C’è chi guarda in alto per ignorare l’odio social e chi fa i selfie per ferire l’ex Luthor tossico.
di Matteo Berta e Alessandro Sivieri

Riassunto degli albi precedenti: i superhero movie – o meglio i cinecomic – sono reduci da una bolla ventennale di fortune cinematografiche, un filone produttivo capace di generare miliardi di incassi, che ha visto il suo picco nell’esordio degli Avengers che tutti conosciamo, le versioni filmiche incarnate da Robert Downey Jr., Chris Evans, Chris Hemsworth e compagnoni vari che dopo Endgame si sono sforzati di proseguire il cammino o hanno messo in armadio le armature per reinventarsi con qualche altro genere (nel caso di Downey Jr., Iron Man ha rappresentato una rinascita e pellicole come Oppenheimer una ri-rinascita). Il panorama dell’intrattenimento è saturo di supereroi, ce ne sono in tutte le salse, ed è inevitabile che la gente possa cominciare a stancarsi di questa combinazione di figure da celluloide, costumi colorati, umorismo campy e botte da orbi farcite di CGI. Bene, la Warner Bros. ha ingaggiato James Gunn per darci un Superman colmo di figure da celluloide, costumi colorati, umorismo campy e botte da orbi farcite di CGI. Porca puzzolandia, e se fosse la mossa sbagliata?

Sbagliata perché la DC Comics su pellicola si è distinta per i toni più cupi e maturi, un aspetto influenzato dalla presenta di Batman nel loro roster di personaggi principali. Una netta linea di demarcazione rispetto ai prodotti Disney/Marvel, non certo una formula perfetta, ma un tentativo di differenziarsi dalla concorrenza. Il famigerato Snyderverse stava costruendo un percorso a tinte dark per la Justice League, a suon di slow motion e colori desaturati, spingendo sulla portata mitologica delle gesta di questa manciata di metaumani che difendono la Terra da minacce colossali. Sceneggiature non sempre coese, critiche impietose e uno stile visivo – quello di Snyder – che si ama o si odia hanno decretato la fine di questo primo universo condiviso e il programmazione di un riavvio totale che, nelle speranze degli investitori, potrebbe godere di una maggiore fortuna.

Viene reclutato il regista dei Guardiani della Galassia e del recente The Suicide Squad, un tizio che ha un passato di gavetta nella Troma, che ha una profonda conoscenza dei fumetti e della cultura pop, e che soprattutto riesce a bilanciare i momenti introspettivi e lo splatter con battute esilaranti che rispettano la natura dei protagonisti. Era ciò di cui la Disney aveva bisogno (togliendo lo splatter). Sarà ciò di cui anche la Warner ha bisogno? Lo scopriremo ripartendo da un alieno che vola con le mutande sopra i pantaloni. Oltre a occuparsi di megareboot, Gunn si è preso la regia e lo script di questo Superman, archetipo dei supereroi che rischia di essere noioso da quanto è potente e da quanto preservi una mentalità da boy scout, da bravo ragazzo del Kansas, tutto il contrario del Bruce Wayne oscuro e complessato con il quale arriverà a dividere lo schermo per l’ennesima volta. Al fattore di rischio si aggiunge una parte di pubblico che rimpiange l’ottima prova di Henry Cavill e che si fa sentire ogni giorno a colpi di hashtag. Gunn lo sa benissimo e raccoglie la sfida con sfrontatezza. Riuscirà a decollare o l’ambizione sarà la sua stessa Kryptonite? Ve ne parlano Matteo Berta e Alessandro Sivieri dal loro party esclusivo vicino a un sole rosso.

È SEMPRE UN EMARGINATO MA ORA HA UN CANE COL MANTELLO
di Matteo Berta
Difficile fare meglio di Snyder. Lui col suo Man of Steel era riuscito a rendere Superman l’emarginato per eccellenza, quello che si sente fuori posto anche quando sta salvando il mondo, e quella scena con Kevin Costner che dice al figlio che forse conviene far morire qualcuno piuttosto che rivelarsi diverso, ancora oggi fa discutere, ma era perfetta. James Gunn però non cerca di rifare Snyder, e per fortuna. Cerca un’altra strada. E la trova.

II suo Superman è ancora un alieno, ma è un alieno che ride, che sbaglia, che si sforza di capire un mondo che lo vorrebbe semplice o schierato, quando invece lui vuole solo fare la cosa giusta, che sia fermare una guerra o salvare uno scoiattolo su un albero. Gunn riesce a umanizzarlo senza il peso del dramma, usando i dilemmi etici contemporanei, i conflitti geopolitici, la società polarizzata, ma senza mai perdere di vista l’essenza del personaggio: Superman è sopra tutte le sovrastrutture. Per trovarlo basta guardare in alto.

