GHOST IN THE SHELL È UN BUCO IN THE ACQUA

il

di Alessandro Sivieri

Sembra che le produzioni hollywoodiane ce la mettano davvero tutta per far incazzare la gente. Nel particolare parliamo dei cultori dell’animazione nipponica, che pretendono assoluto rispetto per le loro opere preferite e risultano, perciò, ancora più incazzosi. E fanno bene. Qui si parla di Ghost in the Shell, un pilastro della cultura cyberpunk. Il manga di Masamune Shirow e l’omonimo anime diretto da Mamoru Oshii presentano atmosfere distopiche, in linea con prodotti occidentali come Blade Runner. Avete presente quello scenario futuro dove la tecnologia e l’industria hanno distrutto l’ambiente e annullato la nostra individualità? Ecco, aggiungeteci l’azione, la poesia, la riflessione sul transumanesimo, quella silenziosa melanconia dei giapponesi e otterrete il capolavoro. Ha ispirato innumerevoli film successivi, primo tra tutti Matrix. Poi arriva il tempo del vero e proprio adattamento occidentale e dovete scegliere tra un’eccitazione controllata e la più nera disperazione, perché Hollywood è maestra nel banalizzare i racconti. Io, da fan sfegatato dell’originale, avevo scelto la prima opzione. Ho sostenuto l’operazione fin dal principio e… l’ho preso nel deretano. Mai una gioia, eh?

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Quello che mi fa più rabbia è che il potenziale c’era eccome, non si trattava di una battaglia persa in partenza. In barba alle polemiche sul whitewashing, Scarlett Johansson è una scelta azzeccata, una delle poche note positive. Il suo sguardo, i lineamenti da bambola, l’attitudine a interpretare personaggi inumani come in Lucy e Under the Skin la rendono ottima per essere il Maggiore (chiamatela Motoko o Mira, poco importa), un’anima senza passato intrappolata nel freddo corpo di un cyborg. Rupert Sanders, regista prestanome che ha nel curriculum lo scialbo Biancaneve e il cacciatore, ha messo insieme un bell’impianto visivo, e lo si notava già dai trailer, con scene riprese dall’anime ma personalizzate al punto giusto. Anche gli scorci di degrado urbano si fanno apprezzare. Il problema è che la summa degli elementi è davvero deprimente. Sembra che la produzione abbia fatto di tutto per oscurare gli spunti positivi, in virtù di una standardizzazione che dovrebbe azzerare i rischi: l’obiettivo è il pubblico generalista, quindi semplifichiamo la trama, facciamo a meno di sangue e nudità, mettiamoci della musica anonima e lasciamo tutto aperto per un sequel. Il risultato è un compitino, una specie di Robocop con le tette.

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Mi sono imbestialito già con l’incipit, ispirato alla celebre scena d’apertura con l’assemblaggio del Maggiore. Le inquadrature sono belle, esteticamente curate. In un’anteprima di qualche mese fa erano accompagnate da un brano molto familiare, composto per l’occasione dal mitico Kenji Kawai, che aveva già lavorato all’anime. Poteva essere un’opening pazzesca. Ora invece abbiamo un sottofondo anonimo creato da Clint Mansell. È un musicista di talento, ha creato capolavori, ma i piani alti gli avranno chiesto qualche semplice accompagnamento, per una colonna sonora che non sta in piedi da sola. I dialoghi rientrano nel piattume della fantascienza alla Avatar, molto didascalici e con termini tecnologici a casaccio. Si fanno molto rimpiangere le frasi dell’originale, a volte enigmatiche ma piene di significato. Stessa cosa per il plot: nell’anime era molto più filosofico, qui ci si limita alla logica da revenge movie dove la protagonista si rivolta contro i suoi padroni, la spietata azienda che l’ha creata con l’inganno. Esatto, sembra di incontrare Alex Murphy in tuta aderente. Anche l’azione funziona solo a tratti, mostrando il fianco all’abuso di CGI e a un’occasionale goffaggine coreografica.

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Questa zappa sui piedi ci fa capire che gli adattamenti PG-13 hanno toccato il fondo. Un popcorn movie non deve essere per forza scontato, può rappresentare un’opportunità, spesso stroncata sul nascere dalla paura e dalla superficialità di chi ci mette i soldi. Ogni aspetto rimane abbozzato per non rischiare di scontentare qualcuno, con poca soddisfazione sia per l’intrattenimento che per le aspirazioni intellettuali. Cari capoccioni, volevate un filmetto per tutte le stagioni? A giudicare dal flop al botteghino avete perso anche le masse. Lo spettatore occasionale, quello del sabato sera che di giapponese conosce solo Dragon Ball e il sushi, è meno stupido di quanto pensiate. Peccato per la bella Scarlett, vittima di un film sbagliato, che non avrebbe avuto difficoltà a incarnare una protagonista ben più complessa. Ora aspettiamo che questa sindrome da discount rovini qualche altra pietra miliare tipo Akira.

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6 commenti Aggiungi il tuo

  1. davidegrace ha detto:

    La lista dei remake peggiorativi di Hollywood è lunghissima. E andrebbe fatta e diffusa, per indignare ancora di più il pubblico medio, del quale faccio orgogliosamente parte e per il quale pretendo più qualità, onestà e rispetto. Su tutti cito un esempio di banalizzazione a me particolarmente caro (cioè che mi ha particolarmente fatto incazzare): Lasciami entrare.

  2. chiaraspagno ha detto:

    Ghost In The Shell:Natasha Romanoff muore in battaglia e diventa un robot

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