ghisa ereditato dal bisnonno.

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