La musica è uno dei pochi veri nei. Non riesce a raccogliere davvero l’eredità di John Williams, e i momenti orchestrali sanno di già sentito o di poco ispirato. Funziona meglio quando Gunn fa quello che sa fare: mettere canzoni, anche improbabili, nei momenti giusti. Lì torna il suo tocco, quello che conosciamo dai Guardiani.

La caratterizzazione degli animali è un’altra firma che Gunn porta avanti bene. Krypto è un colpo di genio: passa da spalla comica a vero e proprio salvatore della patria, senza mai perdere di tono. È un MacGuffin vivente ma anche un personaggio a sé, e quando c’è lui lo senti. I comprimari umani invece reggono poco. Sembrano messi lì per far numero, o peggio ancora per servire un disegno narrativo più ampio, stile Marvel Studios: ok, li rivedremo più avanti, ma qui dentro fanno fatica a stare in piedi da soli. E in un film che non ha bisogno di loro, si sente.

Per il resto è Gunn a briglie sciolte. C’è anche un bel Kaiju, e per noi amanti di mostri è tanta roba. II film ha il coraggio di essere semplice quando serve e sopra le righe quando può. Alla fine, il messaggio è chiaro, ed è quello che dice Silente nella Camera dei Segreti: “Harry, sono le nostre scelte che contano”. E ogni tanto la nostra scelta dovrebbe essere quella di guardare un po’ più in alto.

Perché vedete un aereo? No. Un uccello? No. Un buon film.
LA WARNER BROS. SI TIRA SU GLI SLIP
di Alessandro Sivieri
L’autentico Lex Luthor potrebbe essere James Gunn. Perché sospettare di lui? Di un regista a briglia sciolta che imprime tutto se stesso in un universo filmico? Un egocentrismo tradotto in animali carini, playlist musicali, personaggi da B-movie e battutine a raffica? Magari stiamo esagerando. È difficile stabilire dove finisca l’impronta autoriale e inizino gli influssi personali a tratti soffocanti. Una cosa è certa: per Gunn il Lex Luthor della situazione può essere Zack Snyder, o meglio ciò che Snyder rappresenta, e il fandom esagitato che lo esalta sul Web. Non a caso il villain di Nicholas Hoult ha un esercito di monkeybot che passano il tempo a trollare, a scrivere insulti sui social contro Superman, riassumendo pienamente la situazione odierna e citando le scimmie dattilografe del signor Burns.

La lavorazione di un film e la sua percezione pubblica diventano una questione di vita o di morte, un contenitore di frustrazioni da sfogare facendo i leoni da tastiera, denigrando due tizi che si chiamano Snyder e Cavill o elevandoli a martiri ingiustamente messi da parte, e nessuno trae un reale giovamento da tutto questo, se non quel tipo di pubblicità sbagliata che circonda una pellicola, il chiacchiericcio che può giungere a influenzarne il processo creativo.

Se è vero che le case produttrici compiono spesso scelte dettate dall’avidità o dalla scarsità da coraggio, non dobbiamo dimenticare che esiste una frangia di spettatori incontentabili, aggressivi, polarizzati, la tipica minoranza rumorosa che inevitabilmente riesce a trascinare una fetta di utenti via via più ampia nel caos del conflitto. Gunn ne è consapevole, ed ecco che un tema centrale di questo Superman è la sua immagine sui social media, la sua politicizzazione sospinta da terzi, i fenomeni di idolatria e di paura del diverso che la sua sola esistenza è in grado di scatenare. E andrebbe pure bene, in fondo un’opera rispecchia il sentimento del suo tempo. La questione purtroppo trascende la mera funzione di materiale narrativo e tocca ogni lato dal progetto, trasformandolo in un Superman (ex-Legacy) con poca spina dorsale, che sacrifica la consistenza dello script per diventare una risposta alle polemiche sulla sua genesi.

Si ritorna a un Superman colorato, fumettoso, un ragazzo che vede il buono in chiunque, salva gli scoiattoli dagli incidenti e cerca di essere ottimista in una società che rispetto al passato ha molti più mezzi per sputare veleno sugli sconosciuti. L’alieno che si identifica come un terrestre e vuole fare del suo meglio è il medesimo di Henry Cavill, ma vive il dramma del sentirsi fuori posto in un modo differente, senza quell’aura da freak movie infusa da Snyder. Sono perfino tornati i mutandoni sopra il costume a omaggiare il character design classico e a rendere il suo aspetto – parola dell’attore David Corenswet – più digeribile dai bambini, che lo percepiscono come innocuo, come un wrestler della TV. Funziona? Mah, che ci frega dell’ordine in cui si infila gli abiti la mattina, non è la mutanda a fare monaco.

