Una riflessione sul cammino dell’effettistica cinematografica.
di Alessandro Sivieri
Volete un titolo in stile picchiaduro? Potrebbe essere Prostetico vs. Digitale, Practical vs. CGI per gli anglofoni, oppure SFX vs. VFX. Il succo è questo: generi come il fantasy, il catastrofico e il fanta-horror possono fare ben poco senza un minimo apporto di effetti speciali, capaci rendere credibili scenografie e mostri. Durante la giovinezza della computer grafica (venne impiegata a iosa nel futuristico Tron), regnavano ancora gli effetti pratici, nati agli albori del Cinema. In buona misura sono sopravvissuti fino a oggi, pur se adombrati della spietata concorrenza del digitale.
Trucchi, protesi, costumi, accessori, animatronic… con il loro utilizzo tutto appare tangibile e autentico. E spesso non si lasciano limitare dallo scarso budget: ne è un esempio Mario Bava, che grazie al suo ingegno riusciva a costruire set spaziali con mezzi di fortuna. Non dimentichiamo effettisti da Oscar come Carlo Rambaldi, osannato per il suo lavoro in Alien ed E.T. Alcune produzioni odierne sembrano scordare l’importanza della presenza scenica, della solidità, con il risultato di renderizzare ogni cosa tranne gli attori, inclusi portaombrelli e copriwater. Vero, la CGI ci permette di osservare un Arnold Schwarzenegger ringiovanito mentre fa a cazzotti contro se stesso. I costumi elaborati e le scene di massa hanno bisogno di un aiutino in digitale. Ma quando vediamo il povero Ian McKellen dietro le quinte de Lo Hobbit, costretto a interagire con il nulla assoluto in mezzo a un gigantesco green screen, allora ci coglie la depressione (come è successo a lui, del resto).
L’evoluzione, a quanto pare, tocca anche chi si è già estinto, come i lucertoloni fossili. La saga di Jurassic World omaggia in mille modi l’originale, ma i dinosauri fanno più affidamento sulla CGI. Gli animatronic usati da Steven Spielberg rendevano le creature più realistiche, minacciose. Lo stesso John Hammond, parlando del suo amato parco, diceva: “Volevo far vedere qualcosa che non fosse un’illusione. Qualcosa di reale. Qualcosa che… si vedesse e si toccasse”. Il trend di oggi inverte questa filosofia: sempre più effetti, sempre meno speciali.
Vogliamo parlare di quanto fossero verosimili La mosca e La Cosa? Dello splatter senza freni nella trilogia de La Casa? Dello Yoda pupazzo giunto fino a La minaccia fantasma? Dei primi orchi e Uruk-hai, quelli ottenuti grazie al trucco e al parrucco, nella trilogia de Il Signore degli Anelli? Si trattava di marionette o attori ricoperti di make-up, ma erano fisicamente sulla scena. Se fossimo stati lì, avremmo potuto allungare la mano e toccarli. Una sensazione primordiale, non sterile come quella di un ammasso di poligoni che sembra muoversi senza peso. Qui non si butta fango sulla CGI, che sta facendo passi da gigante, ma più passa il tempo, più ci accorgiamo che qualcosa si è perso per strada. È come un’indelebile consapevolezza nell’animo di chi guarda: la magia è meno vera, è simulata.
Che volete farci, siamo nostalgici, e se ci capita un bel mostrone prostetico ci eccitiamo come dei canguri sniffatori di colla. Se poi sono calamari alieni e navi spaziali, è una gioia. Uno dei pregi di The Force Awakens e The Rise of Skywalker è proprio la scelta di J. J. Abrams di fare uso di effetti vecchio stampo ovunque fosse possibile. Ci consoliamo a pensare che, per ogni splendido Gollum realizzato al computer, ci sia un bel pupazzo custodito in una collezione privata o esposto in un museo.
Per chiudere l’analisi citiamo il boss: Stan Winston è stato il più grande nel campo dell’animazione pratica. Se vi viene in mente un qualsiasi mostro, creatura o creazione divenuta iconica nei decenni passati, sicuramente c’è stato il suo zampino. Sono numerosi i successi al botteghino che hanno beneficiato dei suoi servizi. Non un mestierante, ma un artigiano che ha contribuito in modo cruciale al successo delle pellicole: il già citato Jurassic Park, Terminator, Predator e perfino i giocattoli di Small Soldiers. Se volete studiarne la carriera e la carica innovatrice, vi consigliamo il volume The Winston Effect, un vero must have.