Abbiamo accennato al protagonista Corenswet, quello che ha fatto due passi nei panni di un grosso stronzo (anche nel senso della stazza) in Twisters e che ora si cala in un paio di stivali piuttosto ingombranti, quelli che furono di Christopher Reeve e del nerboruto Cavill. Come?! Un ennesimo Superman?! Che le prende da tutti e che vola col faccione spiattellato sullo schermo?! Brivido, orrore, raccapriccio! #RestoreTheSnyderverse, #FireJamesGunn, #BringBackHenryCavill e #NellAmatricianaSoloGuanciale!! La verità è che i difetti riempirebbero un armadio a due ante, ma non siamo di fronte a un disastro, principalmente perché Corenswet è da subito a suo agio nelle vesti del Kryptoniano e della sua doppia identità. È un Superman motivato, umano, credibile ed è un Clark Kent dignitosissimo che non ha abbastanza screen time: goffo, impacciato, un elefante in cristalleria che incespica tra le scrivanie e cerca di defilarsi dai colleghi. L’attore lavora con il corpo e con l’intensità dello sguardo per farci apprezzare i due lati di Kal-El, l’eroe che vorrebbe fare la cosa giusta e che non sempre ci riesce, combinando cazzate in buona fede ma preservando quel lampo di onestà negli occhi. Non siamo ai livelli di Reeve, al quale bastavano due espressioni in croce e una correzione della postura per passare da Clark a Superman, però è innegabile che Corenswet sappia ciò che sta facendo.

La scelta si dimostra ancora più motivata quando Gunn ci mette lo zampino, cioè utilizza quei primi piani con il grandangolo che “spalmano” il faccione del personaggio sullo schermo per accentuare la sensazione di movimento, e in questo caso fanno emergere l’occhio ballerino, il lieve strabismo di Corenswet che aggiunge un tocco di grottesco al novello Superman e che risulta ulteriormente utile quando veniamo a scoprire che [SPOILER!] Ultraman è un clone malriuscito di Clark, una specie di Bizzarro che viene comandato a distanza da Lex. Tale copia genetica ha un aspetto primitivo e un’espressione da cavernicolo, che beneficia anche dello strabismo divergente dell’attore [FINE SPOILER]. I comprimari non sono da meno, e il contraltare di Clark Kent nella vita privata e nei dilemmi etici è la Lois Lane di Rachel Brosnahan, carismatica e determinata, ma riluttante a impegnarsi sentimentalmente con qualcuno – figuriamoci con un metaumano potentissimo – a causa di una innata diffidenza.

Impossibile escludere dall’equazione la nemesi per eccellenza di Superman, Lex Luthor, genio milionario playboy poco filantropo affetto da complessi di superiorità e megalomania. Il mindset di questo ennesimo Luthor non si discosta dai precedenti e Nicholas Hoult riesce a renderlo minaccioso, privo di empatia, un narcisista pronto a esplodere quando qualcuno osa infrangere i suoi piani (e perciò essere più astuto di lui) o non concorda con la sua visione del mondo: i metaumani possono nullificare la civiltà terrestre con poco sforzo, e quindi sono una minaccia. Lex si erge perciò a paladino non richiesto dell’umanità, mascherando l’invidia per Superman con nobili intenzioni, manipolando l’opinione pubblica e spargendo paura sui media. Come se non bastasse, è pure un fidanzato tossico per Eve Teschmacher (Sara Sampaio), che trascorre il tempo a farsi i selfie e viene sfruttata dal giornalista del Daily Planet Jimmy Olsen (Skyler Gisondo), che utilizza il suo ascendente sulla donna per procurarsi informazioni riservate su Luthor. Oltre a comparire nei fumetti, Eve è la ragazza immagine di Lex anche nei film con Christopher Reeve e Gene Hackman, ed è a nostro avviso uno dei personaggi con cui viene più facile empatizzare. La sua ingenuità e la sua condotta in apparenza frivola celano un animo sostanzialmente buono e ti fanno desiderare che venga trattata meglio dagli altri. Ecco, così si scrive un side character.

Ed è subito (L)ex.
Questo pizzico di analisi psicologica serve a rafforzare una tesi che ci sentivamo di sostenere già dopo mezz’oretta di film: il trio principale di attori (Corenswet, Brosnahan, Hoult) avrebbe fatto fuoco e fiamme con una scrittura dal taglio leggermente più maturo. Che non significa cupo, non vuole dire un’atmosfera snyderiana da crepuscolo degli dèi. Semplicemente più bilanciato, consapevole, privo di quelle battute innestate chirurgicamente qua e là per evitare che una sequenza si carichi di pathos all’eccesso, come se si avesse paura di urtare lo spettatore. Non che l’umorismo non sia una componente essenziale del supereroismo, ma qui non è presente quella qualità minima dei dialoghi necessaria a sorreggerlo, a motivarlo, a non far sembrare Gunn e soci degli sbarbatelli che giocano con i pupazzetti per tutto il tempo. Ecco, se avessimo dodici anni vita natural durante ci divertiremmo dal primo all’ultimo minuto, e le fasi “delle botte” basterebbero a saziare ogni nostra esigenza audiovisiva e a lasciarci col fiato sospeso per la prossima puntata, perché l’impressione generale è quella di… un fottuto episodio dei Power Rangers degli anni ’90. Oh no, questo è un bel problema! O è una figata? Ci rimaniamo quasi male che la Justice Gang non sia composta da liceali che tutti uniti fanno Megazord, invincibile robot!

Avete presente la struttura di una puntata di Mighty Morphin Power Rangers? Rita Repulsa e i suoi scagnozzi selezionano il mostro schifoso di turno (può essere qualunque cosa, un abominio pieno di tentacoli o un pollo con le cesoie) e lo rendono gigantesco in modo che possa tenere testa ai vigilanti con la tutina, che sono costretti a richiamare i loro Zord personali e perfino ad assemblarsi per pilotare un robot. Bene, qui Lex ordina ai suoi lacchè di sguinzagliare un Kaiju nel centro di Metropolis, una sorta di drago sputafuoco che in poco tempo diventa alto quanto un palazzo e costringe Superman a dare il meglio di sé. C’è davvero il sentore di TV dei ragazzi in rispolvero, al punto che l’invasione della Fortezza della Solitudine da parte di Luthor è accostabile a Ivan Ooze che profana il centro di comando di Zordon (mentore dei Power Rangers) e gli distrugge la capsula, riducendolo in fin di vita. Certo, il viscoso Ooze non era accompagnato da Engineer (María Gabriela de Faría), sgherra di Luthor potenziata con le nanomacchine che ci ha causato una instant crush e che funziona a meraviglia sullo schermo. La sua natura cinica e aggressiva, unita al suo fascino, la rende una specie di residuo snyderiano, un’impronta del passato che non avrebbe sfigurato in un film con Cavill.

Dalla parte dei buoni chi troviamo? Quando le minacce diventano insostenibili anche per Superman, il mutandone può contare innanzitutto sull’intervento di Krypto, cane mantellato che Gunn ha pescato dai fumetti e che funge da partner tanto adorabile quanto indisciplinato per l’eroe, perché se c’è una cosa che il regista sa fare, è mettere animaletti alieni sullo schermo e assegnargli il ruolo di vettori dell’empatia. Ok, e se Krypto non basta? Se rincorre qualche auto di troppo? Arriva la squadra dei guitti, la succitata Justice Gang che non è una task force suicida composta da supercriminali ma sfrutta le stesse dinamiche, i botta e risposta, le abilità cartoonesche sommate a un’estetica che se ne sbatte della sua assurdità (parliamo in particolare di un taglio di capelli).

Nathan Fillion è Guy Gardner, un Green Lantern pragmatico e beffardo, nonché il boomer del gruppo. Isabela Merced, che ha dimostrato una buona versatilità, smette i panni di Dora l’esploratrice e i traumi di Alien: Romulus per strillare nell’elmo di Hawkgirl. C’è poi Mister Terrific (Edi Gathegi), cervellone che fa girare delle palle da lui progettate, hackera qualunque cosa, ha un codice per qualunque cosa e offre dei gustosi siparietti derivanti dalla sua eccessiva razionalità. Tipico caso in cui lo spettatore medio esclama “Ma chi cazzo è questo?!” e si affeziona al personaggio due minuti dopo, perché un’altra capacità di Gunn è pescare degli sconosciuti dalla storia editoriale di un franchise e dargli un ruolo di primo piano.

Mister Terrific, un po’ Tony Stark con la console, dimostra un’ottima abilità combattiva e si mangia una delle migliori – forse la migliore – fight scene della pellicola, tirando bocce e cazzotti mentre Lois Lane assiste incredula da un campo di forza. Chi conosce la filmografia del regista sa che, cascasse il mondo, arriva il momento clou degli sganassoni in cui restiamo ancorati a un personaggio in piano sequenza mentre intorno a lui c’è il caos assoluto, ovviamente con un apposito sottofondo musicale. Sembra che ci siano solo pro, anche perché finisci per volere più Mister Terrific nel minutaggio, ma il contro è che un tizio secondario in relazione al fine ultimo della storia rischia di insidiare il carisma del protagonista. Va bene, è Gunn, è il mastro dei procioni e dei Drax, forse è il suo modo di sorprenderci.

La gang che un domani potrebbe evolversi nella Justice League combatte su due fronti: i casini scatenati da Lex e l’invasione del Jarhanpur da parte della Boravia, nazione dell’Est con mire espansionistiche. Tutto è interconnesso e si scopre che Luthor è amicone del dittatore della Boravia, una bavosa parodia di Putin che ci fa capire come lo script voglia collegarsi alla guerra in Ucraina e alla questione di Gaza, voglia calare Superman in un contesto politico cercando di non fare politica, riciclando delle logiche che in realtà appartengono al cinema americano fin dalla Guerra Fredda (inventarsi una nazione eurasiatica spietata e sopra le righe che in realtà è l’URSS). I quesiti sono pure interessanti: dove finisce la giurisdizione di Superman? Può intervenire in conflitti stranieri per conto suo? Rappresenta l’America? Agisce d’impulso o lo manda qualcuno? Non si tratta solo dell’impatto sui social, si parla di equilibri mondiali e di patti col diavolo pur di mantenere un’illusione di sicurezza. Gunn tira in ballo la politica, indubbiamente, e vogliamo credere che agisca alla stregua di Clark Kent: secondo i suoi valori, pensando alle persone e non ai capi di Stato inviperiti, ed è la facoltà di fare danni involontari a renderlo umano (la sua vera forza, come ribadisce davanti a Lex). La questione non deve per forza ridursi a ragazzone del Kansas vs. tiranni cattivi… giusto, Hollywood? Giusto?!

Il reboot del DC Universe punta sul suo paladino più potente, un individuo che viene considerato senza macchia e senza paura, una figura… solare. Le macchie in realtà ci sono e vanno evidenziate, scavando nelle motivazioni che hanno portato Clark Kent, un extraterrestre in incognito, a tenere al sicuro un pianeta che non è il suo e a sacrificarsi per la gente comune. Il protagonista è stato mandato lì per uno scopo; il messaggio dei genitori biologici è ciò che lo fa rialzare dopo una batosta, il lascito che lo sprona fare la scelta giusta (o perlomeno a schierarsi). La realtà, però, potrebbe non essere come sembra, né ciò di cui ha realmente bisogno Clark per tirare avanti. Gunn ci parla anche di questo, dei bisogni affettivi di un superuomo, interrogandosi su cosa significhi essere un genitore e sui valori trasmessi ai figli, facendo un parallelo con il rapporto tra Star-Lord e Yondu.

Un film che ha molte facce, in grado di passare da gag canine a lunghe interviste che sviscerano le insicurezze dei personaggi. Purtroppo ogni faccia guarda in una direzione diversa, come gli occhi di Corenswet (se proprio vogliamo accanirci sul fisico). Non aiuta l’oneroso compito di introdurre un universo nuovo di zecca, ricco di portali instabili, inattesi alleati, organizzazioni intergalattiche e fiumi di anti-protoni che ti fanno credere di guardare Ready Player One. Esci dalla sala sopraffatto, memore di qualche grande scena e al contempo con la convinzione di non aver riso o pianto abbastanza. L’unica certezza è che da pischello ti saresti divertito di più. I preadolescenti, in tal senso, hanno più speranze, sebbene siano poco affini al punk rock. Questo, unito ad altri elementi messi sotto la lente, forma un gigantesco Megazord enigma: che target di età aveva in mente James Gunn?

L’universo di Snyder ci è sempre piaciuto, e non è un caso: su Monster Movie, da bravi mostriferi, abbiamo un debole per lui, anche perché parlava a modo suo di dèi e mostri. Ma ora il testimone è passato a James Gunn, che ha chiamato proprio Gods and Monsters il primo capitolo ufficiale del nuovo progetto DC Studios. E se volete già una bella spolverata di mostri alla Gunn, recuperatevi Creature Commandos, la prima serie canonica di questo nuovo universo, con tutta la prima stagione disponibile gratis sul canale YouTube della DC:
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